Ritorno verso casa. Rumore di passi, di quelli pesanti. Chili, tonnellate che risuonano nel silenzio delle mura strette e lunghe della città. La suola che fa contatto col terreno, le pietre le sentiva sotto i piedi, Carlo. Il silenzio notturno era una di quelle emozioni che solo la città poteva dargli.
Man mano che risaliva le scale che collegavano al borgo nuovo, il vecchio pazzo giù per la collina lo si sentiva strimpellare sempre quei soliti 4 accordi: troppo semplici da memorizzare, troppo semplici da suonare, ma molto difficili da interpretare.
Gradino dopo gradino, le nuvole accelleravano sempre di più per scoprire la luna e il suo chiarore che rifletteva su tutto il paese, il Suo paese.
Poi, il rettilineo. Ogni volta che tornava a casa a notte inoltrata, Carlo lanciava la sua sfida alla luna. Sguardo verso di lei e passo dopo passo a vederla camminare insieme a lui. Perché la luna, da piccolo credi che ti segua, poi, quando cresci, capisci che cammini in concomitanza con lei; fino a quando diventi adulto e ti rendi conto che non ci fai nemmeno più caso.
Man mano che si avvicinava verso la sua casa, si riusciva a percepire a centinaia di metri di distanza l'odore del grano e del pagliaio della vecchia fattoria.
Lungo il muretto del borgo nuovo, una coppietta si intratteneva cercando di nascondersi l'uno dall'altro, quasi volessero scomparire. Carlo aveva un ghigno lungo il viso ogni qualvolta osservava una situazione del genere. Quasi come se li volesse definire stupidi o estremamente carini. Forse era invidia, forse era manifesta superiorità di una testa quantomai matura. Forse si, forse no. E pensando, metro dopo metro non si rendeva conto che aveva passato troppo tempo a fissarli, quasi come se avesse lanciato loro inconsciamente una sfida di ansia, paura e vergogna. Ma la coppietta, a braccia tese, usciva fuori dal proprio guscio e concentravano tutta la loro energia ed effusioni in uno sguardo rivolto verso il guardante: era il punto in cui Carlo lasciava loro un sorriso per poi congedarsi con un semplice "Ciao" pieno di tenerezza, al limite delle situazioni paradossali.Testa verso casa.
La prima cosa che faceva Carlo, era quello di stare attento a non fare troppo rumore a chiudere la porta di legno principale. Poi, dopo 2 minuti a fissare la sbarra, decideva di non blindare totalmente l'ingresso. Il borgo nuovo era un posto troppo pacifico.
Entrato nel cortile osservava le immagini del chiaro di luna con le ombre sui muri e le macchine parcheggiate. Era il momento esatto in cui, prima di avvicinarsi all'uscio, enfatizzava quella sua estasi panica, godendosi il rumore della gomma secca della suola delle scarpe, dell'odore dell'albero di limone nel cortile, del suono del silenzio e del colore biancastro della luna, a cui era pronto a dire addio.
Entrato in casa, procedeva stanza dopo stanza fino ad arrivare in cucina. Non amava accendere le luci, anche perché poi avrebbe dato fastidio a qualcuno che stava dormendo, ma riusciva a godere delle luci proiettate della televisione sul frigorifero che apriva per versarsi un bicchiere di tè fresco della produzione familiare.Gola non più secca, non più asciutta.
Entrato nel salotto, trovò sua madre seduta sul divano con una scatola di fazzolettini in mano e le lacrime che le scendevano lungo il viso. Di fronte, la televisione, che dava in onda il solito vecchio film dei due ragazzi che si innamorano finendo con un ballo verso il finale. Ecco, proprio quella parte commuoveva la madre di Carlo. Quel film avrebbe potuto vederlo anche un'ora prima, ma in quell'istante doveva piangere. Era d'obbligo, era da copione. Per quante volte l'avesse visto, quella parte doveva far piangere come la prima volta.
Con Carlo che non voleva rovinare il finale empirico e la stanza del corridoio già aperta, la madre alzò la mano facendo segno che aveva capito che fosse tornato.
Carlo sorrise di nuovo, ma le mamme queste cose le sanno, è il loro sesto senso.
Strisciato via, verso il buio della sua stanza, si svestí completamente per poi indossare la solita biancheria di lino che faceva da tenuta da notte.
Nascosto sotto le coperte, con un piede fuori a significare il grado di temperatura della stanza, Carlo si sentì al sicuro.
Non c'erano più suoni, non c'erano più immagini.
Ora arrivavano quei suoni nuovi e freschi della domenica.
Ma prima, c'era il sonno.Con sogni dopo sogni e desideri su desideri.
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Cose e non-cose
Short StoryEsercitazioni, racconti sparsi e nuove storie che probabilmente riprenderò.