Capitolo 5

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Le luci del mattino filtravano attraverso la vetrata. Francesca socchiuse prima un occhio e poi l'altro, ricordandosi dov'era e in che letto aveva dormito. I pensieri tornarono a ordinarsi e le sensazioni della notte appena passata riaffiorarono, donandole un senso di appagamento. Si voltò nelle lenzuola a cercare la presenza che le aveva procurato quei ricordi così vivi e nitidi. L'impronta della testa sul cuscino e il posto vuoto la lasciarono per qualche momento confusa. Si alzò guardandosi attorno, il vestito poggiato sulla poltrona, le scarpe lasciate scomposte sul pavimento vicino al letto, ma di lui nessuna traccia. Silenzio. Si avvolse il lenzuolo attorno al corpo nudo e camminò fino sulla porta che dava nel piccolo salone. Il carrello con la colazione era ancora intatto, qualcuno era entrato a portarlo e poi lo aveva lasciato in attesa che lei si svegliasse. Quanto aveva dormito? Guardò l'orologio: quasi le otto. Sapeva che Josh sarebbe dovuto partire presto ma la delusione di trovarsi sola la lasciò spiazzata. Rimase qualche secondo a pensare. Tornò in camera da letto e frugò nella borsa. Il cellulare non era ancora scarico, aveva ancora qualche tacca che le avrebbe permesso di chiamarlo. Fece il suo numero e, quando quello di Josh cominciò a squillare, rimase sorpresa. Poteva udire gli squilli in quanto venivano da un punto vicino a lei. Segui la traccia intuendone la provenienza. Era in bagno, probabilmente si stava facendo una doccia o la barba. Francesca scostò piano il battente, sicura di avvertire il rumore dell'acqua scrosciante. Sapeva che era tardi ma non l'avrebbe lasciato andare senza un ultimo saluto, senza aver ancora approfittato di quel corpo mozzafiato e delle sua attenzioni.  La stanza invece era silenziosa e non vi era alcun elemento tale da da farle intendere che lui fosse lì dentro; solo l'incessante squillo del cellulare. Si guardò attorno e solo pochi istanti dopo si accorse del particolare: il cellulare era lì, poggiato sul marmo del lavabo e, sotto di esso, un ritratto improvvisato a mano, un chiaroscuro a matita che raffigurava un volto di donna; era il suo viso adagiato sul cuscino, abbandonata nelle spire del sonno. In basso poche righe: alla mia musa ispiratrice, alla mia Lucrezia. J.
Francesca rimase basita. Era tutto lì, l'uomo che le aveva regalato una notte fantastica, l'aveva abbandonata con un ritratto e poche righe che sarebbero dovute essere...cosa? Di consolazione? Di addio? Francesca non era abbastanza lucida e razionale da imporsi una spiegazione logica. Non c'era stato momento in cui aveva pensato ad una seppur remota possibilità di avere una relazione con quell'uomo, ma nulla le aveva fatto presagire un comportamento contorto e misterioso come quello. E poi c'era quel cellulare. Perché lasciarlo lì? Fece scorrere la rubrica vuota, lo stesso fece per le chiamate in entrata, e quelle in uscita. Eccetto la sua, non vi era traccia di nulla. Francesca poggiò il cellulare sul marmo e si guardò allo specchio con un unica martellante domanda: chi era Josh Finnes o meglio... era quello che diceva di essere? Un lampo di terrore improvviso le attanagliò lo stomaco. Corse nella camera, si vestì in fretta, telefonò al Palazzo e avvisò  che quella mattina non sarebbe andata al lavoro. Afferrò il cellulare di Josh e si precipitò nella hall.
<<Mi scusi, da quanto tempo è andato via il professor Josh Finnes?>> domandò al consierge.
<<Da circa un ora, poco più>>
<<Per favore mi chiami un taxi>> ordinò Francesca. Doveva vederci chiaro, doveva andare a fondo alla faccenda, senza tuttavia alimentare alcun sospetto da parte della sovrintendenza ai beni culturali.
L'aeroporto Marco Polo da qualche anno era diventato un centro nevralgico degli scali di tutto il mondo. Francesca raggiunse affannosa la zona dei voli intercontinentali. Lesse sul display il gate e il numero del volo, scoprendo dall'ora d'imbarco di essere ancora in tempo. Non sapeva bene cosa avrebbe fatto, ma dicerto lo avrebbe fermato. I tacchi non le permettevano l'agilità necessaria per un passo sostenuto tantomeno l'elegante tubino nero da sera che attirava sguardi incuriositi su di lei. New York, ore 9:50. Doveva essere nei paraggi quando l'hostess annunciò l'immediato imbarco.
I passeggeri si addensarono nella zona del gate. Francesca rimase a setacciare i visi uno per uno, fino a quando anche l'ultimo non superò la porta scomparendo nel tunnel. Francesca ebbe un moto di paura mista a confusione. Prima che la hostess abbandonasse la postazione Francesca si precipitò a fermarla.
<< Mi scusi, ho bisogno del suo aiuto è una cosa della massima urgenza>>
La hostess ricambiò lo sguardo  allarmato di Francesca.
<<Ho bisogno di sapere se in lista per questo volo c'è un passeggero, il professor Josh Finnes>>
Dopo un primo momento d'indecisione, la hostess decise di aiutare quella donna in preda al panico.
Si avvicinò al monitor passando in rassegna tutti i nomi.
<<No, mi dispiace qui non c'è alcun passeggero con quel nome, aspetti che ricontrollo per sicurezza>> dopo pochi istanti la risposta fu la stessa, coadiuvata da un cenno dispiaciuto del capo.
<<È l'unico volo per New York?>> chiese sfiduciata.
<<Il prossimo è alle 21, magari non ha fatto in tempo a prendere questo, provi al banco prenotazioni>> le suggerì.
<<Grazie>> disse a mezza voce. Sicuramente non aveva perso l'aereo e con molta probabilità non aveva nemmeno intenzione di andare a New York. Sì, ma dove? E come avrebbe fatto a scoprirlo?
Si fermò qualche istante a pensare. Non c'erano molte soluzioni, doveva agire subito. Harvard. Avrebbe dovuto chiamare l'università. Fino quel momento vi erano stati solo scambi di mail ma nessun contatto personale. Qualche minuto dopo le passarono l'addetto ai docenti, allarmato dall'urgenza del tono con il quale era stato contattato. Rimase ad  ascoltare imbambolata le parole dell'uomo senza riuscire a reagire alla notizia. Per un momento l'aria le si bloccò nei polmoni e si sentì venire meno.
Non era possibile, non poteva essere vero. Era stata un'ingenua e adesso avrebbe dovuto pagare il suo enorme sbaglio.

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