6. Vulnerabilità e istinto

542 35 18
                                    

Autumn, 2013
(post 6b)


Il fatto che Stiles fosse partito da qualche settimana non aiutò Derek a riprendersi da quanto accaduto. La distanza non colmava il senso di smarrimento che provava. Anzi, semmai peggiorava la situazione, perché non aveva nessuno con cui prendersela.
Si sentiva, fondamentalmente, stonato. O meglio, come un pianoforte accordato male. Era un bugiardo se non ammetteva almeno a se stesso di aver fantasticato su quel bacio, ancor prima che accadesse, ma, adesso che ne aveva una memoria, la tortura di metabolizzarlo, ricordarlo, percepirlo addosso come un marchio era terribile da sopportare.
Si svegliava di notte, madido di sudore, febbricitante, eccitato. E, da bravo masochista, non se ne tirava fuori, toccandosi per trovare piacere. No, si alzava dal letto, anche in piena notte, e si buttava sotto il getto dell'acqua gelida. Al massimo, usciva e al chiaro di Luna si trasformava per correre fra i boschi di Beacon Hills.
Non era comunque una soluzione al problema, ma almeno gli dava qualche attimo di sollievo.
In quelle due settimane aveva provato diverse volte a scrivere ad ImtheRobinone. In modo stupido e insensato, sentiva la sua mancanza. Ma Derek si ingannava, perché in quel caso la mancanza fisica, non mentale, del ragazzo era la causa scatenante di tutti i suoi malumori. Quelli che non gli facevano combinare nulla di buono, come scrivere una fottuta e-mail.
Per questo, alla fine, aveva rotto il suo computer.
Sì, sì, immaginate bene: la fine che fece quel povero oggetto tecnologico fu quella di essere scaraventato contro il muro.
Gli dispiacque soltanto perché era l'ultimo ricordo che aveva della sorella e, per questo motivo, probabilmente, Derek raccolse i cocci e li conservò nel proprio armadio.
Dopodiché, dopo un paio di giorni senza computer che lo avevano reso ancora più nervoso e agitato, si decise a fare un nuovo acquisto e a comperare un altro computer.

Di certo, si sarebbe mangiato il commesso che gli stava consigliando la merce che avevano in negozio, se non fosse arrivato in soccorso un volto familiare.
E questo perché Derek era privo di pazienza e qualsiasi cosa lo faceva saltare come una molla. Quel logorroico del commesso non la smetteva di ripetere la parola "diciamo" e Derek era stato davvero sul punto di farlo tacere con una testata sul vetro che salvaguardava una serie di portatili.
Per fortuna, Noah Stilinski salvò la vita del povero commesso, sebbene inconsapevolmente, col suo arrivo.
"Derek, ciao!" lo salutò, dandogli una pacca sulla spalla. "Nuovi acquisti?"
Derek si voltò verso lo sceriffo con sguardo seccato, ma si illuminò appena. Respirò di proposito per odorare l'aria circostante, sapendo che quello che avrebbe inalato non sarebbe stata la stessa cosa che si aspettava di sentire, ma era già qualcosa.
"Scer- Noah" replicò Derek velocemente, sciogliendo la sua afflizione con un sorriso stentato. "Sì, avevo- bisogno di un computer nuovo" lo informò. Poi si voltò verso il commesso e a denti stretti, con sguardo duro, gli disse: "Prendo questo, grazie" dandogli la chiarezza, dal tono di voce piuttosto minaccioso, di non insistere con qualche altro prodotto in offerta, perché Derek non era in vena di sopportare altro. Quello, difatti, annuì affrettandosi a scomparire per andare a prendere una confezione chiusa del pc.
"E tu cosa ci fai qui?" gli domandò Derek, girandosi nuovamente verso lo sceriffo. Lui fece una smorfia che, forse per la stanchezza o chissà quale malattia, gli ricordò perfettamente il figlio.
Stava impazzendo.
"Da quando Stiles si è trasferito in Virginia non faccio altro che rompere tutto ciò che ho in casa. Oggi è toccato al microonde. Il che è un problema minore, rispetto a quello della scorsa settimana" lo sceriffo fece una pausa, mentre Derek cercava di eludere il proprio corpo, che si era risvegliato al suono di quel nome.
Stava impazzendo e si odiava da morire.
"In cui ho rotto il frigorifero. Stiles ci avrebbe fatto il ballo della vittoria, visto la roba congelata che ho dovuto buttare" sentenziò Noah, sorridendo amabilmente al pensiero che il figlio continuasse a pensare alla sua salute.
Derek era sul punto di urlare di disperazione se avesse sentito un'altra volta quel nome e, così, "Capisco. Ti auguro una buona giornata, Noah. Vado alla cassa a pagare il mio nuovo acquisto" tentò di liquidarsi, con un gesto della mano e camminando per voltarsi e andarsene il prima possibile. Magari prima di avere una crisi isterica. Sarebbe stata una prima volta, ma non c'era da scommettere che in tutta quella situazione stesse scherzando o esagerando.
Stava impazzendo, si odiava da morire e voleva ululare per sfogarsi.
A qualche metro di distanza, però, Noah Stilinski lo richiamò alla sua attenzione. "Derek!"
Il licantropo si fermò all'attenti, afflosciando le spalle e rinunciando all'idea di poter sfuggire. Quell'impercettibile somiglianza di odori lo aveva già assuefatto. "Sì?"
"Ti va di cenare insieme?" lo invitò lo sceriffo. Derek lo guardò dritto negli occhi e ci riconobbe molte delle mancanze che lui stesso provava da tutta una vita. Il fatto che, in quel momento, stessero soffrendo lo stesso tipo di assenza, fece cedere anche il più duro dei cuori. Così: "D'accordo" rispose Derek.

---

Mettere piede in casa Stilinski fu un attentato alla sua già scarsa sanità mentale. Se fosse stato un umano era certo che la situazione avrebbe potuto essere decisamente più controllabile, specialmente sotto il punto di vista dei propri sensi, anche se aveva idea di cosa significasse esserlo soltanto per un arco di tempo limitatissimo della sua vita in cui lo era stato. Da umano, avrebbe rievocato quella persona attraverso la vista, minimamente con l'olfatto. Da licantropo, Stiles era in quella casa a 360° per ogni suo senso.
Una condanna a morte, esatto.
Lo sceriffo lo aveva invitato a sedersi sul divano, davanti alla televisione già accesa sul canale sportivo, per poi raggiungerlo qualche minuto dopo con un paio di birre.
"Segui il baseball, ragazzo?"
Derek annuì con vigore, illudendosi di poter ubriacare i propri sensi con la birra che bevve avidamente. "Assieme al basket, sono gli sport che seguo di più" replicò.
Lo sceriffo lo guardò con attenzione, sorseggiando anche lui un po' della sua birra. "E pensare che un tempo non ti sopportavo" confessò, alla fine.
Derek sghignazzò divertito e, dopo una serie di momenti di pura tensione, si sentì improvvisamente rilassato. "Questo significa che ora ti sono simpatico?"
"Forse è la disperazione di essere rimasto solo..." continuò Noah, con tono scherzoso. Derek non smise di sorridere: "Resterà fra queste mura, non preoccuparti" lo incoraggiò sarcastico.
Anche lo sceriffo, allora, si ritrovò a ridere, lasciando la bottiglia sul tavolinetto davanti a loro. Poi si alzò: "Vado a preparare qualcosa da mangiare. Ti piace il pollo con i peperoni?"
Derek pensò che per cena fosse un po' pesante, soprattutto i peperoni, ma lo sceriffo continuò riacquistando subito la sua attenzione: "E' un tarlo fisso, mio figlio! Anche adesso, ad esempio, che ho voglia di pollo coi peperoni me lo sento nelle orecchie come un eco" affermò, per poi fare l'imitazione di Stiles: "Sono troppo pesanti, pà. Al massimo, un paio di fettine di petto di pollo ai ferri".
Derek si irrigidì, ma cercò di sforzarsi di ridere mentre lo sceriffo si incamminava verso la cucina: "Ma sai cosa ti dico, Derek? Stiles non c'è e per una sera, non credo che mi farà male soddisfare una mia fantasia. Pollo con i peperoni sia!" concluse, sparendo in cucina e lasciando Derek interdetto.
Perché, a lui, quella decisione doveva andare bene per forza, a quel punto.

---

"Okay, il pollo con i peperoni è decisamente troppo pesante per cena" sentenziò lo sceriffo, stravaccato sul divano con entrambe le mani sulla pancia gonfia.
Derek ringraziò il cielo per il suo metabolismo soprannaturale e sorseggiò altra birra. Nonostante tutto, forse ora che aveva fatto l'abitudine ai continui richiami dell'assenza di Stiles, stava passando una bella serata.
"Ti dispiace se vado un attimo in bagno?" domandò gentilmente Noah, alzandosi. Derek fece spallucce e negò: "Fai pure, ti chiamo quando inizia il settimo inning?"
Lo sceriffo guardò lo schermo piatto davanti a sé e fece una smorfia. Derek ci lesse indecisione, forse perché credeva che non ce l'avrebbe fatta per la nuova ripresa e facendo un gesto di nonchalance verso la Tv, guardò Derek e gli rispose: "Al diavolo, tanto stiamo comunque perdendo. Faccio il prima possibile..." e si dileguò al piano di sopra.
E in effetti, lo sceriffo non si presentò nemmeno per l'ottavo inning, lasciando Derek che nonostante tutto non si trovava affatto a disagio. Se non fosse stato per quel telefono di casa che d'improvviso iniziò a trillare, importunando i suoi timpani.
Noah Stilinski non dovette urlare poi molto per far sentire a Derek "Puoi rispondere tu?" la sua richiesta, ma nonostante questo il lupo per un momento finse di non aver capito.
Per qualche secondo soltanto; poi sbuffando, decise di alzarsi e di dirigersi verso l'apparecchio in cucina. Alzò la cornetta e se la mise all'orecchio, pronunciando un secco: "Pronto?"
Dall'altra parte, inizialmente, ci fu silenzio. Derek ripeté nuovamente: "Pronto?"
Poi, sentì la voce dall'altro capo del telefono e si irrigidì. "Papà?"
Tra tutti i sensi, l'udito era forse quello che si era salvato. Ma era giunto anche il suo tempo.
Derek serrò la mascella. Ovviamente, chi poteva essere se non Stiles Stilinski, la sua personalissima dannazione.
"Stiles" lo chiamò, allora, in un sussurro sommesso che voleva significare tantissime cose, ma che dal tono sperò l'altro non capisse nient'altro che la reticenza che provava nel parlargli.
"D-Derek?!" domandò. Non lo lasciò parlare: "Che cazzo ci fai a casa mia?" la prima domanda. "Dov'è mio padre?" la seconda. "E' SUCCESSO QUALCOSA A MIO PADRE?" la terza arrivò come un gracchio.
Derek decise di rispondere unicamente all'ultima domanda che gli era stata posta, mentre alzava gli occhi al cielo. "No"
Stiles sembrò lamentarsi infastidito emettendo versi impossibili da descrivere, molto simili a quelli di un gatto indispettito che sta graffiando un po' ovunque per sfogare la rabbia. "Un no come risposta non è abbastanza, Derek!" lo ammonì.
Derek sospirò, portandosi una mano all'altezza del naso per cercare di avere pazienza e non sbraitare al telefono. Perché, in effetti, ora stava parlando proprio con l'essere umano al mondo con cui amava sfogarsi.
"Tuo padre è in bagno, al momento. A parte il pollo ai peperoni che ha voluto preparare a cena, sta piuttosto bene, quindi non gli è successo nulla. Quanto a me, francamente credo non ti interessi cosa ci faccia a casa di tuo padre."
Stiles dovette sentirsi disorientato da quella risposta così argomentata, perché per un momento non gli rispose.
"Invece gradirei saperlo" gli disse infine. Derek sospirò di nuovo, guardandosi alle spalle per vedere se nel frattempo era stato raggiunto da Noah. Ma era ancora da solo.
"Tuo padre mi ha invitato a cena."
"Perché?"
"Chiedilo a lui."
"Sto parlando con te, sai..."
Derek strinse la mascella: "Perché tuo padre mi ha detto di rispondere a questo maledetto telefono. Senti, chiama tra dieci minuti, quando sarà uscito dal bagno. Okay? Ciao." e gli attaccò il telefono in faccia, facendo dietrofront per tornarsene in salotto a guardare la partita. O meglio, erano queste le sue intenzioni, se il telefono non avesse ripreso subito a suonare.
Ovviamente, Derek riacciuffò la cornetta. "Cosa c'è?" ringhiò.
"Vaffanculo, Derek." sentì dall'altra parte, prima di sentire la chiamata interrompersi e una serie di tututututu a turbarlo.
Derek guardò la cornetta per qualche secondo, prima di rimetterla al proprio posto. Pensieroso, ma senza un pensiero nitido in testa da poter esaminare, si guardò attorno concentrandosi in particolar modo sulla lavagnetta vicino al frigorifero. Col gessetto, la grafia di Stiles aveva segnato un indirizzo che, alla fine, si concludeva con due parole significative: Quantico, Virginia. Derek si ritrovò a leggere l'indirizzo dove probabilmente l'uomo che lo aveva appena mandato a quel paese abitava, ed era cosciente che, ora, saperlo avrebbe portato le sue relative conseguenze. Non le conosceva ancora, ma il suo intuito ferino non poteva fare a meno di mostrarsi e fargli venire la pelle d'oca. Recalcitrante, se ne tornò in silenzio al proprio posto sul divano.
Non disse nulla.
Non pensò a nulla.
Tentò invano di concentrarsi sulla partita. Ma fu difficile, quando lo sceriffo riemerse dal piano di sopra e gli domandò chi fosse al telefono.
"Tuo figlio" disse atono Derek. "Oh, lo richiamo allora" replicò Noah, senza raggiungerlo, dirigendosi velocemente in cucina.
Ecco, da quel momento in poi Derek pensò a molte cose, ma soprattutto non riuscì proprio ad impedire alle proprie orecchie di origliare la conversazione tra padre e figlio.

"Cosa significa perché ho invitato Derek Hale a cena, figliolo?"
"No, ti dico che non ha senso perché io posso invitare chi voglio. E poi Derek è tuo amico-"
"Stiles, non mi sembra il caso ti debba fare un resoconto della mia vita, sono io il padre fra me e t-"
"Lo so che non dovevo mangiare il pollo con i peperoni, perché la sera è pesante! Ma ne avevo voglia, okay?"
"No, Derek non c'entra. Ho deci- senti, figliolo, non ti ho chiamato per sentirmi fare la ramanzina."
"Sì, è vero. Mi hai chiamato prima tu. Ti avrei chiamato io-"
"No, dannazione, è assurdo pensare che l'aver invitato qualcuno a casa mi possa aver fatto dimenticare di mio figlio. E poi, se proprio lo vuoi sapere, la compagnia di Derek mi fa pensare tantissimo a te"
"No, non è un'offesa, figliolo. Smettila di trattarlo così."
"Hai mai pensato che se tu smettessi di essere così indisponente nei suoi confronti, forse anche lui avrebbe modo di...ammorbidirsi? Con me non è così male, in fondo."
"Sì, sto dicendo che è simpatico. A volte molto più di te!"
"Sì, sì... tu lo conoscerai più di me, ma io so quel che dico. Ascoltami una buona volta".
"No, non dicevo sul serio. Sei più simpatico tu..."
"Sì. D'accordo. Sì. Ora possiamo parlare di te? Come stai?"


Da quel momento in poi, Derek smise di ascoltare. A volte si chiedeva se avesse sbagliato a non dire immediatamente a Stiles che tipo di legame intercorresse fra loro, ma in momenti come quello non si stupiva affatto nel ricredersi ancora.
Ricordò il giorno del loro ipotetico primo appuntamento. Quello che lui aveva tanto voluto. E a quanta paura avesse provato quando aveva scoperto che il suo amico di penna, la persona che gli rendeva migliori le giornate, fosse proprio Stiles. Lo shock fu incommensurabile nel realizzare e collegare tutte le cose che gli aveva detto ImtheRobinone con la vita di Stiles e trovare ogni senso, ogni ragionevolezza che, in fondo, non poteva essere altri se non lui.
E, all'inizio, si era arrabbiato. Perché era impossibile che fosse stato tanto stupido da non capirlo.
Poi si era spaventato, perché l'idea dell'appuntamento l'aveva voluto così tanto che, scoperte le carte, aveva visto tutte le possibili falle.
Conosceva Stiles da così poco tempo da credere che non avrebbe assolutamente apprezzato l'idea che LonelyReader fosse proprio lui. A nessuno dei due sarebbe andato bene. E Derek poteva vivere con l'idea di averlo scoperto, ma non col pensiero di vedere il rifiuto, l'ennesimo, in quell'umano, non ora che lo conosceva attraverso quelle e-mail. Così, alla rabbia si era sostituita l'amarezza nell'avere coscienza che, nonostante a Stiles sembrasse piacere LonelyReader, mai avrebbe voluto far conciliare questo con i sentimenti astiosi che aveva da sempre provato nei confronti di "Derek Hale".
Era vero. L'aveva considerato come un buono a nulla, un umano nel senso povero del termine, non si era fidato di lui e non solo perché non si era mai fidato di nessuno in generale, dopo Kate Argent, ma perché non era mai mancato l'istinto di tenersi a debita distanza da Stiles Stilinski. Forse perché lo aveva sempre considerato un pericolo. Di che tipo di pericolo si trattasse, aveva paura di scoprirlo, come aveva paura di scoprire perché così così confuso e indeciso all'idea di ammettere cosa fosse successo fra loro. Ciò nonostante, poco era importato, visto che ci era caduto dentro con tutte le zampe, in quel pericolo. E ora non ne sapeva proprio uscire. Non salvandosi la pelle, quindi nel panico, aveva smesso di rispondere alle email di Stiles. Era ambivalente la sensazione di sentirsi nel giusto e nel torto. Ed era frustrante. Perché, in realtà, voleva che l'idea che fosse Stiles e il desiderio di riprendere a scrivergli potessero in qualche modo conciliare fra loro.
Col tempo, l'aveva accettato. Aveva accettato che la parte che più apprezzava di ImtheRobinone, fosse anche quella che più detestava di Stiles Stilinski. E non l'aveva detestata più, benché continuasse a fingere. Era visibile che qualcosa in lui stesse cambiando. E, mentre si trasformava, aveva ceduto al desiderio di tornare a scrivergli e lo aveva ricercato. Stiles si era fatto trovare, e ne era stato contento. E da quel momento era iniziata la storia a cui Derek non sapeva dare una fine.
Avrebbe potuto confessarglielo in ogni momento, dopo quell'incontro mancato. Certo.
Derek non lo fece semplicemente perché, se lui fingeva di mostrarsi scontroso nei confronti di Stiles, quest'ultimo non aveva mai dato la benché minima apparenza di percepire in Derek qualcosa di positivo che potesse iniziare a farglielo apprezzare.
Stiles non poteva farlo, perché non sapeva di LonelyReader, e d'altra parte Derek non aveva fatto nulla per... farsi piacere. Non che volesse, sia chiaro!! A lui bastava scrivere a ImtheRobinone. Ovviamente.
In realtà, non sapeva nemmeno se lo volesse. Il problema era che non aveva voluto nemmeno che i suoi occhi vedessero Stiles in modo diverso, però era successo lo stesso. Ma decidere di dare una possibilità a Stiles e scorgere in lui qualcosa di buono, di apprezzabile – magari quello che invece riusciva ad esprimere nascondendosi dietro uno schermo – era una scelta più difficile da compiere. E pur di non farla, Derek spesso aveva deciso di andarsene da Beacon Hills.
O di farsi del male, vedendo Stiles assieme a qualcun altro.

La Storia Infinita - STEREKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora