Freddo.
Fu la prima sensazione che Lizbeth provò quella mattina. Socchiuse gli occhi e notò che il piumone le aveva lasciato i piedi scoperti, come succedeva sempre. Facendo leva su tutta la sua forza di volontà si alzò dal letto per andare in bagno. Quando accendendo la luce si guardò allo specchio le si presentò la stessa ragazza di ogni mattina: una cascata di ricci castani che le scendeva fin sotto le spalle, una spruzzata di lentiggini su naso e guance, e gli occhi verde smeraldo messi in risalto dall'incarnato chiaro.
Era una bella ragazza e ne era consapevole.
Non si trattava di essere vanitosa o piena di sé, era una specie di dato oggettivo. In un gruppo di persone era quella che, suo malgrado, attirava l'attenzione di chiunque con un semplice sorriso.
Una volta uscita dalla sua camera andò dritta in cucina e mise la macchinetta del caffè sul fornello. Era dall'età di tredici anni che non riusciva a farne a meno. Lo trovava rassicurante, una piccola abitudine in grado di farla sentire a casa più di qualunque altra cosa.
Dopo pochi minuti, stringendo tra le mani una tazza di caffè caldo, andò ad affacciarsi alla finestra. Il sole era sorto da forse nemmeno un'ora e la città di San Francisco era sovrastata da un cielo di un colore tra il lilla e il rosa pesca. Nonostante fosse metà settembre, l'aria era abbastanza fresca da costringere Liz a tirarsi le maniche del maglione sulle mani.
Si girò, dando le spalle alla finestra aperta. L'appartamento nel quale si era trasferita alcuni mesi prima non assomigliava ancora ad una vera e propria casa: c'erano tantissimi scatoloni attorno al divano e sparsi per il salotto, i quali, come si ripeteva ogni giorno, avrebbe svuotato al più presto.
Era tipico di lei, rimandare sempre tutto.
Guardò l'orologio appeso in cucina e per poco non lasciò cadere la tazza che teneva tra le mani. Le 8:40, avrebbe fatto tardi al suo primo giorno di università se non fosse uscita subito.
Essere sempre in ritardo, un'altra cosa tipica di lei.
Bevve tutto d'un fiato ciò che rimaneva del suo caffè e, afferrata la borsa con i libri, si precipitò fuori dalla porta.
-Buongiorno Lizbeth!-La voce arrivò da dietro di lei e quando si girò notò la signora Ramirez, la sua dirimpettaia, ferma sulla soglia del suo appartamento. Era una signora sulla settantina, non particolarmente alta, la pelle color del cioccolato al latte, che vestiva sempre degli strani foulard colorati. La tipica dolce nonnina, con le rughe sottili che le attraversavano il viso e gli occhi dolci come il miele. Teneva tra le braccia un grande gatto persiano che faceva le fusa ad ogni sua carezza.
-Buongiorno signora Isabel!- Gridò la ragazza di rimando mentre scendeva di corsa le scale.
"Ok Lizbeth pensa" si disse "hai 20 minuti, due scelte: aspettare l'autobus che arriva davanti all'università ma che potrebbe anche non passare mai, oppure fare affidamento sulle tue forze e camminare."
Scelse la seconda e, assicurata la borsa sulla spalla, si incamminò.
C'era poca gente per le strade di San Francisco, le uniche persone presenti oltre a lei erano i postini, intenti a consegnare il giornale del mattino pedalando a tutta velocità sulle loro biciclette, e i genitori che accompagnavano i propri figli a scuola. La città era immersa in una profonda quiete, situazione che, pensava lei, sarebbe durata ancora poco. Adorava quel momento della giornata, quel momento in cui le strade non erano ancora traboccanti di persone e per le strade non risuonavano i rumori dei clacson delle auto. Quando sembrava che tutto fosse lì solo per lei, come se Liz fosse la protagonista di un film appena iniziato. Quel pensiero le strappava sempre un sorriso.
Guardò l'orologio e, realizzando che la sua prima lezione sarebbe iniziata di lì a 10 minuti, lasciò da parte le sue riflessioni mattutine e percorse correndo i tre isolati che la separavano dall'università.
La San Francisco State University era un imponente edificio a vetrate, fondato nel 1899, il cui motto era " Experientia docet", frase che il rettore adorava attaccare ovunque nel campus.
La ragazza stava attraversando la strada per raggiungere il cortile della scuola, quando uno stridore di freni e il suono assordante di un clacson la fecero fermare di colpo.
Si voltò verso destra trovandosi davanti un pick-up blu scuro.
Strano che non l'avesse sentito arrivare.
Sembrava il tipo di macchina, pensò Liz, che avrebbe guidato un tipico giovane di campagna: di quelli con la camicia a quadri, i lunghi capelli color del miele e il cappello di paglia. Ma le fantasie che già si stavano affollando nella mente di Liz furono interrotte dal ragazzo che, sceso dalla macchina, le si stava avvicinando.
-Tutto bene?- le chiese.
Non sembrava affatto che arrivasse dalla periferia, notò lei, anzi.
Le spalle larghe, l'addome piatto e la muscolatura sviluppata suggerivano che frequentasse regolarmente la palestra, inoltre, il taglio di capelli alla moda sommato al telefono di ultima generazione confermavano la sua appartenenza alla città.
-Sì sì, tutto bene. Certo potresti anche fare attenzione quando guidi, idiota!- E, senza aggiungere altro, Liz corse via.
-E tu potresti anche guardare prima di attraversare!- Aveva controbattuto lui tornando in macchina, ma Liz lo ignorò.-Bene bene e lei sarebbe?- La apostrofò il professore quando la vide varcare la soglia dell'aula.
-Dawson, Lizbeth Dawson.-
-Ah si Dawson- Ripeté lui-Primo giorno da matricola e siamo già in ritardo. Bene, prego si sieda. Dunque, come stavo dicendo prima che la signorina Dawson mi interrompesse, io sono il signor Maximilian Jules e sarò il vostro professore di psicologia generale quest'anno. Cerchiamo di mettere subito in chiaro una cosa- disse poi in tono perentorio
-io non faccio sconti a nessuno. Da me riceverete ciò che avrete dato durante l'anno,nulla di più nulla di meno- e così dicendo si sedette dietro la cattedra.
Era decisamente quel tipo di professore, uno di quelli il cui scopo è renderti la vita un inferno, constatò la ragazza.
Jules stava per cominciare la lezione quando il cigolio della porta che si apriva lo interruppe nuovamente.
Liz alzò lo sguardo sulla persona ferma sulla soglia dell'aula e restò di stucco.
Fermo davanti all'entrata, con l'aria di chi non ha nulla di cui scusarsi, c'era lo stesso ragazzo che poco prima l'aveva quasi investita.
-Vedete ragazzi- disse sbuffando il professore - Luke Harrison è la prova che se non vi impegnate nella mia materia vi ritroverete al terzo anno con un esame arretrato del primo. Adesso, se non ci sono altre interruzioni, comincerei la lezione.
Harrison, non posso dire che rivederti sia un piacere, ti prego siediti-
Jules si girò verso la lavagna.
-Vale lo stesso per me, professore- scherzò il ragazzo provocando le risa di buona parte della classe.
Il nuovo arrivato si sedette nell'unico posto libero che trovò, ovvero accanto a Liz. Dopo essersi seduto la osservò realizzando poi chi fosse. Visibilmente imbarazzato si passò una mano nei lisci capelli castani accennando un sorriso.
"Brava Liz" pensò la ragazza "hai appena fatto la tua prima figura di merda!"
E così, imbarazzata e arrossita, Liz si lasciò scivolare nella sua sedia.
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La chiave mancante
Mistero / ThrillerUn mistero rimasto sepolto per anni. Un nome su una lavagna come unico indizio a disposizione. Una fuga di informazioni che rischia di compromettere gli equilibri del mondo intero. E due ragazzi con un segreto da nascondere. Sono questi gli elementi...