L'albero di Natale

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Fuori la neve scendeva abbondantemente il pomeriggio in cui Sarah vide suo padre entrare in casa con il nuovo albero di Natale. Lo fissò sorpresa, non si aspettava una creatura così grande e maestosa, eppure così indifesa.

-Ti piace?- le chiese il genitore.

La bambina lo fissò un attimo sgranando gli occhi, quindi annuì, più per non deluderlo che perché le piacesse davvero. Quel grande albero suscitava in lei un vago timore, ecco la verità.

-Potrai addobbarlo con mille palline colorate- proseguì l'uomo, dandole un colpetto sulla testa –ma domani, adesso dobbiamo andare a mangiare- quindi sistemò l'albero ed uscì dalla stanza.


Quella sera Sarah andò a vedere il nuovo arrivato da vicino. Era così alto che sfiorava il soffitto. La bambina si avvicinò e sfiorò uno dei rami. Le rimase attaccata sulla mano una bizzarra polverina dorata e poi il ramo cadde. Lei sobbalzò spaventata, non avrebbe dovuto toccarlo, non sotto lo sguardo attento dei genitori. Subito s'inginocchiò, voleva recuperarlo e farlo sparire, lo aveva visto in un film, era quello che si faceva in casi simili, far sparire tutte le prove, prima che sia troppo tardi. Individuò subito il rametto e vide anche qualcos'altro. Sembrava un sfera, come se una palla di Natale fosse già stata attaccata, solo che la posizione in cui si trovava era oltremodo bizzarra, nascosta là sotto, dove non si poteva vedere. Allungò il braccio per toccarla. Era dura al tatto, ma anche viscida e poi sembrava di mille colori. Sarah sorrise, le piaceva molto. Guardatasi in giro afferrò la palla e la portò nella propria stanza. Decise di nasconderla in un vecchio scrigno in cui un tempo aveva nascosto il suo diario segreto. Il luogo più sicuro del mondo. Ora le era quasi parso che la palla fosse diventata calda. Chissà, forse era una sorpresa che le volevano fare i genitori. Ridacchiò tra sé.

- Sarah – la chiamò la madre. La bambina uscì subito dalla stanza e corse da lei.

–Eccomi- esclamò, allargando le braccia.

-Tesoro- rispose la donna, stringendola a sé –è ora di andare a dormire-

-Sì, mammina- disse la bambina, baciandola su entrambe le guancie. -Domani addobberemo l'albero-

-Non vedo l'ora-


Quella notte Sarah fece degli strani sogni. Sognò di avere le ali e di volare sopra una strana città fatta di palazzi sospesi a mezz'aria ed abitata da piccole creature pallidissime e con lunghi abiti, come quelli delle principesse che si vedevano nei film. La neve le sfiorava la pelle, ma non era fredda, anzi, sembrava quasi bollente. E poi iniziò a sentire una voce.

-Tra poco nascerò a nuova vita, tra poco sarò di nuovo parte del mondo-

Sarah si svegliò di soprassalto ed abbracciò l'orsacchiotto che teneva nel letto, anche se ormai stava diventando un po' troppo grande per giocare con un peluche. O almeno questo era ciò che le diceva il padre. Chiuse gli occhi nel tentativo di addormentarsi e le parve di sentire un ticchettio, come di qualcosa che sbatte dentro un contenitore. Si mise seduta e si guardò intorno, ma non vide nulla, la stanzetta era avvolta nelle tenebre. Si sdraiò nuovamente e si riaddormentò.


Quella fu solo la prima sera caratterizzata da strani sogni. Sarah si ritrovò a fare spesso sogni simili. Volava sempre su città e luoghi dall'aspetto bizzarro, popolati da creature che mai avrebbe immaginato che esistessero e poi sentiva sempre la stessa voce che le comunicava qualcosa, come il fatto che sarebbe rinata presto. Sarah era allo stesso tempo affascinata e terrorizzata da tutto ciò e non riusciva a capire come ciò fosse possibile. E poi una notte si svegliò e vide una strana luce provenire da sopra il comò, meglio ancora, la luce proveniva dallo scrigno dove aveva messo la palla ed il coperchio sembrava pulsare. Spinta dalla curiosità si alzò ed andò a vedere cosa stava succedendo. Con le mani tremanti sollevò il coperchio e restò a bocca aperta. Una piccola creatura alata, quasi una bambolina, stava rannicchiata tra quelli che parevano i resti di un guscio d'uovo. Il piccolo essere aveva i capelli lunghi e turchini ed indossava una strana tunica, che pareva parte integrante di essa, quasi fosse una seconda pelle. Alzò la piccola testa e fissò negli occhi Sarah.

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