CAPITOLO 3

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Avevano trovato rifugio in una grotta a circa dieci chilometri dalle macerie di un villaggio ormai abbandonato. Molto all'interno nella grotta un piccolo fuoco mandava i suoi bagliori, troppo dentro e troppo piccolo perché un pennacchio di fumo fosse visibile da fuori. Stavano mangiando carne di capra e un po' di riso, prima di riposarsi, l'indomani sarebbe stata una giornata molto intensa. Posò la ciotola ormai vuota «Domattina voi» indicando cinque uomini «andate al pozzo a nord. Noi» fece segno agli altri quattro compreso lui «andremo a sud» gli ordini erano di avvelenare i due pozzi che rifornivano di acqua potabile tutta la zona. Questo era l'unico modo per conquistare i villaggi che ancora opponevano resistenza e porre finalmente fine a quella guerra che stava facendo sempre più vittime e nel contempo rinforzava le file dei terroristi con i superstiti che avendo perso tutto cercavano solo la vendetta contro gli invasori infedeli. Lui sapeva bene che avvelenando quei pozzi non sarebbero morti solo i soldati nemici ma una grandissima quantità di civili: donne, anziani e bambini, ma gli ordini erano stati precisi e gli ordini non si discutevano, si eseguivano. Lui non doveva porsi domande, lui e i suoi uomini dovevano solo ubbidire. «Ora riposate» ordinò ai suoi uomini prima di alzarsi e andare a sdraiarsi nei pressi di una roccia vicino al fuoco «domattina sveglia all'alba» disse sistemandosi di lato mentre dentro di lui il peso di quello che dovevano fare gli bruciava come un fuoco.

***

Il picchiettare sul legno della porta la fece trasalire. Maria era così intenta a sistemare la cucina immersa nei suoi pensieri che quasi si spaventò. Non poteva essere la sua amica Teresina perché era andata per qualche giorno da una lontana parente e sarebbe ritornata poco prima di sera giusto per la festa del paese e quello non era neanche l'orario in cui la signora Concetta, l'anziana amica di sua nonna, veniva a farle visita. Concetta sapeva che "Rosina", come la chiamava lei, a quell'ora del primo pomeriggio riposava, quindi Maria si apprestò ad andare in ingresso, mentre si asciugava le mani al grembiule, con un senso di curiosità crescente. Non succedeva mai niente di diverso nella sua vita, persino le poche visite erano abitudinarie e programmate. Con questo spirito aprì la porta. La prorompente figura dell'anziano prete copriva quasi per intero la visuale, Maria sorrise con stupore non aspettandosi la visita di Don Ferdinando. «Buongiorno padre come mai da queste parti?» chiese la ragazza mentre qualche passo dietro al parroco si intravedeva l'imponente figura di un giovane uomo. «Buongiorno a te Maria, siamo qui» rispose il prete indicando l'uomo dietro di lui «per parlare con tua nonna». Lei spostò lo sguardo alle spalle del prete guardando quell'uomo. «Mi dispiace padre ma la nonna sta riposando ora» rispose senza riuscire a distogliere gli occhi da quella figura silenziosa e massiccia alle spalle di Don Ferdinando. «Capisco» disse il parroco «ma, se fosse possibile, senza disturbare tua nonna vorremmo dare un'occhiata alla vecchia moto di tuo nonno. Quest'uomo sarebbe interessato ad acquistarla». Maria riportò lo sguardo sul parroco sorridendo stupita in modo amabile e sincero «acquistarla?» chiese «mi dispiace padre ma quella moto è ferma da anni, nemmeno uno di quei miracoli di nostro signore che lei racconta in chiesa, riuscirebbe a farla ripartire» continuò con una nota di pungente ironia. Michael alle spalle del prete non poté fare a meno di sorridere al sarcasmo irriverente della ragazza, mentre Don Ferdinando leggermente contrariato si sistemò il colletto della camicia, il sole era sempre più caldo e lui si stava pentendo di aver proposto a quell'uomo forestiero di andare a vedere la moto subito dopo pranzo, quando invece sarebbe stato decisamente meglio aspettare il tardo pomeriggio dopo la sua quotidiana pennichella. «Ragazza di poca fede» rispose asciugandosi la fronte con il fazzoletto che aveva preso dalla tasca della tonaca «non devi mai mettere limiti alla provvidenza di Dio» si girò verso Michael «magari quest'uomo riesce a farla ripartire» continuò il prete. Maria riportò lo sguardo su quel forestiero, era un uomo alto dal fisico muscoloso, la pelle leggermente scurita dal sole e i capelli mossi, quasi ricci, che gli davano un senso di ribellione. Lo sguardo era intenso e gli occhi color nocciola sembravano avere un nonsoché di doloroso al loro interno. «Io non pongo limiti padre, ho solo dei dubbi» sospirò la ragazza «Comunque la moto è dietro la casa, accanto al pollaio, coperta da un telo, è da anni che è diventata la giostra delle nostre galline» sorrise divertita «andate pure a vederla se ci tenete tanto» disse alla fine riportando lo sguardo su quell'uomo forestiero. Don Ferdinando tirò un sospiro di sollievo, il caldo stava diventando insopportabile e non avrebbe resistito un minuto di più davanti a quella porta. «Grazie Maria» disse il prete avviandosi a fare il giro della casa mentre Michael e Maria continuavano a guardarsi. Quegli occhi sembravano ipnotici, Maria sapeva che, normalmente, nessuno riusciva a sostenere il suo sguardo per troppo tempo, quindi, rimase sorpresa notando che questa volta la cosa sembrava non funzionare, si rese conto, invece, che era lei che, quasi inconsciamente, non riusciva più a restare con la testa alta, mentre sentiva le guance iniziare a diventare calde, ma soprattutto, cosa molto rara, percepiva quegli occhi così in profondità da sembrare quasi come se volessero leggerle l'anima, erano intensi a tal punto da farle accelerare i battiti del cuore. «Vieni Michael, non penserai che vada da solo in mezzo a quelle galline» disse il parroco poco prima di girare l'angolo della casa. La voce di Don Ferdinando sembrò risvegliarli, «certo padre sto arrivando» rispose Michael, accennando un sorriso verso la ragazza, prima di seguire il vecchio prete. "Michael, si chiama Michael" pensò Maria rientrando in casa con una strana agitazione che quegli occhi le avevano causato alla bocca dello stomaco.

***

Il vecchio telone sporco e pieno di escrementi aveva in parte protetto la moto almeno dalle intemperie, certo non aveva potuto fare niente per gli anni trascorsi che avevano formato alcuni strati di ruggine e incrostazioni evidenti sulla carrozzeria. Era una v7 special del 1969 di colore bianco nera con filetti rossi e zone cromate sul serbatoio, all'epoca doveva essere stata una moto molto elegante e di ottimo impatto estetico. Michael provò a spingerla fuori dal recinto delle galline stando attento a non farle scappare, non voleva avere discussioni con quella giovane ragazza, aveva subito avuto la sensazione che si trattasse di una tipa piuttosto tosta che era meglio non fare arrabbiare. Il ripensare a lei, si rese conto, gli stava procurando una stranissima sensazione, soprattutto quegli occhi lo avevano colpito. Da sempre gli occhi sono considerati lo specchio dell'anima, ora lui non sapeva se questo corrispondeva al vero, ma senza ombra di dubbio quella ragazza aveva uno sguardo limpido e puro, almeno quella era la sensazione che quegli occhi grandi e intensi gli avevano lasciato.

«Credi di riuscire a farla ripartire?» chiese Don Ferdinando, continuando ad asciugarsi il sudore dalla fronte con il fazzoletto ormai ridotto a una pezza umida, mentre chiudeva il cancelletto di ferro appena la vecchia moto fu fuori dal recinto. Michael guardò il motore, era di tipo bicilindrico a "v" longitudinale, quella sarebbe stata la parte più difficile da sistemare anche perché trovare gli eventuali pezzi di ricambio sarebbe stata un'impresa. «Non lo so ancora, devo smontare i due carburatori, vedere in che condizioni è il motore e la marmitta prima di poter dire qualcosa» rispose Michael trascinando la moto che, con le ruote sgonfie sul terriccio accidentato, opponeva una decisa resistenza nel muoversi quasi a non voler abbandonare quel luogo che per molti anni era stata la sua dimora. «In ogni caso credo di volerci provare, sempre se la vendono» aggiunse continuando a spingere con fatica quella vecchia moto.

Fatica... Il corpo che stava trasportando sulle spalle era pesante, le gambe gli facevano male tutti i suoi muscoli gridavano mentre cercava di schivare i proiettili che sibillavano impazziti. «Resisti siamo quasi arrivati» gridò tra il frastuono di esplosioni e colpi di granate, anche se l'uomo ormai da qualche minuto non rispondeva più. Era sudato e sporco di sangue mentre le esplosioni dei colpi di mortaio che cadevano formavano voragini sempre più vicine. Trascinava le gambe ormai senza quasi più forza «siamo al rifugio lo vedo» gridò di nuovo, più per dare forza a se stesso che per l'uomo che probabilmente era svenuto. L'ultima esplosione, vicinissima, li scaraventò a terra tra nuvole di polvere e odore di bruciato. Immediatamente, strisciando, si avvicinò al corpo dell'uomo che era rotolato a qualche metro da lui, pronto per riprenderlo sulle spalle... Gli occhi spalancati e un rivolo di sangue che colava dal labbro gli fecero capire che ormai non c'era più nulla da fare. Guardò l'ingresso della grotta che era il loro rifugio... urlò di rabbia e di dolore, pochi metri maledizione, mancavano solo pochi metri...

«Sei davvero sicuro di volerci provare?» la voce di Don Ferdinando lo riportò in sé. «Sí» sospirò asciugandosi il rivolo di sudore sulla fronte. Ridare vita a quella moto probabilmente sarebbe stato come ridare vita a se stesso pensò prima di fermarla davanti alla porta della casa della signora Rosa e di sua nipote.

REBORNDove le storie prendono vita. Scoprilo ora