CAPITOLO 9

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Era una giornata decisamente calda, il cielo sgombro da nuvole non aveva opposto nessuna resistenza ai raggi di un sole pieno e afoso. L'aeroporto internazionale Charles De Gaulle o comunemente noto come aeroporto Roissy è situato a circa venticinque chilometri a nord est di Parigi. E' tutt'ora considerato il primo aeroporto di Francia e il suo nome è dovuto alla città di Roissy en France della quale occupa più della metà del territorio. Per traffico aereo è il primo aeroporto in Europa ed uno dei primi al mondo. Uno dei numerosi aerei di quella giornata, dopo aver fatto un giro per rispettare la precedenza, atterrò, con alcuni minuti di ritardo, sulla pista numero sette. I passeggeri in fila indiana scesero dal velivolo per recarsi alla navetta che li avrebbe condotti al ritiro bagagli e controllo passaporti. Era un volo proveniente dagli Stati Uniti con oltre duecento persone a bordo. L'uomo in fila, aspettò il suo turno, prima di fermarsi di fronte allo sportello ed esibire un passaporto perfettamente autentico che l'impiegato, dietro ad un vetro, controllò in modo svogliato per poi restituirlo con un sorriso forzato e un «benvenuto in Francia signore». L'uomo rispose al sorriso con fare gentile e preso il passaporto si avviò, trascinando il trolley, verso l'uscita in cerca di un taxi. Appena fuori dall'enorme porta fu investito da un caldo afoso e una luce intensa. Si avvicinò al taxi fermo all'inizio della fila. Parigi era solo la prima tappa, lì avrebbe ricevuto gli ordini e i documenti necessari. Lì sarebbe iniziato tutto.

***

Gli ultimi raggi di un sole ormai prossimo al tramonto, illuminavano il sentiero che li stava portando al paese. Maria camminava con Michael accanto che spingeva la sua bicicletta, con un misto di sensazioni che andavano dalla felicità per come era stata con lui ma anche dal dispiacere perché a breve si sarebbero lasciati, ma quello che la lasciava più perplessa, era il fatto che lui, non le avesse detto neanche una parola su quello che era successo. Era quasi sicura che lui era stato bene, ne aveva avuto più di una dimostrazione, da come erano stati bene a letto, a come avevano praticamente pianto insieme dando sfogo ad un dolore represso e opprimente, ma il fatto che lui non avesse più detto neanche una parola, la turbava e le dava fastidio, quel silenzio le stava mettendo molti dubbi nella testa. Dubbi che riguardavano lui, ma anche lei. Aveva avuto qualche storia in passato ma niente di paragonabile a quello che stava provando ora. Era vero che non lo conosceva come era vero che aveva dieci anni in più di lei e che arrivava da un mondo completamente diverso dal suo, ma quello che inizialmente poteva catalogare come un'attrazione fisica, una scarica di ormoni impazziti che l'avevano attratta a lui come una calamita attira il ferro, ora che erano stati insieme era diventato qualcosa di molto più di un infatuazione. Lei era sempre stata molto critica con se stessa, aveva sempre cercato di capirsi, di dare una spiegazione razionale a ciò che faceva, a quello che provava. Ora però non ci riusciva. Aveva sì intuito una cosa, lo aveva capito nell'istante che aveva assaggiato le sue labbra, che aveva accarezzato il suo volto, le sue ferite. Aveva capito che quell'uomo le piaceva, le piaceva il modo in cui la guardava, come la faceva sentire, le piaceva il suo sorriso, la sua forza, i suoi silenzi. Perfino le sue cicatrici e i ricordi carichi di dolore che trasparivano dai suoi occhi, ma allo stesso tempo sapeva che la scelta di continuare a vedersi non poteva dipendere solo da lei. Si girò in modo istintivo, mentre continuavano a camminare uno accanto all'altro a guardarlo, a disegnare con gli occhi il suo volto: la mascella indurita, la leggera barba del giorno prima, i capelli mossi e ribelli, le linee del viso decise, dure, che si addolcivano però nel momento del sorriso. Dio santo cosa le stava succedendo, lei non aveva mai parlato così. «Cosa stai pensando?» chiese lui riportandola alla realtà «niente» rispose lei sorridendo, sapendo benissimo che quello avrebbe potuto essere anche un addio. «Continui a guardarmi come se mi volessi dire qualcosa» si fermò girando il viso verso di lei. Ormai erano quasi arrivati all'inizio del paese «Stavo solo pensando, forestiero» affermò lei un po' sulla difensiva. «Sono curioso» lui sorrise continuando a guardarla. Maria rispose al sorriso portando una mano al suo volto e accarezzandolo sentiva la pelle dura e crespa di una barba accennata «pensavo che sono davvero stata bene oggi» fece un passo, girandosi, per portarsi di fronte a lui e alzandosi leggermente sulle punte, posò le sue labbra su quelle di lui baciandolo con dolcezza. Non avrebbe voluto lasciarlo, non prima di sentire quello che voleva le dicesse, ma ormai erano vicino al paese e lei doveva andare «sono arrivata» sussurrò mentre si staccava dalle sue labbra. «Non mi hai detto cosa pensavi» chiese Michael che sembrava perplesso dall'atteggiamento di Maria. «Te l'ho detto straniero, pensavo solo che sono stata molto bene oggi». «Perché ho la sensazione che ci sia un seguito che non vuoi dirmi» Michael continuava a cercare di guardare i suoi occhi, ma lei improvvisamente li abbassò come a voler nascondere i pensieri "perché non mi dici niente, perché non mi dici anche tu come sei stato, cosa hai provato? Ho bisogno di saperlo". Invece, entrambi rimasero in silenzio per alcuni secondi, come in attesa di un qualcosa che però non sarebbe arrivata, con il sottofondo della leggera brezza che accarezzando i rami degli alberi muoveva le foglie in una specie di danza leggera, poi Maria sospirando con un senso di frustrazione rialzò la testa e con un accenno di sorriso forzato sul volto, prese la bicicletta «devo andare ora» disse salendoci sopra e iniziando a pedalare in modo deciso come a volersi allontanare velocemente. Michael la vide avviarsi sul sentiero fino alla curva dove lei, svoltando, sparì dalla sua vista. Rimase così immobile per alcuni minuti fissando il punto in cui lei era scomparsa "anche io sono stato molto bene con te oggi" pensò, toccandosi il viso nello stesso punto dove le dita di lei lo avevano accarezzato, prima di girarsi per tornare mestamente alla cascina.

***

L'uomo scostò la tenda nera e si infilò nel confessionale. Era atterrato solo da poche ore, aveva avuto giusto il tempo di sistemarsi nell'appartamento assegnatogli ed era andato al suo appuntamento alla cattedrale. Era la sua prima tappa, era l'inizio. «Angelus Domini» disse nella penombra, «Angelus Domini figliolo» la risposta era quasi un sussurro. «Vengo da molto lontano per confessarle i miei peccati, padre» era la frase che doveva dire, la frase per farsi riconoscere. «Non è la distanza che fa avere l'assoluzione» rispose la voce da dietro la grata. Quella era la risposta che aspettava, quel finto prete era il suo contatto «mi hanno detto che hai qualcosa per me» disse l'uomo. Da sotto la grata attraverso una piccola feritoia il finto prete spinse una busta da lettere bianca «questo è ciò che devi fare» aggiunse la voce. L'uomo prese la busta e la infilò in tasca prima di alzarsi e uscire dal confessionale, il colloquio era finito aveva ciò che gli serviva per cominciare. Uscì dalla cattedrale socchiudendo leggermente gli occhi per proteggersi dai raggi del sole che sembravano ancora più luminosi passando dal buio della chiesa alla luce del giorno. Toccò la busta bianca che aveva in tasca quasi a cercare una sorta di rassicurazione. Non ne conosceva il contenuto, sapeva solo che quelli sarebbero stati per lui ordini indiscutibili. Si avviò, camminando lentamente come un turista che ammira una città sconosciuta, verso il suo appartamento. Avrebbe controllato la busta appena arrivato nella sua stanza. Ne avrebbe letto il contenuto con estrema attenzione per poi distruggerlo facendo in modo da non lasciare neanche la più piccola traccia. In fondo lui era il migliore, era stato addestrato e preparato per ogni operazione e non avrebbe fallito.

REBORNDove le storie prendono vita. Scoprilo ora