CAPITOLO 12

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Erano immersi nel buio, nessuna luce intorno a loro, solo il lieve rumore del motore che emanava un forte odore di gasolio. Erano assiepati in uno di quei barconi fatiscenti carichi di dolore e paura. L'imbarcazione al massimo poteva contenere venti persone, ma salendo a bordo, quando erano partiti, ne avevano contate più di cinquanta. L'uomo che li aveva accompagnati, li aveva fatti vestire con abiti sporchi e malandati che puzzavano di sudore in modo che si confondessero tra il folto numero di migranti. Non sapevano a chi fossero appartenuti quegli abiti e francamente non gli interessava neanche. Salendo sull'imbarcazione, erano stati condotti vicino al timoniere in una posizione leggermente più elevata, quasi privilegiata, lontano dal puzzo di piscio che si mischiava con l'odore della paura. Molte donne e molti uomini che erano su quella barca non avevano neanche mai visto il mare. Nonostante la notte fortunatamente fosse stellata e il mare calmo il movimento del battello sulle onde aveva già provocato a diversi di loro conati di vomito e mal di mare, in alcuni punti dell'imbarcazione il fetore era insopportabile. Due dei sei bambini che erano a bordo piangevano disperati e impauriti vanamente tenuti dalle loro mamme nel tentativo di tranquillizzarli. Il timoniere che si faceva chiamare Jamel urlava di fare silenzio per non farsi sentire dalla guardia costiera Libica che altrimenti li avrebbe ricondotti indietro, anche se sapevano tutti che la guardia costiera era complice di quel traffico di merce umana. L'obbiettivo dichiarato di Jamel era quello di oltrepassare le acque internazionali e farsi trovare da una petroliera o da un'altra imbarcazione al largo di Lampedusa, facendo in modo che questa avvisasse la guardia costiera Italiana. Quindi doveva puntare diretto verso la costa Italiana per essere sicuri di arrivare in Italia e non magari venire salvati da altre imbarcazioni che li avrebbero portati a Malta o in Grecia. Aveva percepito una lauta ricompensa per quel lavoro e sapeva bene che non poteva fallire.

***

Le parole di Don Ferdinando avevano continuato a girargli nella testa per tutta la serata. Aveva pensato attentamente a cosa fare, era inutile nasconderlo o provare a negarlo, Maria gli piaceva e quella notte prima di addormentarsi non aveva fatto altro che pensare a lei. Prima che il sonno lo cogliesse aveva finalmente deciso che sarebbe andato a cercarla la mattina dopo e stranamente quella decisione, per la prima volta dopo molto tempo, era servita per farlo dormire senza incubi. Un'intera nottata senza nemici che venivano a trovarlo o ricordi che lo assalivano. Appena aperti gli occhi, il primo pensiero che gli attraversò la mente fu lei. Sorrise. Si sentiva stranamente tranquillo, rilassato, Maria aveva un potere terapeutico per lui, sperava solo che non fosse troppo tardi per cercare di recuperare il rapporto con lei. Uscì dalla cascina e si avviò, scendendo, verso il mare. Il sole era appena sorto e il mare era una tavola che sembrava dipinta, arrivato al bagnasciuga si tolse i vestiti che ammucchiò al riparo dietro una roccia e si tuffò. La sferzata di gelo che sentì all'impatto con l'acqua servì a risvegliarlo ulteriormente, iniziò con poderose bracciate a nuotare verso il mare aperto, aveva sempre amato il mare, fin da bambino, ancora ricordava l'ultima vacanza che aveva fatto con suo padre, l'ultimo ricordo che aveva di lui prima che quella bomba esplosa in quel resort se lo portasse via per sempre. Si fermò girandosi a guardare la spiaggia, la sua casa non si vedeva quasi più. Rimase a galla guardando la cascina che sembrava un piccolo punto bianco in lontananza nascosto dalla vegetazione della collina. Il mare lo rilassava e la voglia di rivedere Maria lo galvanizzava. Riprese a nuotare ritornando verso la spiaggia con, nel petto, un desiderio fisico, quasi opprimente, di lei e con la speranza che Maria gli desse almeno la possibilità di spiegare.

***

Rosa era seduta sotto il portico della sua casa in attesa dell'arrivo della sua amica Concetta. Era preoccupata perché vedeva sua nipote infelice e pensierosa. Maria era sempre stata una ragazza forte, una che aveva sempre affrontato tutte le difficoltà della vita senza tirarsi indietro, ora sembrava invece non aver voglia di reagire e questa sua apatia, per lei che la conosceva bene, era preoccupante. Neanche quando si era lasciata con quel ragazzo conosciuto il primo anno di università era stata così male, eppure quella relazione era durata mesi, mesi nei quali Maria sembrava felice, sembrava aver trovato la persona giusta per lei. Il rombo del motore, che sentì in lontananza, le aumentò leggermente i battiti del cuore, con curiosità allungò lo sguardo fino in fondo alla via dove una macchia quasi indefinibile si stava dirigendo verso la sua casa. Quel rumore la stava riportando indietro di cinquant'anni. Michael fermò la moto di fronte al porticato della sua casa e, mettendo il cavalletto, scese andando verso l'anziana donna seduta sulla sedia a dondolo. «Buongiorno Rosa» disse togliendosi il casco. Rosa guardava la moto con gli occhi lucidi e pieni di ricordi «sei riuscito a sistemarla, vedo». Michael si voltò a guardare la moto con un sorriso dipinto sul volto «si» rispose con soddisfazione «è una gran moto» aggiunse rigirandosi verso la donna. «Lo so» sospirò lei ancora persa nei suoi ricordi. «Vorrei parlare con Maria» disse Michael attirando immediatamente su di sé lo sguardo della donna. «Maria non è in casa» rispose leggermente contrariata Rosa che voleva in tutti i modi proteggere sua nipote. Michael si avvicinò alla donna «signora Rosa ho davvero bisogno di parlare con sua nipote, ho bisogno di spiegarle alcune cose». Rosa continuava a guardarlo non sapendo se fidarsi o meno di quell'uomo. Lo guardava negli occhi cercando di capire se era sincero, alla fine decise di provare a dargli una possibilità. «Maria non merita di soffrire» affermò decisa. «Lo so. Per questo voglio parlare con lei» Michael abbassò lo sguardo con un senso quasi di colpa. Rosa sospirò «è con la sua amica Teresa» disse «di solito vanno giù al parco belvedere» fece cenno con la testa verso la via da percorrere. Michael sorrise sentendosi stranamente felice «grazie» rispose infilandosi il casco e salendo sulla moto. Partì velocemente percorrendo tutta la via, con il vento che gli veniva incontro e con l'ansia che gli cresceva dentro. Appena arrivò quasi alla fine del paese, trovò alla sua destra il parco belvedere. Si fermò davanti al cancello d'ingresso e scese dalla moto, avviandosi, una volta dentro, per il sentiero contornato di alberi e panchine, in cerca delle due ragazze. La prima a incrociare il suo sguardo fu Teresa. «Credo che tu abbia una visita» disse rivolta a Maria. Erano sedute su una panchina che si affacciava sul promontorio. Maria, che era seduta dando le spalle all'ingresso del parco, si girò leggermente per guardare nello stesso punto dove stava guardando Teresina. Il cuore iniziò a palpitare forte vedendolo avvicinare. Michael si fermò di fronte alle due ragazze «ciao» disse cercando di sorridere. «Ciao» risposero quasi in coro. Michael, sentendosi leggermente a disagio, si passò una mano tra i capelli, come se quel gesto potesse tranquillizzarlo, ma non servì a granché «posso parlarti un minuto?» chiese guardando Maria. Teresina si girò verso l'amica aspettando un cenno, se lei non voleva non l'avrebbe mai lasciata da sola. Maria acconsentì. Teresa a quel punto si alzò dalla panchina passando accanto a Michael «se le fai del male Rambo, ti strappo le palle con le mie mani» gli sussurrò allontanandosi. Michael si sedette accanto alla ragazza «ho capito che in questo paese ci sono un sacco di persone che ti vogliono bene» memore del discorso che gli aveva fatto Don Ferdinando prima, Rosa poi e adesso Teresina. «Si vede che me lo merito» rispose lei. Michael sorrise mimando un si con la testa «perché Rambo?» chiese incuriosito. Maria sorrise anch'essa, «volevo conoscere alcune cose che ti riguardavano» disse sinceramente anche se un po' si vergognava «e abbiamo provato a cercare il significato del tuo tatuaggio». Michael si guardò la spalla destra istintivamente «per questo ti sei allontanata da me?» abbassò gli occhi sentendosi colpevole «per quello che hai trovato?». Maria fu colpita da quella domanda, gli prese il volto tra le mani girandolo verso di lei «non mi sono allontanata, sono sempre stata qua» rispose guardando i suoi occhi con dolcezza. Aveva passato giorni di rabbia, quasi di odio e ora le era bastato averlo accanto per un minuto per far svanire tutto. Michael le accarezzò il viso quasi a controllare che fosse davvero lei «avevo paura» confessò. «Di me?» chiese sorridendo lei quasi incredula. Si era preparato tutto un discorso per farle capire cosa provava e ora che era seduto accanto a lei non trovava le parole. «Avevo paura di perderti» ammise sinceramente. «Perché?» Maria in quel momento era disarmata dal dolore che vedeva nel suo sguardo. «Perché questa da sempre è stata la mia vita» Michael deglutì come a far scendere quel groppo che sentiva salirgli in gola «tutti quelli che ho amato in un modo o nell'altro se ne sono andati e non volevo succedesse anche con te». Lei sospirò intuendo finalmente una parte del dolore che lui aveva dentro «Io invece avevo paura di essere stata solo una scopata per te». Michael la guardò iniziando a capire il perché del suo comportamento, del suo addio, e ora si spiegava anche perché lei non lo avesse più cercato. «Mi dispiace» sussurrò provando a immaginare il tormento di lei. Rimasero così seduti in silenzio guardando il panorama che si prospettava davanti ai loro occhi per alcuni istanti entrambi persi nei loro pensieri. «Perché sei qua Michael?» chiese lei improvvisamente. Lui si girò allungando una mano per prendere la sua, gli sembrava quasi che lei stesse tremando leggermente «potrei dirti che sono qua per invitarti a fare un giro sulla moto di tuo nonno» sorrise sapendo benissimo che non era quello che lei voleva sentirsi dire. Maria, però, si prestò al suo gioco «interessante» affermò, «e basta? O volevi dirmi altro». Il viso di Michael si spalancò in un sorriso «potrei dirti che sono qui per fare in modo che tu non sia più obbligata a cercare di nascosto notizie su di me» alzando le spalle in un movimento spontaneo «ma se vuoi basta chiedere io sarei felice di risponderti». Lei assentì con la testa «ok approfitterò anche di questo» rispondendo al sorriso di lui «e poi? C'è altro che devi dirmi?». Michael divenne serio all'improvviso «no no, mi sembra di aver detto tutto» disse, prendendosi bonariamente ancora gioco di lei. Poi vedendo il suo sguardo incupirsi leggermente, divenne improvvisamente serio «aspetta forse un'altra cosa da dirti c'è l'ho» gli prese anche l'altra mano «se per te va bene vorrei provare a passare un po' di tempo con te» si avvicinò al suo viso «non so cosa succederà domani» sorrise ironico «io a mala pena arrivo alla fine delle mie giornate, ma se per te va bene, vorrei fare un tentativo». Lei aveva il cuore che andava a mille allora «sei davvero sicuro di quello che stai dicendo?» chiese non ancora certa di aver capito bene. «Io si e tu?» rispose Michael inclinando leggermente la testa e, senza aspettare la risposta di lei, si avvicinò e la baciò come un'ulteriore conferma di ciò che provava. Un sigillo a quello che le aveva appena detto. Aveva finalmente preso la decisione di lasciarsi trasportare da quel senso di pace che la vicinanza di lei gli dava. Forse per la prima volta, dopo molto tempo, aveva scelto di vivere.


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