I. Prologo

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Non c'è destino che non si vinca con il disprezzo.
ALBERT CAMUS,
Il mito di Sisifo

Sulla neve bianca si appiattirono le due ombre di un uomo.
Le luci incrociate dei Soli Gemelli le incatenavano a terra, tingendo la prima di verde e la seconda di blu.

Sulla schiena dell'uomo un mantello munito di cappuccio gravava rigido e, grigio su sfondo nero, un ricamo si stagliava nitido fra le spalle, raffigurante un lupo che ulula ad un disco d'argento.
Fra le sue braccia, un bambino di tre anni dormiva sereno.

Giunto ai piedi della foresta, l'incappucciato avvicinò la bocca al thoraken, il congegno multifunzionale che gli rivestiva il braccio sinistro; quindi, tenne premuto il pulsante che accendeva le tele-comunicazioni:
«Yvnhal. Tu mi hai dato un ordine». Dopo una pausa, continuò: «Quando il Ragno comanda, il Lupo Grigio esegue. Fin'ora, è sempre stato così».
Scosse la testa sotto al cappuccio, chiudendo fuori dalle porte della mente uno sgradevole pensiero: «Ma quest'ordine... Quest'ordine, io non lo posso eseguire».

Sul piccolo schermo del thoraken, il volto rossastro del Ragno apparve in tutto il suo aspetto più marziale.
Il Lupo Grigio lo osservò: gli sembrava di vederlo per la prima volta. La grossa testa rasata ricoperta di tatuaggi, la peluria chimica urticante sulla lingua, i finti globi oculari da aracnide impiantati sulla fronte: il Lupo fu stregato da quel volto.

Scosse la testa, raccapricciato: il suo amico aveva davvero esagerato, con la chirurgia estetica dell'Ordine Marziale degli Endar.
Persino la voce del Ragno era sottile come quella di un insetto:
«Conor, sai cosa accadrebbe se tutti gli endar si facessero problemi a eseguire gli ordini come fai tu? Il popolo sarebbe fuori controllo: darebbe fondo a tutte le nostre risorse. In meno di un secolo, i nostri tre pianeti diventerebbero inabitabili. La Terra lo è già».

«Io lo so, sai. So qual è il dovere di un endar, ma... Insomma, Yvnhal! É soltanto un bambino».
«Appunto, Conor: appunto. É soltanto un bambino, e tu, invece, fai tante storie». Il Ragno scosse la testa, con aria di disapprovare il Lupo per il suo eccesso di compassione. Abbassando la voce in tono confidenziale, disse: «Dammi retta, Lupo. La tua debolezza è stata notata: ti tengono d'occhio. Se vuoi un consiglio da un vecchio amico... fallo, e fallo in fretta: sopprimi l'Erede!».

«Non posso, Yvnhal! Ho giurato a sua madre... Ho fatto un giuramento all'imperatrice, mi capisci? All'imperatrice!».

«Ascoltami bene, Conor. Di tutta la famiglia imperiale, ci sono solo due persone a cui tu devi la tua totale fedeltà: l'Imperatore regnante e...».

«E l'Erede al trono!» urlò Conor.

L'urlo fu attutito dalla neve che aveva rincominciato a cadere, ma fu abbastanza forte da far agitare il bambino: l'Erede si mise a singhiozzare in un pianto che minacciava di tramutarsi in crisi isterica.
Il Ragno tacque.

Dopo un istante, annuì: «Sì, è vero. Questo è ciò che ci hanno insegnato. Ma, in questo caso, non...».
Sullo schermo, la grossa testa del Ragno si girò per guardarsi alle spalle, come se temesse di essere ascoltato. Quando fu sicuro che nessuno poteva udire le sue parole, l'endar riprese: «Farò un'eccezione alla regola: ti rivelerò il motivo per cui dobbiamo sopprimere l'Erede, a patto che, quando avrai fatto ritorno, tu ti faccia cancellare la memoria della missione».

Una "soppressione", secondo Yvnhal; un omicidio, secondo Conor.
Per la prima volta, quest'ultimo decise che avrebbe disobbedito al suo superiore in comando: rimuovere il ricordo di un omicidio in modo volontario dalla propria memoria equivaleva a commetterlo due volte. Avrebbe dovuto convivere con quel peso sulla coscienza per il resto della propria vita, per scontarne la pena giorno dopo giorno.

Triplania- il predestinatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora