-1- Iraen, l'Hilm'een

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«Sei la Cail'ka?»
La domanda sembrò rimanere sospesa nel tempo. Le due donne si guardavano e la nebbia, che bassa sembrava inerpicarsi lungo le loro gambe, rendeva quell'incontro irreale.
Colei che aveva posto il quesito si mise l'arco di tasso in spalla, scrutando la donna vestita di nero davanti a sé. Fischiò piano, un suono sottile e acuto, e immediatamente, come se fosse stato creato dalla foschia stessa, un enorme segugio bianco dagli occhi rossi come braci arrivò, portandosi al suo fianco.
«Quelli che cercano i miei servigi mi chiamano così, quindi sì, direi di sì, che sono io.»
La cacciatrice annuì, accennando appena un sorriso che si intensificò quando la Cail'ka, con un gesto, dissipò la nebbia tra di loro.
«Vi stavamo aspettando.»
«Lo so.»
La cacciatrice si strinse nelle spalle, scuotendo appena la testa. Le Cail'ka erano strane, misteriose, al di fuori di ogni legge, ma, soprattutto, pericolose. La donna davanti a lei vestiva di cuoio rinforzato da capo a piedi e il volto era celato dal cappuccio. Al fianco portava una spada corta dall'aria rozza, e dagli stivali spuntavano le impugnature di un paio di pugnali. Una balestra pendeva dalla spalla e la cacciatrice era certa che quello che vedeva, fosse solo una piccola parte delle armi di quella donna.
«Seguitemi, allora. La porta del Palazzo di Pietra è poco lontano. Non ho cacciato selvaggina, oggi, ma direi che è stata lo stesso una giornata fruttuosa.»
La cacciatrice s'incamminò con la chioma rossa che ondeggiava libera, piena di treccine a cui erano legate piume di diversi rapaci. Gli abiti erano morbidi, di pelle, comodi, e in vita aveva un'alta cintura a cui erano legate la faretra e un lungo pugnale.
Le due camminarono tra le conifere profumate di resina, dai cui rami lunghi licheni pendevano come festoni. I loro passi non producevano alcun rumore: erano ombre effimere che si confondevano con l'essenza stessa della foresta.

  Il collare era estremamente elaborato; il metallo era inciso finemente e arabeschi e intrecci, con eleganti volute, facevano di quel simbolo di schiavitù un'opera d'arte

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Il collare era estremamente elaborato; il metallo era inciso finemente e arabeschi e intrecci, con eleganti volute, facevano di quel simbolo di schiavitù un'opera d'arte. L'uomo camminava a testa bassa, fissando con occhi pieni di odio la catena lucida agganciata all'anello che gli cingeva il collo.
«Non sei più così battagliero, ora. Vero, umano?»
Guardando la donna che teneva l'altro capo della catena rimase in silenzio, mentre lei continuava a parlare. «Mi hai dato un sacco di problemi, sai?»
«Morto non saresti stata pagata, immagino.»
«Meno.» La donna in nero sorrise dall'ombra del cappuccio, una ciocca così chiara da sembrare candida si intravedeva tra le pieghe di stoffa alla luce delle torce. «Se mi dai altri problemi, però, non vali lo sforzo che richiede consegnarti vivo, ricordalo. La scelta è tua.»L'uomo non rispose, guardandosi attorno in quella via illuminata a stento. Era poco più di un villaggio con case di pietra e legno dai tetti spioventi da cui l'umidità sembrava gocciolare, mentre la sottile foschia allungava qua e là i suoi tentacoli come dita carezzevoli. La Cail'ka l'aveva trovato pochi giorni prima, nascosto nella foresta e stremato da un lungo inseguimento. Lui era l'ultimo sopravvissuto del suo villaggio ed era scappato dalla legge della Regina delle Corna per mesi, rifugiandosi sempre più in profondità in quel cuore verde e antico del regno.
Da lontano lei l'aveva osservato, invisibile, catturandolo quando si era arreso al sonno. Si era svegliato mentre il collare si chiudeva attorno alla sua gola.
«Quindi mi consegnerai qua?»
La Cail'ka scosse il capo, fermandosi davanti alla porta di una locanda. «No. In questi piccoli insediamenti non c'è nulla di che, se non qualche strega che cerca di vivere in superficie. Sei un umano che la regina stessa vuole vedere. Non capisco perché, avrei fatto un piacere al mondo uccidendoti nella foresta, ma mi paga per averti.» Gli occhi gialli e dalle pupille verticali della donna si posarono su di lui, fissandolo. «Vivo o morto.» Aggiunse con voce bassa e dura.
«Ho capito il messaggio.»
La Cail'ka strattonò la catena, tirandosi dietro l'umano nella locanda semi deserta. Il fuoco era acceso nel camino e qualche lanterna illuminava la stanza. Poche donne dall'aria stanca bevevano e mangiavano e qualche hilm'een serviva ai tavoli, nulla di più. Si sedette in un angolo, costringendo l'umano ad accucciarsi per terra, tra la paglia sporca, legandogli meglio le mani dietro la schiena.
Uno degli hilm'een si avvicinò con aria dimessa, parlando poi con voce rispettosamente bassa: «Cosa desiderate, maestra?»
La Cail'ka fissò l'hilm'een che le aveva parlato. Come tutti i suoi simili era stato un umano, prima di essere mutato. Non gli piacevano, nessuno di loro le piaceva, né umani, né hilm'een, ma una volta addomesticati e addestrati erano utili e, purtroppo, essenziali alla continuazione della loro specie.
«Cibo, abbondante. Niente birra, solo acqua.»
Abbassando il capo in un assenso l'hilm'een se ne andò verso la cucina.
«Potresti avere salva la vita, la regina potrebbe decidere di avere un nuovo hilm'een nel suo palazzo.»
«Preferisco morire che diventare uno di quelli.» Il sibilo pieno di collera e disgusto fece ridere la Cail'ka, che strattonò la catena costringendo l'uomo a fissarla. Aveva occhi verdi, profondi, orgogliosi e pieni di rabbia. Erano però anche colmi di astuzia e lei sapeva quanto fosse abile. Avevano dovuto chiamare lei, la migliore tra le cercatrici, una delle maestre dell'ordine, per trovarlo. Era riuscita a coglierlo di sorpresa, stremato dopo una lunga fuga, inconsapevole che non era una sola Cail'ka a dargli la caccia e, seminata quella che credeva essere l'unica inseguitrice, si era lasciato vincere da un sonno profondo.
Aveva lottato non appena il collare si era chiuso attorno al suo collo, ma la magia aveva iniziato a fare immediatamente effetto, rallentandolo. Con il tempo gli incantesimi del collare avrebbero raggiunto la loro piena potenza, radicandosi in lui ma, fino ad allora, era ancora pericoloso.
«Non sarai tu a scegliere. Domani arriveremo al Palazzo di Pietra, io prenderò i miei soldi e tu scoprirai quello per cui sei tanto desiderato.»
«Uccidimi.» Gli occhi dell'uomo la fissarono, seri. «I soldi li prendi lo stesso, no? Allora fallo.»
«E risparmiarti quello che hanno in mente per te?» Il sorriso della Cail'ka divenne crudele, assaporando il lampo di disgusto e paura che passò negli occhi dell'uomo. «La morte è un premio che meriterai con lunghi anni di fedele servizio alla tua nuova padrona, magari. Ora però taci, voglio mangiare in silenzio.»
«Uccidimi! Cazzo, un po' di pietà! Ti prego!» Il sibilo dell'uomo aveva un che di disperato, mentre guardava l'hilm'een consegnare il cibo al tavolo. Il collare che portava, gli occhi spenti, i segni della magia sul corpo vagamente androgino che lo legavano e marchiavano al contempo. Una schiavitù a cui tutti i maschi che erano stati mutati dalle streghe dovevano piegarsi, da quando poco più di un centinaio di anni prima le streghe avevano vinto la lotta senza tempo tra le loro specie e avevano iniziato a catturare maschi, senza nessun ritegno. Inizialmente nei piccoli villaggi gli uomini e le donne venivano lasciati vivere in pace, purché pagassero un tributo, ma con il tempo quel dazio era stato versato con sempre più insofferenza e, quando quei piccoli abitati avevano visto i propri figli maschi portati via ancora piccoli, per essere asserviti ed educati come hilm'een, la ribellione era iniziata. Se prima il rapimento dei bambini da parte delle streghe era una spaventosa leggenda, vedere i propri figli sottratti aveva dato il via all'odio più puro. Uomini e donne che non accettavano di diventare schiavi, di vedere quel fato ghermire i loro figli, e ragazze che non volevano mutare e diventare streghe a loro volta. Nel tempo le sacche ribelli erano state cacciate e all'apparenza sterminate; gli uomini che si arrendevano venivano piegati fino a spezzarli con la magia e le donne sottoposte alla mutazione, ma poche sopravvivevano.
Lui stesso aveva visto le streghe dare fuoco al suo villaggio e non credeva a quello che quelle donne avevano detto, che c'era stata una ribellione.
L'uomo aprì la bocca per parlare, ma la Cail'ka lo fulminò con lo sguardo.
«Se non vuoi che ti metta una museruola, stai zitto. Mi stai dando fastidio.»
L'uomo strinse i denti: le minacce della Cail'ka, lo aveva imparato a sue spese, non erano mai a vuoto.

La regina delle StregheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora