-2- La via della pace

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  I passi tra lui e l'esterno erano sempre uno in più di quelli che aveva il permesso di fare. Per quanto cercasse di rendere ampia la falcata, il massimo risultato era stato intravedere una lama azzurra oltre le porte della città sotterranea, sfiorando la soglia con la punta delle dita, dopo essersi teso al massimo. Gli mancava immensamente l'aria profumata della foresta, il sole, la volta stellata e il vento sul viso. Gli mancava la sua libertà. Una parte di lui urlava e soffocava a causa di quello, mentre quella completamente hilm'een amava la vita sotterranea che conduceva, con le sue catene. In lui convivevano e si intrecciavano le due nature. Quella hilm'een, a causa dell'incantesimo del druido, non era diventata l'unica in lui. Doveva celare i sentimenti che la parte umana scatenava, ubbidendo ad Aislin in tutto e per tutto. Era stato difficile, a volte gli pareva di vedere il volto di sua moglie, Ynis, fissarlo con tristezza quando condivideva il letto della regina. Aveva amato, e tutt'ora amava, la donna che aveva sposato anni prima. Ricordava perfettamente la sua chioma così chiara da sembrare fatta di raggi di luna, soffice e sempre profumata. Aveva avuto occhi grigi, espressivi e grandi, dolci e colmi di gentilezza. Era stata tutto, per lui. Quando aveva trovato il suo cadavere aveva urlato, in preda al dolore e alla furia, sfiorando la pazzia.
Se non fosse stato per la sua parte hilm'een non avrebbe potuto trattenersi dal rivoltarsi contro ogni strega. Invece docilmente chinava il capo, ubbidendo a ogni ordine, sorridendo e chiamando Aislin regina, padrona, signora.
Guardò con occhi malinconici la porta che dava all'esterno, che si intravedeva oltre la curva del grande cunicolo, per poi voltarsi. Non era stata una passeggiata fortunata, neanche quel giorno aveva potuto rubare un frammento di cielo. Sbuffò, i piedi nudi che non facevano nessun rumore su quella pietra levigata e gli occhi, che ora vedevano benissimo in quella luce che appena arrivato aveva giudicato scarsa, che coglievano distintamente ogni particolare che lo attorniava. Erano passati mesi e mesi, quasi un anno da allora, eppure non era ancora riuscito nel suo intento. Si rendeva conto che l'incantesimo del vecchio druido non era fallace, non del tutto, almeno. Eppure se cercava in qualche modo di nuocere ad Aislin gli incantesimi del collare si attivavano e lo rendevano inoffensivo, fino a ridurlo a una palla urlate di dolore che si dibatteva al suolo.
"Pensavo che la soluzione fosse ucciderla, eppure non riesco a nuocere né a lei né a nessuna strega. Quel maledetto vecchio e i suoi enigmi!"
Continuò a camminare tenendo lo sguardo basso e muovendosi ai margini delle strade, il collare lo identificava come l'hilm'een della loro sovrana e per quello nessuno gli dava noia, se si comportava in modo da non dare nell'occhio. Sperò nessuno gli chiedesse dove era stato; a volte Aislin sembrava vedere oltre le apparenze e aveva paura che conoscesse il suo segreto, la presenza di quella parte ancora umana in lui.
Arrivò al palazzo vero e proprio e, entrando dalle vie riservate ai servitori, si diresse alle cucine. Era quasi ora di pranzo e uno dei suoi doveri era servire Aislin. Che fosse un pasto solitario nelle sue stanze o condiviso con la corte, era lui a doverle portare il cibo e versarle acqua e vino.
«Dov'eri?»
«Fuori.» Iraen sorrise appena all'hilm'een che lo guardava con aria inquieta. Non riusciva più a odiarli o a provare ribrezzo, non si poteva davvero rifiutare quello che veniva fatto. «Baor, ora sono qua, non è tardi e non è ancora l'ora del pasto.»
«Lo so, ma non è normale che tu esca. Non è vietato, ma...»
Sorridendo appena Iraen si appoggiò contro il muro, srotolando le ampie maniche della camicia immacolata e chiudendole ai polsi. L'altro strinse gli occhi di un colore castano intenso, quasi dorato, osservandolo con attenzione.
«Ti ho detto di non preoccuparti.»
Baor annuì, si guardò attorno e certo di essere solo con Iraen lo fissò, afferrandogli i lati del capo. «Iraen, non so cosa tu faccia e perché, ma non farti mai scoprire. Ho visto hilm'een implorare di morire sotto le mani delle streghe eppure continuare a vivere, urlando di dolore fino a perdere la voce, l'anima e impazzire. Tu non hai visto, non voglio perdere un amico.»
Qualcosa nel modo in cui l'altro gli parlò lo mise in allerta. «Cosa intendi?»
«Credi di essere l'unico a conservare qualche traccia del proprio passato? Io non ricordo molto, solo qualche vaga immagine, però penso tu abbia conservato molta più memoria di me di quando eri umano. Non assecondare quella parte, è pericoloso. Se continuerai a scavare verrà a galla, lo scopriranno e sarai torturato per giorni, settimane, a volte mesi. Ti terranno in vita con la magia usandoti come esempio per tutti noi. Non voglio che ti succeda quindi dimentica, Iraen.»
Pallido, decise di dire all'altro una mezza verità. Sapeva di potersi fidare di lui, aveva scoperto che tra gli hilm'een c'era una sorta di silenzioso cameratismo e Baor era fidato. «Ricordo il cielo, mi manca, cerco di vederlo attraverso la porta.» Era la verità, ma non certo tutta, e poteva spiegare benissimo le sue assenze sempre più frequenti, tanto che avevano spinto l'altro a scoprirlo e a parlargli. «Le stelle, le nuvole, la luna e il sole... voglio solo cercare di rivederli.»
Dopo un lungo istante l'altro gli lasciò il volto e annuì. Come tutti gli hilm'een, lui compreso, aveva tratti androgini, delicati, privo di barba e di corporatura sottile. «C'è altro, vero?» Baor sorrise appena, con un angolo delle labbra. Gli si fece più vicino, posandogli una mano sulla spalla e portandosi con le labbra al suo orecchio, così vicino che le sentì sfiorarlo. «So che non mi stai dicendo tutto, Iraen. Non so spiegarmelo, ma tu sei diverso. A volte nei tuoi occhi c'è una luce che riconosco, un fuoco che in me è stato spento. Vedo i desideri che si agitano dentro di te, le ombre che nascondi. Noi siamo fiammelle, candele in una grotta oscura... tu ardi. Sei un fuoco potente che cerca di nascondere il suo splendore.»
«Baor, cosa...»
«Zitto, Iraen.» Gelato dall'apprensione, rimase immobile quando Baor si appoggiò a lui, sentendo le labbra che gli sfioravano di nuovo l'orecchio e il fiato caldo accarezzarlo, mentre riprendeva a parlare con voce sussurrata e quieta. «Tu sei una luce senza cui non potrei più vivere. Manterrò il tuo segreto, però stai attento.»
Afferrando con gentilezza una ciocca rossa dell'altro, Baor se la girò attorno alle dita, seguendone la lunghezza per poi scostarsi con un mesto sorriso sul volto.
Iraen, immobile, fissava l'altro che ancora teneva tra le dita la sua ciocca. Sapeva che tra gli hilm'een certe amicizie erano decisamente intime, ma la cosa non lo interessava e non ci aveva mai pensato. Affetto e amore erano sentimenti che un hilm'een poteva riceve solo da un altro della stessa razza, le streghe non provavano nulla, per loro. Li possedevano, li usavano per procreare e negavano loro di considerarsi padri del frutto che avevano contribuito a creare. Erano animali da compagnia, schiavi, erano trattati bene sotto molti aspetti eppure non erano loro concessi veri diritti. Erano creature che avevano plasmato con la magia, togliendo loro ogni ricordo e identità per renderli docili.
Sapere che Baor provava qualcosa, per lui, l'aveva spiazzato.
«Io, io non... non...»
«So benissimo che è no.» L'altro lasciò cadere i suoi capelli e sogghignò. «Magari prima o poi ti sentirai solo e cambierai idea, ma non è questo il punto. Non farti scoprire, testa rossa.»
«Se continuiamo a rimanere nascosti in questo angolo qualcuno scopre qualcosa di sicuro.» Sbottò Iraen, imbarazzato, uscendo da quel punto in ombra. La cosa, però, poteva rivelarsi interessante, pensò con mente fredda mentre oltrepassava l'ultima svolta per le cucine. Se tutti avessero pensato che lui e Baor erano una coppia di amanti, se fosse stato assente come quel mattino avrebbero pensato che era con lui. Poteva, però, coinvolgere l'altro, ingannarlo e usarlo?
"Baor è prima di tutto un amico, mi ha aiutato così spesso... senza di lui sarei impazzito, lo so. Non posso fargli questo, non posso usarlo e mentirgli."
Entrò nell'enorme cucina, dove i camini senza fumo producevano un calore decisamente fastidioso. La grande tavola poco lontano cominciava a caricarsi di vassoi che la cuoca e le sue aiutanti, tutte streghe a parte qualche hilm'een, riempivano di cibo sistemandolo in modo da presentarsi artisticamente.
«Sei qua, finalmente!» Era stato apostrofato dalla cuoca, una strega con un viso morbido e fiammeggianti e corte ciocche scarlatte che sembravano vive sul suo capo. «Avevo una mezza intenzione di mandarti a cercare da una guardia, vuoi essere punito?»
«Chiedo scusa, signora. Ero distratto e non mi sono accorto dell'ora.»
«Prendi il vassoio della regina e portaglielo immediatamente! Se non ci sei tu non possiamo iniziare!»
Chinando la testa assunse un'espressione contrita, prese il vassoio di lucido argento su cui era sistemato il cibo e si avviò, indossando al suo meglio la maschera mite e docile che era il volto di ogni hilm'een.

La regina delle StregheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora