Lights

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Cassandra’s POV

Le parole che uscirono dalle sue labbra mi bloccarono lasciando me e Ben spaventati a morte. Si sentì una risata roca fuoriuscire dalla sua gola, poi si voltò con un sorriso intonacato sul suo volto, e disse

“sto scherzando…forse” disse tranquillamente l’ultima parte così che potessi sentirla bene.

Ben si era attaccato al mio braccio e non intendeva lasciarlo andare,  l’uomo allora guardò Ben sorridendo.

“Portami tu nel seminterrato, ragazzino” la sua voce risuonò nella casa silenziosa.

Guardai Ben e lo vidi scuotere la testa.

“beh, andiamo” disse afferrando il piccolo braccio di Ben e allontanandolo da me.

Rimasi li congelata sapendo di dover fare qualcosa ma non sapendo come farla.

“NO!” urlai

L’uomo si fermò di botto e mi guardò.

“t-ti c-ci p-porto io” balbettai liberando Ben dalla presa dell’uomo e gli sussurrai

“chiama la polizia una volta che sei fuori dalla sua visuale” il bambino fece un cenno con la testa.

L’uomo mi afferrò e mi allontanò dal mio fratellino. Conduco l’uomo in cucina nel punto in cui si trova la porta della cantina, lui la aprì e guardò nel buco nero.  Ho sempre odiato andare in quella stupida cantina perché non era come le altre, quelle dei miei amici sono praticamente delle sale giochi, mentre la mia è una zona di stoccaggio con pochissima luce, pareti di cemento e un pavimento distrutto.

“Prima le signore” mi disse guardando la porta della cantina.

Decisi di non discutere con lui, mi limitai a scendere giù lungo le scale, sentivo i suoi passi e lo sentivo avvicinarsi finche non si fermò solo a un passo dietro di me.

Mi fermai e sentii il suo respiro sul mio collo nudo e mi sussurrò in un orecchio

“Ho sentito quello che hai detto a tuo fratello…” disse con quella sua voce roca nel mio orecchio

“e pagherai per questo” concluse.

Rimango ancora una volta congelata sul posto, e non credo di essere in grado di andare avanti nello scendere le scale

“cammina” urlò allora l’uomo spingendomi giù di al meno tre scalini.

Persi l’equilibrio e caddi di faccia giù per le scale, misi le mani in avanti per cercare di ammorbidire l’impatto, ma non ci fu. Aprii gli occhi e vidi uno scalino di legno a un centimetro  dalla mia faccia. Sentii delle braccia avvolte intorno alla mia vita, controllai e vidi che erano dell’uomo che mi aveva catturato. Lui mi tirò su e mi fece tornare in piedi.

“grazie” sussurro e continuo a camminare fino ad arrivare al livello del suolo.

“Dov’è  la  scatola?” chiese

“quale scatola?” chiesi alzando il sopracciglio.

“la scatola elettrica” disse.

Mi sentivo abbastanza stupida, voglio dire, quale altra scatola poteva essere qui giù?

L’ho portato nel punto in cui era posizionata la scatola elettrica, lui aprì il coperchio e spinse alcuni pulsanti. Alcuni minuti dopo le luci si accesero e iniziò a farmi un po’ meno paura, penso che per tutto questo tempo il problema sia stato unicamente della scatola, non che lui l’abbia manomessa. A quel punto potevo notare chiaramente il tatuaggio sulla clavicola con le luci accese. Era molto piccolo rispetto al resto dei tatuaggi che aveva lungo il collo, in un carattere piccolo, e in corsivo. Le due semplici parole che erano li tatuate però mi colpirono, perché mai si sarebbe fatto un tatuaggio con scritto “mi dispiace” ? mi chiedo per cosa sia dispiaciuto.

Scattai fuori dai miei pensieri quando parlò con la sua voce profonda.

“c-cosa?” balbettai

“ho detto, muoviti” non ci pensai due volte prima di scappare da li.

Camminò avanti a me e corse su per le scale, dovetti correre quasi a cercare di mantenere il suo passo con quelle sue lunghe falcate. Una volta tornati in cucina sperai e pregai che Ben avesse chiamato la polizia, ma non vidi ne sentii sirene…

Camminai fino in salotto per vedere Ben seduto sul divano. ‘Hai chiamato la polizia?’ mimai con le labbra, lui scosse la testa. Mi avvicinai a lui e mi sedetti, così gli chiesi

“perché?”

“non potevo, il telefono di casa non funzionava, e non trovavo il tuo cellulare” rispose a testa bassa

“Cassie, cosa ci succederà?” nell’istante in cui lo disse tornò l’uomo che si fermò davanti a noi con un’espressione arrabbiata.

“Ho sentito che qualcuno stava per chiamare la polizia, è vero?” i suoi penetranti occhi verdi erano puntati sul mio fratellino. Ben rimase li seduto e scosse la testa, anche se l’uomo sapeva il significato di quel gesto.

“non mi mentire” disse l’uomo alzando la mano per schiaffeggiare Ben

“NO!” dissi

Lui fermò la mano a mezz’aria e mi guardò.

“No, è-è s-tata colpa m-mia” dissi guardando l’uomo

“beh, in questo caso!” urlò per poi schiaffeggiare me al posto di Ben.

Il colpo fu tale da farmi girate la testa dall’altra parte, la sua mano sinistra colpì la mia guancia destra. Vidi l’uomo confuso davanti a me, una lacrima mi rigò il viso. L’uomo andò in cucina e iniziò a urlare diverse parolacce a caso, poi sentii quella che sembrava una rottura di un qualcosa.

“Cassie…” disse Ben

Mi voltai a guardarlo vedendolo molto preoccupato. Poi una piccola lacrima scese dal suo occhio sinistro, che asciugai prima che potesse cadere. Portai il suo piccolo corpo in grembo per tenerlo vicino.

“Cosa ci succederà?” chiese

“io non lo so” davvero non lo sapevo.

 

Tutto quello che sapevo era che l’uomo in cucina era psicopatico.

Psycho Sitter (Italian translation)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora