3. his hands

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La settimana passa in fretta fino a venerdì, giornata più amata in assoluto, anche se per non fa tanta differenza. Tutti i giorni mi sembrano uguali e monotoni allo stesso modo.

Il ritorno alla vecchia vita non è facile per niente, rivivere in quella casa invece è quasi impossibile. Qualsiasi cosa è riconducibile a Clay per questo preferivo immergermi nello studio come mai prima d'ora in modo che il mio cervello non avesse libero arbitrio sui pensieri.

Mentre attraverso il viale di casa con mio grandissimo piacere rivedo quell'idiota di Thomas Sanders appoggiato alla balaustra della sua veranda intrattenere un'accesa conversazione telefonica. Gesticola continuamente e in viso ha stampata un espressione di disapprovo. Quando mi nota però mi fa una smorfia e subito dopo un sorrisetto. Che deficiente, penso tra me e me.

Non l'ho più calcolato da quel giorno in mensa nonostante i suoi vari e stupidi tentativi di attaccare bottone. Se lo avessi conosciuto qualche mese prima, avrei anche potuto credere che tra noi potesse nascere qualcosa. Ma ora come ore non minimamente intenzione di ficcarmi in certe situazioni. Ho problemi più importanti a cui pensare.

Quando arrivo davanti all'entrata, faccio per infilare la chiave nella serratura ma mi sorprendo quando noto la porta d'ingresso di casa mia leggermente socchiusa. Percepisco subito che c'è qualcosa che non va.

A quell'orario i miei sono a lavoro ed è molto raro che rientrino prima. Salgo in religioso silenzio le scale che portano al piano superiore, e perlustro ogni stanza. Tranne una. Fisso quasi con ossessione quella porta e la targhetta con il suo nome inciso sopra. Non riuscirò mai ad entrarci, penso, ma è troppo tardi. Le mie gambe sono già in moto dirette verso la stanza di Caly. Appoggio i polpastrelli sulla maniglia, non nego che sto tremando. Faccio pressione e spingo ma mi accorgo subito dopo che è bloccata. Chiusa a chiave. Quasi sospiro per il sollievo, non ero veramente pronta per questo passo.

Scendo le scale consapevole che al piano di sopra non c'era niente di strano. Ma addosso mi rimane comunque una sensazione inquietante. Entro silenziosamente in cucina, e non vedo niente fuori posto, tutto è ordinato meticolosamente. Controllo anche il bagno di servizio, che trovo ovviamente vuoto.

Mi rilasso i muscoli tesi per l'ansia, che diamine mi passava per la mente?
Varco ormai tranquillizzata la porta scorrevole del salotto e faccio qualche passo verso il centro della sala.

Mi sembra di percepire uno strano fruscio dietro alle spalle ma non ho il tempo di voltarmi che qualcuno mi afferra da dietro.

Dalla mia bocca esce un grido di terrore prima che mi venga tappata con violenza da un pezzo di stoffa.
— Allora ragazzina, se stai in silenzio nessuno si farà male. Devi solo seguire i miei ordini. — L'uomo soffia con voce gelida al mio orecchio mentre inizio a tremare e le mie guance si rigano di lacrime di paura. Il pezzo di stoffa premuto contro le mie narici ha un forte odore chimico e inizio a sentirmi debole per la mancanza d'aria.

Mi dimeno nel vano tentativo di liberarmi riuscendo solo però ad emettere un altro grido — AIUTO! — La mia vista comincia ad offuscarsi e quello che succede immediatamente dopo succede in fretta.

Sento dei passi veloci percorrere la moquette, e poi un ringhio di dolore esce dalla bocca del malvivente alle mie spalle che lascia immediatamente la presa intorno al mio corpo facendomi crollare in ginocchio deturpata.

Thomas Sanders appare nel mio campo visivo e mi trascina poco più in là, facendomi appoggiare con la schiena contro la seduta di uno dei divani presenti nel salotto e si mette in ginocchio difronte a me.

Mi sento asfissiata e ho la tachicardia a mille mentre il mio corpo trema senza controllo. Lui prende il mio viso tra le mani — Helena, guardami — Alzo gli occhi a fatica mentre le lacrime non smettono di scendermi abbondanti. Se non fosse per le sue braccia crollerei con la faccia sul pavimento.

— Devi respirare, piano. Riempi i polmoni d'aria e poi espira. — Mi ordina sicuro delle sue parole mentre cerco di non morire di paura. Ho io respiro irregolare e sembra che i miei polmoni non ricevono abbastanza ossigeno, lì sento sul punto di collassare. Gli arti invece gli percepisco congelati e non faccio tanto caso alle mie mani che stringo la sua maglietta all'altezza del petto come in cerca di una disperata richiesta di aiuto.

Lui mi sposta alcune ciocche di capelli che avevo appiccicata alla fronte dal sudore, con quelle sue mani calde e sicure. Poi appoggio la testa al suo petto e cerco di seguire i suoi consigli. Pian piano ricomincio ad avere controllo sul mio corpo e respirare normalmente. — Si così, brava — La sua mano strofina la mia schiena tracciando dei cerchi immaginari e il suo tocco riesce a calmarmi. Per un istante mi soffermo a pensare che mai avrei pensato di trovarmi in una situazione così assurda.

— Qui agente Sanders, c'è stato un tentativo di rapina alla 126 della Eastern Promenade, mandate una pattuglia. — Riesco a sentire e mi rendo conto che ovviamente Thomas non era solo.

Pochi istanti dopo entra anche Meredith, e non appena la noto, cerco subito di prendere le distanze da suo figlio il quale però non sembra voler abbandonarmi. In ogni caso però sua madre non sembra fare molta attenzione a questo particolare perché si affretta subito a chiedermi come stia e se mi è stato fatto del male. Ma rimango in silenzio, realizzando pian piano cosa è realmente successo. Sono stata aggredita da un ladro. E se non fosse stato per i Sanders, non so nemmeno cosa mi sarebbe potuto accadere.

Thomas sembra notare la mia presa di coscienza, forse dal modo in cui mi metto a fissare suo padre che tiene l'uomo prono contro il pavimento con le braccia ferme sulla schiena da un paio di manette. Quindi senza spiccare parola, mi alza di peso e mi trascina fino in cucina facendomi sentire un burattino, ma non dico niente. Sono ancora troppo traumatizzata.

Una decina di minuti più tardi sento le sirene della polizia e vedo alcuni agenti in divisa fare capolinea nel mio soggiorno, alzano l'uomo dal pavimento e in quel istante lui posizione gli occhi su di me, oltre alla porta della cucina. Rabbrividisco al suo sguardo perverso e mi nascondo dietro alle spalle di Thomas come un bambina piccola.

Qualche istante dopo i suoi genitori e un agente della polizia in divisa ci raggiungono in cucina. Suo padre ha tra le mani il pezzo di stoffa che l'uomo mi aveva premuto contro la bocca.
— L'ho trovato buttato sul pavimento. — Dice avvicinandolo poi per pochi istanti alle sue narici, ma lo allontana subito dopo — Cloroformio! — Esclama con un espressione di disgusto sul viso e lo infila in una busta di plastica che consegnandolo al suo collega. — Temo non fosse qui per commettere una rapina. —

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