Un giorno come tanti...

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Mi chiamo Michele Ferrara,e sono morto da quattro anni.... o almeno questo è quello che credono tutti.

Era il 12 novembre 2044. Mi svegliai e mi accorsi che Sofia, mia sorella maggiore, mi stava chiamando, così risposi: "pronto?", e lei con tono violento mi urlò: "perché non sei ancora in ufficio? Sei in ritardo!! Vedi di non farmi fare brutta figura, ho garantito per te per farti avere questo lavoro!", e attaccò. In effetti non aveva tutti i torti, mi ero appena svegliato, ma ero già in ritardo di dieci minuti. Mi preparai in venti minuti e mi recai nella sede del "Tricolore", un quotidiano moderno che ebbe molto successo grazie ai suoi potenti mezzi online. Mia sorella lavorava al "Tricolore" come reporter, e da quel giorno anche io avrei iniziato a lavorare lì come fotografo. Non ero un grandissimo fotografo, ma Sofia era bravissima nel suo lavoro, e riuscì a convincere i suoi capi ad assumermi. Arrivai con quaranta minuti di ritardo, e appena entrai mia sorella mi aggredì dicendo: "sei arrivato finalmente. Vuoi capire che ormai sei grande? Hai ventidue anni, riesco a farti ottenere un lavoro fantastico e ti presenti in ritardo il primo giorno?!", e io facendomi prendere dall'orgoglio le risposi: "adesso non ti scaldare. E poi non parlare come se fossi tanto più grande di me, hai solo tre anni in più, non sei mia madre ma mia sorella!" e lei con tono premuroso ma allo stesso tempo arrabbiato, esclamò: "proprio perché sono tua sorella, ci tengo a te e non voglio che sprechi il tuo tempo!" e io con fare altezzoso dissi: " sono giovane, ho ancora un sacco di tempo, e ce lo hai anche tu, perché non ti rilassi un po?" e lei concluse la conversazione dicendo: "non posso rilassarmi, devo lavorare!" e se ne andò. Dopo qualche ora passata a parlare con il direttore del giornale per vedere il mio ruolo, andai a casa e chiamai mia sorella, che non mi rispose. Non lasciai nessun messaggio in segreteria, non era la prima volta che si arrabbiava con me evitando di rispondere al telefono, quindi non diedi peso alla cosa; tuttavia mi sentivo in colpa, quindi andai dal fioraio, presi dei tulipani (i suoi fiori preferiti) e andai a trovarla. Bussai al citofono e lei rispose: " non mi serve niente grazie" senza neanche degnarsi di chiedere chi fosse. Bussai altre cinque volte prima che si degnasse di rispondermi: "chi è?" chiese in modo scontroso e frettoloso, e io le risposi: "sono Michele,volevo vedere come stai...e volevo scusarmi per oggi!". Non appena sentì che volevo chiederle perdono aprì il portoncino facendomi salire. Entrai in casa, e mi accorsi subito che qualcosa non andava: "cosa è successo? Sembra che ti siano entrati i ladri in casa!" le dissi in maniera sarcastica dopo aver visto la casa sottosopra, carte da tutte le parti, mobili spostati e cassetti aperti. Lei mi rispose ridendo e mi disse: "ma quali ladri scemo, non riesco a trovare degli appunti che avevo preso per un articolo!". Nonostante sembrasse convincente io ero suo fratello, e sapevo che stava mentendo; dietro il suo sorriso percepivo la sua paura. Inoltre guardandola bene mi accorsi che aveva gli occhi lucidi, come se avesse pianto, e allora le chiesi: "va tutto bene?" e lei immediatamente mi rispose: "si si tranquillo, per fortuna nonostante abbia messo sottosopra casa per cercare i documenti, non ho rotto l'orologio che mi hanno dato i nonni!", dopo questa affermazione si mise a ridere tanto da lacrimare, ma le sue lacrime non erano di gioia, ma di tristezza, paura e spavento. Le diedi i tulipani e le feci le mie scuse, e li accettò entrambi molto volentieri. Rimasi a cena da lei, e la aiutai a sistemare casa, notando sempre di più cose strane, come parti di tende strappate, o porte graffiate. Una volta finito di sistemare la salutai, ma poco prima che uscissi di casa mi disse: "Michele prima che te ne vada volevo dirti....ti voglio bene, te ne ho sempre voluto e sempre te ne vorrò!", e io col sorriso le risposi: "un sacco di tempo sprecato a volermi bene!". Non appena iniziò a ridere per la mia risposta, chiusi la porta e andai a casa. Per tutto il viaggio in macchina pensai a tutto quello che era accaduto durante la sera, in modo particolare quell'affermazione finale, insolita per lei, che non ha mai avuto bisogno di dirmi ti voglio bene per farmelo capire. Decisi che il giorno dopo le avrei parlato. Come ogni sera mi fermai vicino al Colosseo, scesi dall'auto e osservai quella meravigliosa opera d'arte senza dire niente. Molti potrebbero considerarlo tempo perso, ma mi faceva bene. Dopo una mezz'oretta tornai a casa e mi addormentai.
La sveglia del mattino seguente fu traumatica, perché fu una chiamata a svegliarmi: "pronto?", risposi con il tono di un morto,"Michele sono Giorgio Adda, il direttore, abbiamo parlato ieri. Scusa l'orario ma mi servi per un servizio avvenuto proprio davanti al Colosseo. Ho provato a contattare tua sorella ma non mi risponde, comunque inizia ad andare sul luogo, appena mi risponde ti faccio raggiungere da lei!" disse il direttore, per poi attaccare senza darmi la possibilità di rispondere. Mi preparai in circa dieci minuti, ma quando cercai la macchina fotografica non la trovai. Dopo averla cercata per alcuni minuti mi ricordai di averla lasciata nell'appartamento di Sofia. Mi recai nel suo palazzo, bussai e non mi rispose, allora bussai alla signora del piano di sopra, che dopo avermi urlato contro per l'orario, mi aprì. Arrivai al portoncino di Sofia, e quando stavo per bussare, mi resi conto che il portoncino era aperto, entrai e non c'era nessuno: "quella scema è uscita con tanta foga da essersi dimenticata la porta aperta!" pensai. Trovai la macchinetta sul tavolo, la presi e tornai in macchina.
Arrivai sul luogo dell'omicidio, e mi accorsi subito del grande scompiglio. La polizia aveva già piazzato i nastri intorno alla scena del crimine, e  molti giornalisti si erano già posizionati in prima linea per documentare l'accaduto. Cercai il volto di Sofia in mezzo alla folla di reporter ma non la vidi. Non appena mi avvicinai alla mischia di giornalisti, tutti mi guardarono, e si allargarono all'unisono per crearmi un varco. Ero confuso. Mi avvicinai al nastro, guardai la vittima a terra, e qualcosa dentro di me morì.

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