Addio

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Mia sorella era lì a terra, in una pozza di sangue. Rimasi immobile per minuti interi. Poi, istantaneamente corsi verso di lei, rompendo il nastro della polizia. Un poliziotto provò a fermarmi, ma lo buttai a terra con uno spintone, lasciai cadere la macchina fotografica e mi gettai sul corpo di Sofia. La fissai incredulo, dalla testa ai piedi. Molti potrebbero pensare che la cosa che più fa impressione in un corpo che è stato ucciso, sia la ferita, ma non è così. La cosa che più mi aveva spaventato e che più mi aveva ferito era il vuoto nei suoi occhi; quegli occhi che ho sempre visto brillare fin dal giorno della mia nascita, quegli occhi che mi avevano accompagnato nei momenti migliori e che mi avevano supportato in tutti i momenti tristi e difficili, ma che in questo momento di sofferenza erano spenti, e invece di supportarmi mi ferivano ancora di più. Non riuscivo bene a realizzare cosa stesse accadendo. Non sapevo cosa stavo provando. Ero arrabbiato, anzi ero incazzato, mi chiedevo come fosse possibile, perché fosse accaduto e soprattutto la domanda che non riuscivo a levare dalla mia maledettissima testa, che in quel momento stava per scoppiare, era perché non ero lì per proteggerla? Probabilmente era successo mentre ero a casa a non pensare a niente. Eppure io l'avevo vista poche ore prima, mi ero accorto che c'era qualcosa che non andava, era strana, ma non ci feci caso. Era colpa mia, dovevo rimanere con lei, come un vero fratello, come un bravo fratello, invece ero un idiota e lei aveva avuto la sfortuna di essermi imparentata. Sentivo la voce di un poliziotto che mi invogliava ad alzarmi, ma non capivo bene cosa stesse dicendo, in realtà non capivo niente in generale. Sofia se n'era andata e non sarebbe più tornata. Appena lo realizzai scoppiai a piangere. Non mi importava di tutte le persone che mi stavano guardando, di tutti i giornalisti che senza un minimo ritegno fotografavano mia sorella e con lei anche me, volevo solo sfogarmi, ne sentivo il bisogno.

"Signore, mi dispiace ma devo chiederle di alzarsi, dobbiamo portare in obitorio il corpo di sua sorella!" disse un poliziotto con tono delicato. Ero in ginocchio vicino al freddo cadavere di Sofia da ormai più di un ora. Decisi di lasciarla andare, mi avvicinai al suo orecchio e le sussurrai: "Scusa. Prima di dirti addio volevo farti sapere che anche io ti voglio bene, te ne ho sempre voluto e sempre te ne vorrò!".
Tornai a casa a piedi, lasciai la macchina lì dove l'avevo parcheggiata qualche ora prima. Casa mia a piedi distava quaranta minuti dal colosseo, quindi ebbi tutto il tempo per pensare. Le emozioni che stavo provando iniziarono a essere più chiare, ero arrabbiato verso tutti: verso "Il Tricolore", perché se non fosse stato per il suo lavoro non sarebbe stata perennemente stressata, come lo era stata persino durante i suoi ultimi giorni di vita; ero arrabbiato con gli altri giornalisti che erano li intorno a fare foto già pensando al loro prossimo articolo, vedendo mia sorella non come un essere umano ma uno scoop; ero arrabbiato con quei poliziotti che nonostante si erano comportati in maniera comprensiva con me, indagando sulla morte di mia sorella stavano solo cercando di curare quello che né loro né nessun altro era riuscito a prevenire; ero arrabbiato con me stesso per tutto quello che era successo; ma soprattutto ero arrabbiato con chi aveva fatto del male a Sofia, e non era solo rabbia, era odio, un odio che mi portava ad avere un forte bisogno di vendetta.
Tornai a casa. Non riuscivo a fare niente che non fosse pensare ad un modo per vendicarmi con coloro che avevano fatto del male a mia sorella, ma come?
Non sapevo chi fosse stato, se fosse stato uno o fossero stati in due, in tre o in un gruppo, ma sapevo che doveva essere qualcuno senza un anima né una coscienza per uccidere una giovane donna a sangue freddo, con un proiettile nel petto. Non riuscivo a calmarmi, avevo bisogno di esternare la mia rabbia, ma non potevo limitarmi a distruggere tutto quello che avevo in casa. Più pensavo e più la mia rabbia aumentava.
Ad un certo punto iniziai a pensare ad un vecchio film che mi era capitato di guardare insieme a Sofia. Il film si chiamava: "Tre manifesti a Ebbing, Missouri". Il film uscì nel 2017 in America ed ebbe un enorme successo, tanto da diventare campione di incassi. Un anno fa lo trasmisero in TV, e ce lo vedemmo. Il film parlava di una donna la cui figlia era scomparsa, ma dato che nessuno muoveva un dito per cercarla iniziò a protestare, ad esempio mettendo dei cartelli che ironizzavano sullo sceriffo della città. Mia sorella non era scomparsa, era morta, ma io volevo comunque far capire alla polizia che dovevano riuscire a trovare chi era stato, dato che non erano riusciti a fermarlo prima che uccidesse Sofia.
Avevo avuto l'idea per sfogarmi: cartelloni contro la polizia, contro la criminalità a Roma, contro il sindaco che non era riuscito a mantenere questa città pulita e non aveva fatto niente per ripulirla. Ora mi serviva un posto dove disegnare e stampare questi cartelloni, e quale posto era migliore se non gli uffici de "Il Tricolore"?
L'unico problema era che non avevo le chiavi dell'ufficio, dopotutto avevo appena iniziato a lavorare lì e non ero ancora nessuno. Mia sorella però si, era una dei reporter più importanti e forse aveva le chiavi.
Casa di Sofia distava solo dieci minuti a piedi da casa mia, quindi andai nel suo appartamento. Avevo le chiavi, quando le girai nella serratura mi ricordai la scena che avevo visto quella mattina, esitai ad entrare ma alla fine mi feci coraggio e aprii la porta. L'appartamento era praticamente come lo avevo lasciato la sera prima. Iniziai a cercare le chiavi, e le trovai dopo poco tempo. Erano sulla scrivania affianco a un computer portatile che doveva essere nuovo, dato che, non l'avevo mai visto. Presi le chiavi, aprii la porta per uscire e con mia sorpresa trovai due poliziotti sul ciglio della porta. Uno di loro mi disse: " Lei è in arresto per l'omicidio di Sofia Ferrara!".

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