Io ti credo

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Era un ragazzo,  giovane , sui  ventisei anni .Era alto, capelli castani e occhi marroni. Mi stava fissando con un espressione molto seria, sembrava essere sicuro di quello che diceva. Dopo il suo: "io ti credo", ci furono circa due o tre minuti di silenzio, riempiti di sguardi, quasi come se ci stessimo studiando l'un l'altro. Era vestito in borghese, ma credo fosse un poliziotto, dato che era uscito da un stanza, sulla cui porta era scritto: commissario. Possibile che fosse lui il commissario?... no, impossibile, era troppo giovane.
Decisi di rompere il silenzio dicendo: "Che vuol dire che mi credi?", e lui rispose: "Credo alla tua versione dei fatti!". "È ovvio dato che è la verità. Ma come fai a sapere quello che ho detto durante l'interrogatorio?" dissi con tono arrogante. "Stavo osservando." rispose lui con tono tranquillo, come per farmi capire che non voleva essere scontroso. "E potrei sapere il motivo del suo interessamento al mio interrogatorio?" dissi con tono rabbioso. "Perché sei rimasto coinvolto in qualcosa più grande di te, e voglio aiutarti ad uscirne!" rispose . "Una cosa più grande di te? Non siamo in una serie tv, questa è la vita vera. Mia sorella è morta, ecco tutto. Non c'è niente di più grande, dietro il suo omicidio. E quello che non volete capire è che per me è tutto ancora impossibile, ma nonostante questo continuate a prendermi in giro!" urlai mentre scagliai un pugno al ragazzo, che mi bloccò il braccio, portandolo dietro la mia schiena in modo da immobilizzarmi. Ebbi la conferma del fatto che fosse un poliziotto, e doveva essere bravo nel farlo, almeno dal punto di vista fisico. Appena mi lasciò il braccio, mi scansai da lui spingendolo, e mi allontanai borbottando qualcosa sul fatto che in quel commissariato fossero tutti incompetenti.
Tornai a casa al termine di questo susseguirsi di eventi assurdi...e pensare che fino a ieri era tutto normale. Non andai a casa mia, ma a casa di Sofia.
Ognuno elabora il lutto a modo suo, e io quel giorno non avevo avuto neanche il tempo di provare ad elaborarlo. Non ero un duro, e dopo quel giorno mi ero reso conto di quanto ero fragile. Mi sdraiai sul divano, presi il telecomando e...niente, lo strinsi forte tra le mani, e rimasi immobile a fissare lo schermo nero del televisore. Ad un certo punto su quello schermo iniziai a vedere tutte le scene a cui assistetti durante quel giorno. Si susseguivano come foto. Stetti lì sul divano tutta la notte, senza muovermi minimamente, col telecomando ancora stretto tra le mani, senza dire niente. Ci fu il silenzio totale, fino a quando squillò il telefono. Lo cercai per circa trenta secondi prima di rendermi conto di averlo in tasca. Lo presi e vidi che era un numero sconosciuto. Mi venne automatico di rispondere, portai il telefono all'orecchio e sentii una voce dirmi, ti prego non attaccare...è una cosa importantissima. Conoscevo quella voce...mi sforzai di capire a chi appartenesse, ma non lo compresi fino a quando disse: "Io ti credo!". Era il ragazzo poliziotto che era al commissariato. Non dissi neanche una parola, e attaccai. Una volta chiusa la chiamata mi apparve sulla schermata l'orario. Erano le 3,00. Perché un poliziotto che non avevo mai visto prima, mi aveva chiamato a quell'ora, e come faceva ad avere il mio numero? Guardai l'orario dell'orologio che i nonni avevano regalato a Sofia, ma la lancetta delle ore era ferma sull'uno e l'altra lancetta indicava nove minuti. Non so perché guardai quell'orologio nonostante avessi visto l'orario sul telefono...forse perché fin da piccolo io e mia sorella eravamo abituati a fissarlo per ore, quando stavamo a casa dei nonni. Ci piaceva spostare le lancette per creare le date: con la lancetta delle ore indicavamo il giorno e con la lancetta dei minuti indicavamo il mese. Alla morte dei nonni io e Sofia litigammo due giorni prima di decidere che l'orologio lo avrebbe tenuto lei. Smisi di viaggiare indietro con la mente, quando sentii di nuovo il telefono squillare.
Era di nuovo il poliziotto,quindi, decisi di non rispondere e mi riaddormentai.
Mi svegliai e feci colazione, quando ad un certo punto sentii una voce provenire dalla porta. Mi avvicinai all'ingresso e udii qualcuno parlare, ma non riuscii a capire cosa stesse dicendo. Pensai fosse un vicino, ma ad un certo punto sentii il rumore di chiavi, e subito dopo la maniglia si girò e la porta si aprii. Rimasi immobile, senza riuscire a muovere neanche un muscolo; non sono mai stato un fifone, ma non mi ero mai trovato davanti alla possibilità di incontrare faccia a faccia un possibile ladro o assassino. Ero preoccupato, perché l'unico ad avere le chiavi di quell'appartamento ero io.
La porta si aprii e vidi entrare l'uomo che aveva passato la notte a chiamarmi. Come faceva a sapere dove ero? Ma soprattutto, come faceva ad avere le chiavi?

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