Era il mese di novembre, non che la cosa abbia grande importanza, visto che ogni mese era uguale al precedente. Dalla persiana semi nuova filtrava un raggio di luce che come ogni mattina mi dava il buongiorno, anche se ne avrei fatto a meno, puntuale come sempre.
Solo la mia voglia di alzarmi si modificava col tempo, ogni giorno diventava sempre più una tortura, ma come ogni giorno mi sarei alzato visto che alle 7 in punto, la mia collega Miriam Da Vinci avrebbe iniziato a squillarmi perchè in preda alle grinfie del direttore e a me toccava correre in ufficio per salvarla.
Casa mia non era molto distante dalla scientifica, ma il traffico non mancava mai, insieme alla radio che mi teneva compagnia tra cantanti di dubbia sessualità e donne che non si capiva se erano donne o no.
Parcheggiai l'auto e poi andai al terzo piano. Quando si aprirono le porte, come un sipario teatrale, vidi l'imponente figura di Miriam sotto lo schiaffo del direttore. La cosa mi faceva alquanto sorridere: Miriam era alta, slanciata e aveva un fare elegante, soprattutto quando si metteva il suo giaccone stile matrix. Aveva un che di misterioso e intrigante, mentre il direttore, Diletta Blabla era più altezzosa che alta. Quando si arrabbiava il suo tono diventava così stridulo e incomprensibile da ricordare un personaggio dei cartoni, diventava un blablabla generale. Non facevo mai in tempo ad accennare un sorriso che si accorgeva di me, si avvicinava con il suo sguardo glaciale e il passo di un leone famelico, per poi puntare il suo dito accusatore ed esclamare: "La Zella è questa l'ora di arrivare?" seguita dalla mia classica risposta: "Colpa del traffico direttore", da qui in poi il discorso diventava incomprensibile mentre tornava nel suo ufficio tra scartoffie e quintali di lavoro.
Dopo la ramanzina andavo alla mia scrivania con tanto di cartellino: "Angelo La Zella", già il mio nome. Ventuno anni d'età, povero ragazzo single, baciato dalla sfortuna in amore. L'ultima storia era appena finita lasciandomi cornuto e maziato.
Mentre ripensavo alla mia vita piatta, dall'ingresso principale faceva la sua solita entrata, elegante e sensuale, Canna Nanà: il capo passeggiava nel suo completo nero, i capelli al vento e gli occhiali da sole, mentre sfilava fino all'ufficio del direttore facendo echeggiare i suoi tacchi per tutta la stanza.
Come si chiudeva la porta alle sue spalle, spuntava precisa come un orologio svizzero, Marica Trequarti: il pivello della situazione, sempre goffa con la borsa sulla pancia che faceva un misto tra donna incinta e turista americano. Con la sua voce squillante poneva la solita domanda: "Chissà che si diranno!" Nella mia mente echeggiava un unica risposta, ma ovviamente non potevo darle voce a causa del poco charme, così tornai al mio lavoro.
Scartoffie, quintali e quintali, solo guardarle mi dava la nausea quindi mi dedicai, come mio solito, ad osservare gli altri lavorare: Miriam era sempre ordinata, sulla sua scrivania non c'era mai una scartoffia, diligente come sempre. Non so cosa mi desse più nausea se il troppo lavoro o la sua perfezione, così passavo ad osservare Marica presa nel suo lavoro, con la penna in una mano ed un bon bon alla crema nell'altra. Non era un grande spettacolo, così a quel punto non mi restava che dedicarmi alla vista del soffitto, ma il mio illustre pensiero lavorativo non durò molto, fui interrotto dall'entrata fulminante, o quasi, della segretaria del direttore.
Rosaria Marì: aveva un andamento goffo e frettoloso, portava occhiali tondi, bassina. Stava correndo tutta affannata tanto che inciampò in un angolo della scrivania, ma, si rialzo rapidamente per poi sfrecciare nell'ufficio del direttore.
Ci fu un lungo silenzio interrotto dalla voce del capo che uscendo dall'ufficio del direttore disse:" Forza squadra, Andiamo!".
Senza che il capo aggiungesse altro, l'intera squadra si alzò pronta a partire sulla vecchia cinquecento blu oltremare.
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Un Improbabile Giallo
Mystery / ThrillerSiamo abituati a credere che le cose irreali capitano solo nei libri, ma spesso accadono anche nella realtà, solo che siamo troppo presi da noi stessi per accorgercene. Anche se c'è sempre l'eccezione, un attento osservatore. E' il caso di Angelo L...