❇ 3) Blue Room

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Le braccia, i tatuaggi, le collane, il sorriso, la mano tra i capelli...

Fabrizio Moro ama nascondersi così.

Fabrizio Moro è un grande urlatore, continuo a pensarlo.
Ma forse le urla di Fabrizio, quando sei una giovane ragazzina frustrata, piena di insicurezze, in un mondo meschino, ti salvano.
"Basta guardarlo negli occhi per capire chi è, per guardare oltre l'artista. Dietro la malinconia dei suoi occhi c'è una dolcezza senza fine." Mi ha confessato una delle tante fan che hanno occupato piazza del Duomo questo pomeriggio, in suo onore e in onore del suo collega Ermal Meta.

"Col cuore ci vivo
con gli occhi mi esprimo
con la bocca racconto una storia.."
Aveva confessato Fabrizio, qualche tempo fa.
Quello che io ho potuto capire vivendo a stretto contatto con coloro che lo amano è che con le sue storie ha tratto in salvo tante persone.
E quelle stesse persone, gli saranno debitrici di emozioni, per sempre.

Ermal Meta lo vedi fluttuare tra la gente, senza mai scontentare nessuno.
L'aria elegante cela un animo pulito e senza congetture.
Ermal nella metrica dei suoi testi, urla in faccia il desiderio di essere ricordato con degli incisi potenti, conditi da una forte ondata di sentimento che ti cattura l'anima.
"È un portatore sano d'amore Ermal, questo non può essere messo in dubbio," mi dice una sua fan, con aria commossa.

"Mi sembra di rubare, quando guardo negli occhi della gente." Afferma lui, che entra in una potente empatia con chi lo segue, possedendo con il suo sguardo che non lascia scampo.
Ermal è due approcci, due vite diverse che combaciano in una sola.
Nella vita privata, le sue armi diventano scudi, ma sa far camminare i suoi pensieri scavando dentro angoli bui, uscendone vincitore.

Morde la vita Ermal, ma con un abbraccio che accoglie e che allo stesso tempo ti spezza le ossa.

✒ Rockol. it by Frida Morgan

📍Milano.
📅 Alcune settimane dopo.


Avevo ripreso a tempo pieno il mio ruolo di redattrice nella sede milanese di Rockol.
Mi ero lasciata alle spalle la spiacevole vicenda "Meta-Moro", scrivendo una buona recensione sul loro instore in coppia.

Entrambi mi avevano riservato silenzio nelle settimane che erano trascorse.
Ne fui sollevata.

Ultimamente, la loro pressione mi stava mettendo in soggezione, rendendomi dubbiosa sul mio modo di scrivere.
Come ci fosse qualcosa di inappropriato nella mia visione della musica.

Tutto è opinabile pensai, la melodia che può catturarti l'anima, ad un altro può far venire l'istinto di spegnere la radio, ma sulla mia cultura musicale, sorretta da solide basi, nessuno poteva mettere bocca.

E il loro totale disinteresse, mi diede la certezza che avevo ragione nel continuare a fare quello che avevo sempre fatto, ovvero non trattenermi dal mettere su carta, tutto ciò che mi passava per la testa.

E fu quello che continuai a fare, fino a quella mattina di inizio marzo.

Ricevetti una chiamata dalla manager di Betta Lemme, una cantante emergente che tentava di farsi conoscere in Italia con il suo singolo d'esordio e che stava scalando le classifiche.
L'avevo considerata interessante e innovativa nel suo mixare lingue diverse in una sola canzone e non risultare banale e priva di senso.
La sua casa discografica mi invitò all'ascolto dell'anteprima del suo nuovo disco, che era prevista in serata, in un locale che si chiamava Blue Room.
Quel posto aveva un meccanismo all'interno, che dava la possibilità all'artista di essere contemporaneamente in diretta su tutti i suoi social e fare ascoltare ai suoi fan, i suoi nuovi lavori.
Ovviamente, questo non consentiva l'accesso ad esterni che non avessero a che fare con il modo del giornalismo musicale o che non fosse stato convocato sotto richiesta dell'organizzazione.
Fui lieta di dare istantaneamente la conferma della mia presenza.

A causa di quell'impegno, dovetti rifiutare la proposta della mia migliore amica Marta, che condivideva con me il loft in cui abitavamo insieme da tre anni.

Mentre lei era intenta a laccarsi le unghie, nell'attesa di sapere il da farsi della giornata, io ero perennemente incerta sul tipo di abbigliamento da indossare per la serata.

«Da quanto non metti un paio di Converse?» Esordì, osservandomi con aria investigativa.

«Da troppo tempo, credo

«Forse dovrei riformulare la domanda, da quanto tempo non sei te stessa, Frida

Beh, a quella domanda non seppi rispondere, preferì sprofondare, facendo un rumore assurdo, buttandomi sul letto a peso morto.

«Lavoro, lavoro e solo lavoro. Questa storia va avanti da troppo!» disse in un tono sicuro che aveva l'intento di spronarmi.

«Come darti torto...» sussurrai, come un pensiero ad alta voce.

L'anno prima, dopo una lunga trasferta a Miami, ero tornata in Italia con tutte le buone intenzioni di trasformare quella che fino ad allora, era stata una lunga e burrascosa relazione, in qualcosa di più duraturo e serio.
Decisi di presentarmi a sorpresa all'appartamento di Diego, il facoltoso imprenditore trentacinquenne che frequentavo da otto mesi.
L'unico consiglio, che potei dare a me stessa, col senno di poi fu: "non fare sorprese, Frida, non farle mai più. Le sorprese ti fanno trovare il tuo uomo avvinghiato ad un'altra."

Non mi ero più ripresa da quella scena, avevo innalzato muri invalicabili, mi ero nascosta dietro falsi atteggiamenti di saccenza e superiorità, che erano solo pronti a celare l' estrema insicurezza di non essere mai abbastanza per un uomo.
Non esserlo mai per nessuno.

Avevo investito in quella storia così tanto, da considerarla l'ultima della mia vita, abbagliata dalle continue sicurezze che quello stronzo mi professava.
Il sogno di costruire una famiglia, sembrava essere sempre più vicino, ora era solo qualcosa che ero certa di non raggiungere mai.

La maglia degli AC DC, nera, l'ultima volta che la sentì sulla mia pelle, il sole della mia seconda terra Americana, colpiva i miei lunghi capelli biondi, che a causa dello stress avevo dovuto un po accorciare.

«Sono sempre lunghi, ricresceranno.»Aveva sentenziato mia madre al telefono, dopo aver visto il mio leggero cambiamento.
Io, che per anni, riuscivo a farmi tagliare solo il centimetro rovinato dall'utilizzo di piastre e phon.

Gettai quella maglia, che possedeva più ricordi di quanto pensassi sul letto, poggiai vicino un paio di jeans modello mom presi su Asos e tirai fuori le fatidiche Converse nere di cui Marta parlava.

«Lo sto facendo davvero.» Pensai tra me e me.
Stavo andando ad un impegno lavorativo come una qualsiasi donna della mia età, che non vuole imporsi un modo di vestire che forse non le apparteneva più di tanto.
Le maschere stavano cadendo, fui felice di ammetterlo.

Un tour di porte spalancate, mi portarono a raggiungere la Blue Room già gremita di esperti del mondo della musica, dopo essermi messa persino alla guida per l'occasione.
Nessun taxi in ritardo da aspettare, quella notte.
Ne ero stranamente rincuorata.
Stavo riprendendo in mano la me stessa indipendente nell'animo, oltre che nell'atteggiamento.

«Che sorpresa.» esclamò una voce, che mi sembrò di riconoscere.

Non abbiamo armi {MetaMoro}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora