If you come to San Francisco

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Era una giornata piacevolmente soleggiata, quel 15 maggio del 1967. Dal finestrino della loro piccola auto azzurra Jane vedeva il cielo, così limpido e di un azzurro talmente sfumato che si confondeva con il colore dell'oceano, sulla cui superficie si riflettevano i raggi del sole, dando alla ragazza una sensazione di pace. Era la prima volta che vedeva l'oceano così da vicino, nonostante avesse trascorso i suoi precedenti sedici anni di vita in Australia.

Non tutti avevano la fortuna di nascere a Brisbane, o a Melbourne, o in una qualsiasi di quelle città così turistiche e popolari, dove i ragazzi non avevano null'altro da fare se non trascorrere le proprie giornate in spiaggia, sotto il sole, facendo surf e abbronzandosi. Lei non era stata tra quei fortunati: nata e cresciuta in una fattoria dell'Outback australiano, a duecento chilometri dalla città più vicina, non aveva nemmeno mai provato l'emozione di frequentare una scuola normale.

Ma finalmente era arrivato il suo momento, grazie a Dio: suo padre, originario della California, aveva deciso di tornare nella sua città natale, San Francisco. Vent'anni prima, nel lontano '47, Bob Davis si era trasferito in Australia per specializzarsi in veterinaria; era stato difficile convincere i genitori che, nonostante gli agi economici, erano titubanti a lasciarlo partire, temendo di non rivederlo mai più, ma alla fine aveva ottenuto il loro permesso e, cosa ancora più importante, il loro finanziamento. Trasferitosi a Perth, dopo pochi mesi aveva conosciuto Lou, una ragazza australiana in vacanza nella città con i suoi genitori: tra i due era stato amore a prima vista, un amore talmente intenso che lui aveva deciso di seguirla nell'Outback, dove lei viveva con la sua famiglia. Qualche anno dopo Bob e Lou si erano sposati nella fattoria dove abitavano, e dalla loro unione erano nate Jane e sua sorella maggiore, Anne.

Nonostante loro fossero una famiglia felice e molto unita, Bob non ne poteva più di quella vita così monotona e comunitaria: essere il veterinario più famoso della zona non gli bastava più e si era stancato di condividere ogni momento della sua vita con tutti i parenti della moglie (che abitavano tutti nella fattoria!). Dopo anni di attesa finalmente l'occasione si era presentata: gli era stato offerto un posto come veterinario specializzato in animali esotici allo zoo di San Francisco, e Bob aveva immediatamente accettato, costringendo la moglie e le due figlie a trasferirsi con lui.

Jane era davvero felice di questo cambiamento. Non che non le piacesse la vita in Australia, ma sentiva di avere bisogno di una ventata di aria fresca. Mentre attraversava il famoso ponte di cui non riusciva a ricordare il nome, pensò che quel viaggio in auto, dall'aeroporto alla nuova casa, fosse una sorta di metafora per il passaggio dalla sua vecchia e noiosa vita, ad una nuova e sicuramente eccitante.

Sua sorella Anne, di un anno più grande, invece, non  sembrava soddisfatta: da quando erano partiti dall'Australia non aveva detto una parola, eppure Jane sapeva perfettamente cosa le stava passando per la testa. Anne amava la vita nella fattoria, ma quella non era l'unica cosa che amava e che le sarebbe mancata. Già da anni sua sorella condivideva la maggior parte della sua intimità con Ethan, il loro cugino di quarto grado, con il quale sognava di costruirsi un futuro. Jane la capiva, ma era sicura che anche ad Anne San Francisco sarebbe piaciuta e che le avrebbe fatto dimenticare la fattoria e il suo amore semi incestuoso. La ragazza si girò ad osservare la sorella seduta sul sedile posteriore, di fianco al finestrino, con un'espressione corrucciata; dall'altro lato c'era sua madre, che aveva voluto stare dietro per tenere a bada Dingo, il loro Pastore Australiano, che, seduto nel mezzo, teneva la lingua penzoloni e ansimava ritmicamente per il caldo. Sua madre era letteralmente abbracciata al cane e sorrideva felice: Lou era una donnina grassottella, sempre sorridente e gentile con tutti, esattamente l'opposto di Bob, alto, magro e perennemente amareggiato. Sembrava che il brutto tempo fosse sempre sopra di lui. A volte Jane si chiedeva se da vecchia sarebbe diventata una specie di brutto mix tra i due: bassa, grassa e con un carattere terribile: il solo pensiero la faceva rabbrividire.

"Anne, guarda! Guarda che bel paesaggio e che bel sole." disse Jane, cercando di strappare un sorriso alla sorella.

"San Francisco è famosa per la sua nebbia." commentò glaciale il padre.

"Però adesso c'è un clima splendido, papà." rispose piccata la ragazza, che non sopportava  il pessimismo perenne dell'uomo.

"Aspetta e vedrai." disse Bob, svoltando bruscamente a destra in Lincoln Boulevard. Jane sbuffò e allungò le gambe sopra al cruscotto della macchina, cosa che suo padre odiava, per fargli dispetto. L'uomo le lanciò un'occhiataccia ma non disse nulla: anche se non lo dava a vedere era molto felice di essere tornato nella sua bella città e neanche gli atteggiamenti poco concilianti o rispettosi delle sue figlie gli avrebbero fatto cambiare idea.

"Papà, posso almeno accendere la radio?" Chiese Jane con fare ammiccante. Bob "rispose" con un lungo sospiro che la ragazza interpretò come un consenso. Allungò la mano sull'autoradio e girò la rotellina, sintonizzandosi sul primo canale disponibile. La voce del conduttore invase l'automobile: "Ed ora il nuovissimo singolo di Scott McKenzie, uscito solo due giorni fa! E' il momento di 'San Francisco'!".

"Oh!" Esclamò Jane. "Si chiama come questa città." Nessuna risposta, nessun segnale di vita da parte degli altri membri della sua famiglia, così la ragazza decise di concentrarsi sulla musica.

If you're going to San Francisco

be sure to wear some flowers in your hair

if you're going to San Francisco

you're gonna meet some gentle people there

"Speriamo davvero di incontrare tante nuove persone simpatiche e gentili. Tante nuove amiche e magari, perchè no?, anche un ragazzo di cui potermi innamorare." Pensò Jane con aria trasognata, lasciandosi trasportare dal ritmo della canzone.

Finalmente Bob imboccò Clayton Street e posteggiò davanti ad una graziosa villetta con un piccolo giardino dall'aria ben curata. Jane scese dall'auto e si guardò attorno meravigliata: tutto stava andando per il verso giusto. Invece che aiutare suo padre a scaricare gli ultimi bagagli dalla macchina, la ragazza si avvicinò a sua sorella, come per farle coraggio: "Dai Anne, cos'è quella faccia da funerale? Guarda che posto gioioso, e che bella via!" Mentre diceva ciò, su quella bella via passò una coppietta che attirò subito la sua attenzione: entrambi indossavano degli starni pantaloni svasati e delle camicie dalle fantasie colorate; sia il ragazzo che la ragazza portavano i capelli lunghi fino alle spalle e delle piccole bandane dai colori sgargianti legate in testa. Erano così diversi da lei. Jane infatti si vestiva come le aveva insegnato sua madre: gonna a ruota al ginocchio e semplici camicette con il colletto. Portava i capelli castani tagliati a caschetto perché pensava evidenziassero i lineamenti del suo viso e fossero la cornice perfetta per i suoi grandi occhi verdi.

"Sì certo, come no." Rispose Anne, riscuotendola dai suoi pensieri.

"Anne, ma hai parlato!" Esclamò lei, stupita e divertita al tempo stesso, ricevendo in cambio uno sguardo di disprezzo da parte della sorella. Jane alzò gli occhi al cielo e seguì la madre e Dingo in quella che sarebbe diventata la sua casa.

"Jane, tesoro, comincia a mettere via le tue cose." Disse Lou, avviandosi verso la cucina, che era sempre stata il suo regno.

La ragazza prese uno scatolone e, con un po' di fatica, lo portò su per le scale e dentro quella che suo padre le aveva indicato come la sua nuova camera.

Aveva appena finito di sistemare ordinatamente tutti i suoi vestiti nell'armadio e le sue cose nella stanza, quando sentì il campanello suonare.

"Lou, potresti andare ad aprire, per favore?" Urlò Bob, evidentemente impegnato in qualcosa di molto importante.

Nessuna risposta.

"Anne, vai ad aprire." Tentò di nuovo l'uomo.

Nessuna risposta.

"Jane, apri quella stramaledetta porta!"

"Subito papà." Rispose lei, precipitandosi giù per le scale. Osservò per un momento la porta d'ingresso, girò la chiave nella serratura, aprì e si ritrovò davanti un ragazzo più o meno della sua età, non troppo alto e con un sorriso amichevole stampato sulle labbra. Teneva in mano un vassoio di pasticcini dall'aria invitante.

"Posso aiutarti?" Chiese Jane, leggermente stupita.

"Buongiorno Miss Davis, sono Kristopher Brown, il vostro nuovo vicino. Sono venuto a darvi il benvenuto."

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