Mi ricordo di quando tornai da Dublino e a come avrei voluto poter tornare in modo diverso. Però c'eri tu. Quando ho visto che mi venivi incontro ho realizzato di non essermi mai sentita così apprezzata, profondamente. Abbracciarti, dopo quelle due settimane che sarebbero poi state la linea di partenza di questo mio caos confusionale, fu come sentirsi in una di quelle case per niente lussuriose, per nulla spaziose, ma così piccole da far sembrare inevitabile lo starci lontano. Una di quelle case fatte per chi solo come noi sa guardare il mondo. Il tuo cuore, così stretto al mio, lo sentivo carico di polvere da sparo. Stava bruciando. A momenti sarebbe potuto esplodere dentro il tuo sterno così piccolo e magro rispetto a quelli che la gente è abituata a vedere in un uomo. Quell'ondata di protezione che mi aveva inglobato nelle tue braccia, fino a paralizzarmi, è paragonabile al mare freddo di oggi.
Sarei potuta rimanere di più dentro quell'acqua gelida, dentro quella vastità infinita.
Poco prima di entrare in acqua mi stavo facendo problemi su quelle dieci persone che erano sulla spiaggia, abbastanza distanti da me da non interessarsi, ma così vicine da poter giudicare il mio gesto. Dopo aver fissato il mare per qualche minuto, mi alzo, mi spoglio e cammino verso di lui. L'acqua è fredda, ma non mi ferma. Cammino, sprofondando sempre di più in quello stato di paralisi che mi rendeva difficile i movimenti. Vado giù, sono sott'acqua, in apnea. Quelle dieci persone,adesso, non mi possono più guardare. Ho il corpo sommerso e immobile. Urlo sott'acqua. Urlo con tutte le forze che rimangono nonostante la rigidità del freddo penetri nei miei muscoli. Urlo di nuovo. Sono sola. Inglobata in un abbraccio gelido di un inverno freddo e ventoso. Lo so che quando uscirò dall'acqua quelle dieci persone riprenderanno a guardare la mia follia, ma io so perché lo faccio. Sono io padrona di me stessa. Sono io con me stessa. Sono io che devo affidarmi a me stessa. Sono io che nell'abbraccio freddo e paralizzante del mare, simile ad un ripostiglio stretto e buio da claustrofobia, devo abbracciarmi da sola per riscaldarmi:"È tutto okay Bianca, ci sono io con te .".
Emergo. Tutto questo in soli cinque secondi. Cammino verso la spiaggia. Ovviamente mi guardano ma non me ne preoccupo più ormai. Mi asciugo subito e mi cambio, metto vestiti caldi sul mio corpo gelido. La felpa larga di mio padre mi protegge. Vedo una donna, mi aveva vista, cammina verso di me. So che vuole dirmi qualcosa. Chiederà se va tutto bene, perché l'ho fatto, dirà che sono pazza, magari è un medico e tenterà di farmi diventare ipocondriaca:"Ciao scusa, vedi quella bambina laggiù? È mia figlia e si vergogna però voleva farti sapere che ti ha trovato molto coraggiosa ad entrare in acqua con questo freddo. L'ho pensato anche io e penso anche che deve essere davvero bello ma io non ce la farei!" Ride. La ringrazio. Ci salutiamo e torna dalla sua famiglia, io finisco di asciugarmi i capelli e vestirmi. Guardo di nuovo il mare e vado via.
Quella bambina mi ha fatto capire una cosa: a volte, nella nostra follia, possiamo trovare qualcuno capace di applaudirci. Lei, senza nemmeno conoscere il mio nome, mi ha applaudita.
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FUTILI PENSIERI
SpiritualDisordine e confusione. Dategli voi la vostra libera interpretazione. STORIA COMPLETATA.