Epilogue

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Il clima in quel di Milano era uggioso, con nuvole a metà tra il grigio e il nero, e leggere gocce cadevano sul vetro della finestra smerigliato, che creava un suono simile ad un tintinnio di campanellini.

Insomma, non era una di quelle classiche giornate belle, in cui il sole picchia sul vetro, chiamandoti ad uscire e a passeggiare per le vie della tua città.

Se poi al clima si aggiunge il trovarsi in un luogo odiato, di certo non rendeva la situazione in cui Stefano si trovava più leggera e spensierata.

Letteralmente costretto da Sascha e Giuseppe, si iscrisse ad un "gruppo di ascolto e dialogo", perché chiamarlo "insieme di persone chiuse in una stanza a perdere ore della loro vita a fare assolutamente nulla, se non spiattelare i propri dubbi e problemi a perfetti sconosciuti" sarebbe stato troppo lungo e leggermente offensivo.

Sospirò, sistemandosi su quella sedia di legno maledettamente piccola e scomoda, passando lo sguardo stanco e annoiato su quella stanza, che era tutto fuorché calda e accogliente .

Le dimensioni dell'aula non erano molto grandi, ma lo spazio era usato sapientemente, questo doveva ammetterlo.

Al centro erano state poste alcune sedie, circa una decina o poco più, in una sorta di cerchio scomposto mentre alla parete sulla sinistra, dove in alto erano posti numerosi attaccapanni, piccoli tavolini erano messi in fila, giusto per posare borse o cose simili.

Dopo aver, per l'ennesima volta, osservato la stanza in tutte le sue forme e caratteristiche, passò il suo sguardo sulle persone presenti.

Per la maggior parte erano uomini e donne sui trent'anni, nulla di particolare o interessante, semplici persone che stavano per conto loro sparpagliati nella piccola stanza, tutti troppo impegnati ad evitarsi a vicenda.

Solo poche persone attiravano la sua attenzione, e iniziò a squadrarle cercando di carpire ogni dettaglio.

Una ragazza, che non doveva essere più grande dei sedici o diciassette anni, se ne stava seduta affianco alla finestra, occhi fissi fuori e una leggera aria malinconica.

Lunghi capelli biondi, chiaramente non naturali, gli ricadevano poco sotto le spalle e occhiali da una montatura semplice e nera, facevano capolino sul naso, mentre una felpa decisamente troppo grande copriva quella che era la sua snella corporatura.

Dall'altra parte della stanza, un ragazzo era seduto su uno dei tavolini, intento a giocare col cellulare.

Non era molto grande, sui diciotto anni circa, capelli nero corvino che andavano in netto contrasto con la pelle biancastra, quasi di un colore cadaverico, e occhi di un verde affascinante, simile a quello degli smeraldi

Anche lui, come la ragazza, non era di corporatura robusta, ma allo stesso tempo non era neanche di una magrezza preoccupante.

Quello che incuriosì il ragazzo era il tatuaggio che spiccava sul braccio destro, una scritta.

"They say before you start a war, you better you what are you fighting for"

Mentre cercava di capire perché un ragazzo così relativamente piccolo, avesse bisogno di un tatuaggio con un significato così profondo, una voce lo scosse dai suoi pensieri

-Scusatemi tanto, ma con questa pioggia è stato impossibile arrivare fino a qui- una donna entrò nella stanza, togliendosi il giubbotto e posando la borsa sui banchetti, sedendosi su quella che era una sedia posta al centro del "cerchio".

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