10. lil egg

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Non sono morta nemmeno questa volta.

E direi che è un buon traguardo, visto come me la sto passando in questo ultimo periodo.

Per la seconda volta, il fatto che io respiri ancora è dovuto dal volere di quel dannato mostro che, fra l'altro, è Caleb, il ragazzo che fino a due giorni fa baciavo.

Direi che la mia vita non potrebbe fare più schifo di così.

Alzo la coperta, così da tenere al caldo sia Sophie che Craig, entrambi addormentati sul mio divano.

Sono stati loro i primi a chiamare i soccorsi, che sono subito intervenuti, per quanto ormai il lavoro fosse già stato fin troppo svolto da Caleb.

Ci hanno messo ore per ripulire tutto il corridoio dal sangue del ragazzo con la pistola che, fra l'altro, nemmeno era della nostra scuola.

In una lettera che aveva nascosto a casa sua diceva che odiava gli adolescenti a causa di ciò che gli hanno fatto quando andava alle superiori: era vittima di bullismo, e ne portava ancora i segni, sia sul viso che sul corpo.

Profondi tagli, abrasioni e un orecchio tagliato: tutte opere dei suoi ex compagni di classe.

E questo non lo giustifica, ma tenta almeno di dare un perché a tutta quella violenza.

Si chiamava Anthony, ma tutti lo chiamavano Tony, e sognava di fare l'insegnate per poter aiutare i ragazzi come lui.

Il nero, però, era più forte, e alla fine ha vinto, inghiottendolo nelle sue ombre.

Chiudo lentamente la porta del mio studio, sedendomi sullo sgabello tondo, sempre pronto davanti ad una tela pulita.

Per terra ci sono ancora i segni del passaggio di Caleb: decine e decine di sfumature di colore in ogni angolo, quasi a ricordarmi quanto possa essere ampia la tavolozza della mia vita.

Ma io vedo solo il nero, che stringo subito fra le mani.

Intingo il pennello sottile nel liquido denso e poi osservo la tela, accarezzandola come se fosse una dolce bambina, ma con la decisione di un esperto.

Tratti veloci, netti e pieni di rabbia.

Sento le mie mani sporcarsi di tintura fredda, ma non mi importa: voglio lasciare che il nero mi inghiottisca, così da far smettere al caos di far rumore.

Voglio solo che torni il buio e il silenzio.

Non rivoglio la mia vita, voglio che tutto, semplicemente, finisca.

Sbatto le palpebre, e poi sospiro, osservando la mia opera: due occhi di pece che ricambiano il mio sguardo.

Ci sono entrambi in questo disegno, sia Caleb che il mostro, e solo ora mi rendo conto di quanto fossi stupida.

Certo, quale ragazzo sano di mente si sarebbe interessato ad una come me? Solo uno che riesce a trovare la bellezza nel dolore, e chi meglio di un mostro, fra l'altro il mio stesso aggressore?

Voleva conquistarmi come un premio, forse per la soddisfazione data dal notare la mia adorazione.

Una vittima che si innamora del suo carnefice: direi che non esiste presa in giro più crudele.

Prendo le forbici dal tavolo da lavoro e torno a guardare la mia opera, una delle più brutte, e poi, con decisione, affondo le lame affilate al centro del tessuto, spezzandolo.

Lembi di telo bianco cadono a terra ma non mi importa, voglio solo distruggere tutto ciò che rimane di quell'essere, compresa me.

Getto le forbici a terra, osservando le mie dita sporche di vernice prima di rialzarmi e andare verso la finestra, sperando che un po' d'aria fresca mi faccia schiarire la mente.

Spalanco le tende, e subito mi blocco, abbassando lo sguardo, persa nei miei stessi pensieri.

Non ci posso credere: lui è qui.

Caleb è fermo al centro del mio giardino, in piedi ed immobile, quasi come se fosse in attesa.

In mia attesa.

Guarda nella mia direzione, quasi come se già sapesse che io sarei arrivata ad affacciarmi, o magari perché sperava in qualche modo di attirarmi.

A Sophie e Craig ho detto che lui, una volta visto il pistolero a scuola, è semplicemente scappato, e direi che questa versione è molto più felice della realtà.

Noto che è vestito di nero, come suo solito, e ha le mani infilate in tasca, per quanto io mi aspetti di vedergliele passare fra i capelli scossi da un momento all'altro.

Non posso crederci che lui mi abbia fatto tutto questo.

Torno nella stanza e afferro il telo strappato con decisione, aprendo poi la finestra e gettandolo fuori, ai suoi piedi.

Caleb, visibilmente sorpreso dal mio gesto, abbassa lo sguardo, e poi si china, passando le sue dita sottili sulla tela, sporcandosi con la vernice fresca.

Direi che questo messaggio è abbastanza chiaro anche per lui.

Chiudo la finestra e serro le tende, dando poi le spalle, così da prendere un sospiro.

Ho bisogno di respirare.

Il telefono nella tasca dei miei jeans vibra e subito corrugo la fronte, sorpresa.

Noto che è un numero sconosciuto, e la cosa mi confonde, perché non molta gente ha il mio numero.

"Pronto?" Chiedo, ancora confusa.

Sono sicura che non sia Caleb, anche perché ho il suo numero in memoria, ma, non appena parlo al ricevitore, nessuno mi risponde.

Sento solo un silenzio perfetto, cosa decisamente inquietante.

"C'è qualcuno?" Chiedo, ancora, già pronta a riattacare.

Forse è solo uno stupido scherzo telefonico.

"Lil egg."

La chiamata si interrompe e subito il telefono mi scivola dalle mani, troppo shoccata anche solo per riuscire a reggerlo fra le dita.

No, non è possibile.

Nella mia mente, sedici anni di nomignoli e prese in giro affettuose mi passano per la mente come in un film in bianco e nero, riportando alla luce vecchie cicatrici che ho tentato disperatamente di nascondere.

Quella voce, quella voce che riconoscerei fra mille, così simile a quella di mio padre.

E poi nessun altro al mondo potrebbe essere così antipatico da chiamare la propria sorella in quel modo orribile, piccolo uovo.

Nessuno è come lui, per me.

Nessuno è come Jack.

Angolo

Nuovo capitolo e nuove novità ;)

Jack, il fratello morto di Megan, sembra essere tornato, o magari è qualcuno che le sta giocando uno strano scherzo?

Mah😇

Spero che il capitolo vi sia piaciuto :)

A presto,
Giulia

Cuore di cenereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora