5. Specchio, specchio delle mie brame. | PARTE SECONDA

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A togliermi dall'imbarazzo – o quasi – fu una buffa ragazza dalla voluminosa chioma di ricci cespugliosi, il viso rotondo e un naso lentigginoso che accentuava la contagiosa vivacità di due occhi blu oltremare

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A togliermi dall'imbarazzo – o quasi – fu una buffa ragazza dalla voluminosa chioma di ricci cespugliosi, il viso rotondo e un naso lentigginoso che accentuava la contagiosa vivacità di due occhi blu oltremare.

Si sbracciava per richiamare la mia attenzione – peggio di un naufrago che avvisti i soccorsi dalla sua zattera di fortuna – ma finì per calamitare gli sguardi di tutti i presenti, incluso il professor Zeta.

— Sì, signorina Sartori?

La ricciolina abbassò gli arti e si contorse come se avesse delle formiche a solleticarle le chiappe. 

— Può sedersi qui, se vuole. C'è un posto libero.

La sua voce nasale ricordava le trombette di carta con cui nonno Anselmo ci spernacchiava nelle orecchie durante i pranzi con la famiglia o le occasioni di festa, quando insieme ai parenti – uno sgargiante battaglione – ci riunivamo nel bellissimo villino affacciato sul mare di San Foca, in Puglia, per le vacanze estive.

Rapita da quelle memorie, quindi, non mi accorsi dell'espressione imbambolata che mi si era appesa in volto.

— Deduco che ce l'abbia con lei — si schiarì la gola il professore, rimestando alcuni fogli.

Mi ridestai dallo stato di trance, ancor più paonazza se possibile, e incespicai qualche verso aborigeno che portò al declino completo della mia dignità.

Mi precipitai a occupare il posto offertomi e, non appena mi fui seduta, la mia nuova compagna di banco, così gioiosa di avermi al suo fianco, mi tese una mano.

— Martina Sartori — si presentò. Aveva denti piccoli e vagamente spuntati.

Gliela strinsi. Fui lieta che il suo palmo non fosse sudato. — Sarah Germani.

— No. Ma dài.

— Cosa? — Non capivo cosa ci fosse di tanto sbalorditivo nel mio nome.

— La mia ex migliore amica si chiamava come te — spiegò esagitata. Non si preoccupava nemmeno di ridurre il tono della voce. — Dev'essere per forza un segno. Tu ci credi nel destino?

— Ehm... N-non saprei.

— Nel senso non saprei-non mi interessa o non saprei-ma vorrei crederci?

Faceva troppe domande per i miei gusti, e con una confidenza e una celerità irritanti. Bisbigliai un — Ti spiace se... — indicando con un cenno piuttosto eloquente la cattedra davanti alla quale il professore aveva attaccato a parlare. Stava recitando «La Tigre» di William Blake e non volevo perdermi l'appassionata interpretazione.

— Oh, sì sì, tranquilla. Riprendiamo dopo — sussurrò Martina con un sorrisetto allegro.

Peccato solo che io non ne avessi alcuna voglia.

•••

Non potei sottrarmi comunque al supplizio. Sarei stata una scostumata a esprimerle la profonda seccatura che mi dava il suo vociare torrenziale, così dovetti sorbirmi la logorrea.

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