Capitolo 8

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Sarah

Il resto della sera lo passo arricciata sul divano, pensando a tutto quello che è successo nel pomeriggio. Penso alle nostre mani che si sono strette, al calore della sua pelle sulla mia, al suo profumo e mi chiedo come possa essere successo tutto questo. Com'è potuta nascere questa strana sensazione in così poco tempo? Soprattutto perché il mio odio sembra essersi volatilizzato in un battito di ciglia?

Stringo le palpebre e cerco di scacciare quei pensieri dalla mia testa, m'impongo che non devo più pensarci, che non posso farmi ammaliare da lui. Potrebbero licenziarlo e potrebbero espellermi nel caso in cui dovesse nascere una relazione.

E alla fine riesco a convincermi. Devo tenere duro fino a luglio, quando riuscirò a prendere la laurea. Forse. Sempre che lui non me lo impedisca.

Alla fine mi addormento tra i grandi cuscini rossi che sanno ancora di mia madre, del suo intenso profumo di Saint Laurent.

Sono risvegliata verso l'una dal ticchettio di un paio di tacchi. Holly.

«Hey sorellina» la chiamo e vedo la sua ombra sussultare. Si affaccia e nella penombra riesco a vedere il suo sorriso che arriva da un orecchio all'altro.

«È andata alla grande, vero?» Lei annuisce vigorosamente, senza smettere di sorridere.

«Una delle serate più belle della mia vita» risponde. Non ci diciamo più niente, so già che è successo, lo si capisce da ogni suo movimento, da ogni suo gesto.

Andiamo nelle nostre camere nel completo silenzio, augurandoci solo dei deboli saluti.

23 novembre 2003

Mi trovo sola dentro un caffè a South Bank. Oggi avrei dovuto avere un incontro con il professore, l'unica dopo quel pomeriggio passato alla National Gallery. Ma non ce l'ho fatta ad andare. Non me la sentivo di passare del tempo da soli. Tradotto: ho deciso che smetterò questi incontri pomeridiani per cercare di smettere di pensare a lui. Le due domeniche precedenti sono riuscita a trovare dei pretesti, sebbene estremamente stupidi, per evitarle. Ma non so che mi è passato per la testa giovedì quando ho accettato il suo invito. Forse delle scimmie urlatrici.

Fatto sta che cinque minuti dopo me ne stavo già pentendo. Enormemente. Perciò oggi mi sono rifugiata dall'altra parte della città, sicura che qui non mi avrebbe trovata.

Mi porto alle labbra la tazza e sorseggio appena il delizioso caffè. Dio, com'è buono. Ci potrei fare il bagno dentro. Vedo Lizzie, mia ex compagna di liceo e cameriera al Lafferty, uno dei miei posti preferiti a Londra, schizzarmi veloce accanto, rivolgendomi uno sbrigativo sorriso. Fino ad un paio di anni fa, cioè quando non stavo ancora con Mike, questo era un appuntamento settimanale fisso, ma da quando ho cominciato la Queen Mary non ho un pomeriggio libero da dedicare ad un caffè e ad un muffin al cioccolato di questo posto.

Ma oggi mi sono decisa a togliermi questo sfizio.

Mi sono posizionata fuori, sotto il tendone, in un minuscolo tavolino all'angolo sinistro, da cui si vede tutta la città che inizia a illuminarsi. La osservo estremamente ispirata e orgogliosa, tanto che potrei cominciare a piangere. Vedo la gente passeggiare tranquilla, coppie mano nella mano, anziani con i nipoti, gruppi di ragazzini chiassosi.

Poso la tazza e prendo in mano Cime Tempestose, che tra parentesi è il mio libro preferito, e comincio a leggerlo per la quinta volta. Ogni tanto m'interrompo e lancio un'occhiata alla città e sorrido come un ebete.

La quarta volta che alzo la testa, scorgo qualcosa d'insolito alla mia destra. Dei capelli biondi, luminosi, le mani grandi, ruvide, il cappotto blu abbottonato e la sciarpa attorno al collo. E per poco non mi strozzo con il boccone di muffin che ho in bocca.

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