Capitolo 9

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Michael

Non mi ha più rivolto una parola. Ha continuato a cucinare fischiettando allegramente, saltellando al ritmo della musica jazz che aleggia nell'aria. Io sono rimasto incollato a questo scomodo divano, chiedendomi come mai non me ne stessi andando, perché continuassi a stare lì. Non c'era spiegazione logica a ciò. Forse volevo conoscere il mistero attorno a lei, a Jasmine, la mia ex.

«Mi puoi dare una spiegazione? Ti scongiuro» le domando per l'ennesima volta, ma lei pare non avere orecchie. Continua a preparare un pancake dopo l'altro, balzellando allegramente. Solo quando decide di averne fatti abbastanza, una decina almeno, si siede davanti a me, un sorriso sbilenco scolpito sul volto pallido come il marmo.

«E quindi l'agnello torna alla tana del lupo... o forse è meglio dire che il lupo nero torna dall'agnellino spaurito e lasciato solo» dice ficcandosi in bocca un pezzo di quel dolce che ama tanto. Non aspetta risposte, o forse sì, forse sono solamente io che ho paura di dargliene, anche se ne vorrei un po' anche io. «Comunque quella con cui sei andato a letto stanotte è la mia coinquilina Jennifer. Ora vorrei io delle spiegazioni a proposito di tre anni fa.»

Devo ammettere che lasciarla per telefono così, su due piedi, è stato proprio una mossa meschina, non da me. Non ricordo chiaramente quel periodo della mia vita se devo essere completamente sincero. Mi ricordo solo di un insieme di sensazioni fortissime, di questa grande infatuazione per Sarah che non è ancora svanita. No, l'amo ancora troppo per dimenticarla. Eppure dovrò farlo. Prima o poi.

«Ne hai un po' anche per me?» chiedo piano, dopo qualche minuto di silenzio quasi inquietante. Lei annuisce tra un boccone e l'altro e mi indica la pila non più fumante appoggiata sui fornelli. Ne prendo un paio e poi mi siedo nuovamente al suo fianco. Mangiamo silenziosamente, con solamente il classico fastidioso rumore di Boston come sottofondo.

«Come va in paradiso? Eh?» sbotta ad un certo punto lei, fissandomi con il suo sguardo glaciale. Le faccio un'alzatina di spalle, sperando che capisca. Lo fa.

Abbozza un mezzo sorriso e le sue dita sfiorano la mia mano. Le vedo mimare un "capisco" e poi alzarsi.

«Mi ha spezzato il cuore vederti andare via Mic» dice alla fine. Mi volto e vedo i suoi occhi pronti a riversare un mare di lacrime. «Mi ha fatto fottutamente male, non hai proprio idea quanto» tira su col naso, pulendosi gli occhi. La fisso ammutolito, con la bocca secca che non pare in grado di fare un vero discorso. Alla fine mi alzo e le prendo la mano, stringedola più forte che posso.

Jasmine getta la testa sulla mia spalla e comincia a piangere sempre più forte, sempre più rumorosamente.

Rimaniamo così abbracciati a lungo, con le sue lacrime a bagnarmi la camicia azzurra. Non sento più il tempo scorrere e in un batter d'occhio è tardo pomeriggio.

Il resto della giornata lo passiamo a parlare, a buttare fuori tutte le cose, tutti i segreti che erano rimasti nascosti dentro di noi. Mi domanda spesso di Sarah, ma io cerco sempre di evitare. Nessuno, sa quello che stiamo passando, nessuno tranne noi due. Bisognerà chiarire quando lei arriverà qui, per Natale, con la sua famiglia.

La sera usciamo, andiamo a mangiare la pizza. Ora sorride, gli occhi le brillano quando mi parla della sua nuova vita, del suo nuovo lavoro, come assistente di un editore. È bella, bellissima. Avevo dimenticato i suoi lunghi capelli biondi, il suo sorriso smagliante. Oppure quel suo toccarsi il naso quando è in imbarazzo, la fastidiosa abitudine di farsi schioccare le dita.

Alla fine della serata, o almeno quasi, quando manca solo una fetta di pizza, mi fissa con i suoi occhioni blu. Si avvicina, mi avvicino, lascia che la sfiori, delicatamente, lei chiude gli occhi e io la bacio. A lungo, profondamente, come non facevamo mai. Erano i baci che lei voleva ma non aveva mai. Ci fermiamo lì, almeno per il momento.

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