Capitolo 2

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Sarah: James Blunt – Heart to Heart

2003

«Sarah, alzati, su, forza» la voce imponente di mio padre mi sveglia da uno dei più bei sogni della mia vita. Non ricordo mi aver dormito meglio di stanotte. Mai.

«Sarah sbrigati» mi toglie la coperta e io mi lascio scappare un mugolio di protesta. Alla fine è arrivato anche il primo settembre. Purtroppo.

«Papà?» biascico con ancora la testa spiaccicata sul cuscino.

«Mh?»

«Ti mancherà svegliarmi quando andrò a vivere con Michael?» lui ritorna indietro sui suoi passi e mi guarda serio.

«Quando tu farai cosa, scusa?» Ha la fronte aggrottata e sembra veramente impaurito. C6. Colpito e affondato. Mi tiro su, seduta con la schiena appoggiata al muro e mi stropiccio il viso.

«L'altro giorno io e Michael abbiamo valutato la possibilità di andare a vivere in un appartamento a Chelsea» gli spiego con calma, mentre decido ad alzarmi e infilarmi le infradito. Lui è sempre fisso nella stessa posizione, con la stessa espressione stampata in viso. Non dice niente, se ne sta lì a guardarmi con gli occhi da pesce lesso e la bocca aperta. Sicuramente era l'ultima cosa che si aspettava.

«E... E questo quando dovrebbe succedere?» chiede alla fine, quando par aver ripreso un po' di controllo si sé stesso. Sorrido. Ron non era mai stato uno di quei padri che non vede l'ora di sbatterci fuori di casa, per vivere finalmente in tranquillità. Anzi. È sempre stato felice di averci attorno a sé.

Le mie amiche del college vivono già tutte da sole e si sono staccate dal nucleo familiare già dalla fine della scuola superiore. E Holly ha già preannunciato di fare così. Ma io non me la sentivo di andare così presto, ancora così acerba. Ma ora mi sento pronta.

Cominceremo a lavorare tutti e due e avremo bisogno di un posto nostro.

Faccio schioccare la lingua sul palato «Finito quest'anno. A novembre, quando Michael viene a trovarmi, andiamo a vederlo». Mi dileguo velocemente prima che lui possa replicare. O peggio: fare un'altra domanda. Faccio le scale a corsa e raggiungo la cucina al piano terra. Lì c'è Gwendolyn la nostra domestica, tata, colf, tuttofare insomma. È una donna sulla settantina, con una stazza importante e un viso dolce circondato da dei corti capelli biondi (tinti). È stata una madre per me e Holly quando la nostra non ci considerava.

«Buongiorno» la saluto schioccandole un bacio sulla guancia.

«Buongiorno pulce. Tieni queste» fa scivolare le uova in un piatto e me lo porge. «Ultimo primo giorno, eh? Emozionata?» domanda e io rispondo con un veloce cenno del capo. Ho già la bocca piena di cibo. Nel frattempo ci ha raggiunti anche mio padre che par non aver ancora digerito la notizia di prima. Si siede in silenzio, prendendo il Times e iniziandolo a leggere senza degnarmi di uno sguardo. Gwen gli porge la tazza colma di thè e lui si limita a ringraziare con un cenno del capo. Per qualche istante nella grande cucina color panna si sente il solo ticchettare della forchetta sul piatto.

«Padreeeeeeee» la voce squillante di mia sorella rompe il silenzio. La si sente scendere le scale con velocità e arrivare tutta trafelata con un sorriso disegnato sulle sue labbra. Ron alza lo sguardo dal giornale e la guarda perplesso. «Buongiorno» saluta Holly sedendosi accanto a me con la solita grazia di uno scimpanzé. «Ciao» mi dice prendendomi la forchetta di mano e raccattando una buona porzione delle mie uova.

«Prendi pure, fai come ti pare, mi raccomando» borbotto mentre la osservo impossessarsi della mia colazione e ingollarla a velocità stellare.

«Holly, un po' più di grazia, per favore» la rimprovera stancamente Gwen, una donna d'altri tempi cresciuta a pane e galateo.

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