5

156 21 10
                                    

Catapultata fuori la metro dalla ressa del lunedì mattino; altro che black friday, questo è il dark monday.
Piove a dirotto e dritto davanti la strada nemmeno si scorge, tanto che l'aria è fitta d'umidita.
La folla si dirada in tutte le direzioni possibili, mi guardo intorno mentre faccio pari e dispari sul da farsi; la bronchite o il colloquio?
Ci sono io e un altro tizio spuntato dall'angolo opposto al mio, anche lui senza ombrello. Un momento... è lo stronzone, il cugino di Frank Zappa: Beppe il zoppo!?

Non appena si accorge sono io, mi guarda con aria di sfida. Lo fisso di rimando incenerendolo con gli occhi. Sembra una fottuta scena western alla Leone, manca solo la palla di fieno che rotola via. Silenzio di sfida, silenzio che in realtà non c'è. Il mormorio metropolitano continua la sua lotta, la pioggia continua la sua combutta con l'asfalto, un'ambulanza passa veloce a sirena spiegata, una rom a mani tese chiede spicci con un sorriso a ventiquattro carati; quando si dice la coerenza.

Il barbone guarda avanti a sé, un secondo dopo guarda me, tutto in alternanza come in una partita di tennis; deve aver capito il piano di inculata silente che lo attende.
Prende a camminare lanciandosi tra i pedoni e cerca di seminarmi. Porcaccia zozza, mi tocca infradiciarmi i capelli per non perdere terreno. Tanto non mollo, è inutile che corri, bastardo.

Lo seguo facendo slalom tra gli ombrelli, si sta inzuppando come una spugna, ma non cede; di sicuro non sarò io a farlo. Prende una via secondaria che taglia la strada giusto nel mezzo, pensa sia una sprovveduta, non sa che conosco questo posto come le mie tasche. Proseguo spedita accelerando il passo, se corro abbastanza arriverò prima di lui. Un vecchio mi manda a fanculo mentre lo investo in pieno, uno srilankese pieno di ombrelli su un passeggino, tenta di ostacolarmi per vendermi la salvezza. Gli punto il dito medio dritto in faccia, 'sti cazzi il riparo, posso farcela.

Ho la milza che tenta di suicidarsi, i piedi in apnea da pozzanghere, l'affanno si fa insistente, colo acqua piovana dai polpastrelli, l'acconciatura ormai andata mi trasforma in Samara di The Ring. Ho un aspetto di merda e magari stramazzerò al suolo non appena fuori dal locale, ma intanto sono giunta in via Alighieri, e se i miei calcoli sono giusti, il pub dovrebbe trovarsi al centro esatto della strada. Arranco per gli ultimi duecento metri, il sangue al cervello e l'ipertensione da stress non aiuta la vista, mi si sfoca lo zoom ottico e non riesco a vedere altro che non sia ad un pelo dal naso, ma uno stronzo lo riconosco anche ad occhi chiusi, e quello che da lontano si fa avanti nella mia direzione è lo stronzone numero uno, il più stronzo con cui abbia mai avuto a che fare.

"Vai, Giulia. Vai!", mi tifo da sola nello sprint finale. Ecco l'insegna del pub che spunta di traverso, mi fiondo sulla porta d'ingresso come una maledetta, lui fa lo stesso dall'altro lato; a chi entra per primo, morto di fame.
Ce l'ho quasi fatta...
- Prima! - urlo come una pazza. Quando mi ritrovo schiacciata tra il vetro e una sorta di carro armato piombatomi addosso.
- Vivo, sono vivo! - mi grida quel deficente all'orecchio, mentre continuo a fare da hamburger tra lui e l'ingresso.

- È chiuso, è chiuso, - mimo con le labbra attaccate a ventosa, ed un rivolo di saliva mi cola dai lati tipo lumaca. Intanto il cielo sembra essersi sfogato abbastanza, ha smesso di piovere e manco me ne ero accorta. Gli do una gomitata allo sterno per farlo spostare.
- Di questo passo mi ingravidi, bestia.
- Sia mai ragazzina, non vorrei essere arrestato per pedofilia.
- Te piacerebbe...
- Manco morto.
- Vorresti farmi credere che nemmeno una bottarella?
- Non vado con le secche.
- Dunque se ti mostrassi la mercanzia...
- Non è questo il punto.
- Dunque ci verresti.
- Santa Vergine!
- Sì, in effetti mi chiamano anche così nell'intimità, - e gli rifaccio il giochetto che fece lui a me l'altra sera.

- Impari in fretta, bimbetta.
- Non immagini quanto, - e un sorriso da iena mi spunta da solo.
- Vedo che ci hanno dato appuntamento insieme.
- Purtroppo sì.
- Trema, tanto il colloquio è un optional, il lavoro è bello che mio.
- Ah, la convinzione fotte la gente.
- Credevo fossi diretta altrove.
- In effetti incontrarsi proprio alla stazione non ha sortito un buon effetto.
- L'ho capito subito che stavi correndo qui, io alle coincidenze non ci credo.
- Invece credevo avessi dormito in stazione.
- Quasi quasi c'ho fatto casa lì dentro, ma non è un tuo affare.
- Puoi dirlo forte, ho già i miei problemi.
- Già, deve essere dura combattere contro l'acne giovanile.
- Invece il tuo qual è? Suonare con una mano la chitarra e con l'altra farti le pugnette in melodia?

Resta a bocca spalancata dalla risposta, non se la aspettava di certo, e come dargli torto. Non sono così scurrile quando ho a che fare con gli altri, ma quest' imbecille mi smuove la maleducazione fino alle unghie.
Attraverso il marciapiede e resto appoggiata al muro, braccia conserte, in attesa venga il titolare. Ma non gli scollo gli occhi di dosso per fargli capire di non sottovalutarmi. Sembrerò pure una ragazzina, ma con i controcoglioni.
- Che puntualità, - un tizio, chiavi in mano, saluta entrambi. E considerato non l'abbia mai visto prima, giurerei sia il proprietario. Sembra la brutta copia di un biker americano: bandana in testa, ciondolo al collo a forma di teschio, e i bicipiti zeppi di tatuaggi alla rinfusa.
Andiamo bene! Figurati se questo non sceglie un barbone come lui al posto di una ragazza. Qui tocca inventarsi qualcosa, altrimenti torno a casa sconfitta.

Complicatissima MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora