Dallas's pov.
Sono seduto nel mio studio con i gomiti puntati sulla scrivania e la testa appoggiata alle mani. Davanti a me una pila di fogli di giornali e fotografie scarabocchiate. Gli occhi bruciano per le troppe ore trascorse ad esaminare la dinamica di quel dannato incidente. Durante i nove mesi successivi alla morte di Stephen, ho trascorso la maggior parte del tempo a raccogliere informazioni che potessero condurmi alla sola verità. Non posso darmi pace, non posso. Sbuffo. Torno a concentrarmi su alcune pagine che riportano gli investimenti effettuati nel corso di quest'ultimo anno e mezzo. Mio padre è morto quando io avevo appena compiuto tre anni e Step ne aveva cinque, non ho molti ricordi di lui ma da come la mamma ne parlava potevo intravedere l'amore e l'ammirazione che nutriva nei suoi confronti, era un uomo potente aveva grandi imprese e il patrimonio che ci ha lasciato può bastare a far campare più che dignitosamente ben tre generazioni. Step è sempre stato il cruccio di mia madre, un ragazzo a cui piaceva condurre una vita particolare, oltre ad essere il capitano della sua squadra di basket era anche innamorato del pericolo e si ritrovava spesso a correre sulla sua Hornet 07 nera lucida, ovviamente erano corse clandestine, ma la paura di poter finire in prigione non lo sfiorava minimamente. Conducevamo due vite diverse, nonostante ci accomunasse l'amore per il basket e il bene che ci volevamo. Stringo forte i pugni spezzando la penna tra le mani, l'inchiostro nero si propaga sulla mia pelle. –Come al solito hai il naso sepolto tra quei maledetti fogli e immagino dunque di darti fastidio. – guardo Alex far capolinea nella stanza, ricordando solo le sue braccia a stringermi quando sentivo le gambe cedermi davanti alla figura di mio fratello inerme su quell'asfalto nero. Stringo il labbro inferiore tra i denti per cacciare via la frustrazione. –Come sei entrato? – chiedo raccogliendo tutto il materiale e gettandolo in una scatola. Alza una mano tenendo tra le mani un mazzo di chiavi. –Queste me le hai date tu, ricordi? – annuisco, ricordando di avergliele date in caso di una qualsiasi emergenza. Gli faccio segno di uscire dallo studio, tiro la porta alle mie spalle chiudendola con una chiave che ripongo poi nella tasca del jeans. Scendiamo giù nel soggiorno e con l'abituale disinvoltura, Alex si ferma davanti al tavolino per versarsi del brandy. –Ne vuoi un goccio anche tu? – scuoto la testa. Osservo il liquido ambrato nel bicchiere, appena più scuro della sua chioma. –Sono passato solo per vedere come stavi, è dalla festa a casa mia che sei sparito, sei andato via senza dare spiegazioni non ti sei fatto né vedere e né sentire per un giorno intero saltando anche l'allenamento Dallas. – mi rimprovera con lo sguardo, mentre i flash di quella sera si ripetono come un disco rotto nella mia testa. Le mani di Susan che passavano frenetiche sul mio addome contratto, mentre io affogavo in lei con forza e senza ritegno e poi ho visto i suoi occhi verdi come il prato in primavera essere attraversati da un sentimento improvviso che somigliava tanto all'orrore. –Avevo bisogno di restare da solo per un po'. – rispondo solo. Alex si sposta dietro lo scrittoio posizionato in mezzo la sala, scrutandomi per bene. –C'è qualcosa di cui vuoi parlarmi amico? – incrocia le braccia al petto aspettando in silenzio una mia risposta. –Migliaia di dollari sono scomparsi come granelli di sabia nella buca di un topo. Negli ultimi mesi prima di morire, Step ha effettuato dei versamenti a nome di un incognito ed io pur essendo suo fratello non posso accedere ai dati relativi a tali spostamenti di denaro. Sto cercando di rimettere in ordine tutti i tasselli, ma c'è qualcosa che mi sfugge. – Sorseggiando il brandy, Alex riflette per qualche istante. –Potrebbe riguardare qualche debito che ha contratto durante quelle gare, non sarebbe la prima volta. – Scuoto la testa velocemente, girando per la stanza e puntando un dito contro una tempia. –Mio fratello ha combinato i suoi gran casini, ma queste somme sono troppo alte, non si sarebbe indebitato così tanto anche perché non ne avrebbe avuto alcuna ragione poiché i soldi non gli mancavano. – Annuisce seguendo il mio discorso. –Cosa farai adesso? – Sospiro stringendo gli occhi. –Per adesso, esco a prendere una birra. Vieni con me? – dico prendendo la mia giacca di pelle nera e un mazzo di chiavi posizionato su un mobile vicino la porta d'ingresso. –Come dire di no! – sorrido al mio amico e ci avviamo alla mia auto. Alex per tutto il tragitto ha continuato a mandare messaggi e di tanto in tanto sorrideva come un idiota. Scendiamo e mentre ci avviciniamo all'entrata gli mollo un pugno leggero sul fianco. –Cosa mi nascondi idiota? – ride e scrolla le spalle. –Nulla di nuovo, tranquillo. – annuisco facendo finta di crederci. I campanelli affissi sulla grande porta in vetro suonano quando mettiamo piede in quel locale. Ci sediamo al bancone e aspettiamo che qualcuno ci serva. Proprio in quel momento si apre la porta che conduce alla cucina e compare Sophia che cammina e sorride con aria distratta. La camicia in velluto color ruggine è striata di farina, assottiglio gli occhi e noto una chiazza di farina sul naso, e sorrido per la visione così dolce. Appena si accorge della nostra presenza sbarra gli occhi verdi riavviandosi in fretta i capelli. –Ragazzi. – ci saluta rivolgendoci un sorriso tirato. –Cos'hai combinato in quella cucina? – scoppia a ridere il mio amico. Sophia abbassa lo sguardo sui suoi vestiti sporchi e piagnucola scherzando con Alex. –Cosa vi preparo? – dice velocemente. –Due birre alla spina, grazie. - rispondo e senza degnarmi di uno sguardo le prepara e le poggia sul bancone in marmo. Il telefono di Alex prende a squillare, ci guarda –Scusatemi. – con un sorriso risponde al telefono e si dirige all'esterno, e sono sicuro mi stia nascondendo qualcosa. Porto l'attenzione sulla ragazza dai lunghi capelli legati in una treccia che ricade sulla lunghezza della sua schiena. –Cosa guardi? – mi riprende. Chino la testa per guardarla meglio e sorrido. –Lo so, devo avere un aspetto orribile c'è stato un piccolo incidente in cucina. – dice mentre cerca di ripulirsi la manica destra. –Sei.. – Meravigliosa vorrei dire, ma non oso. –Sei solo un po' in disordine. – e con un dito le indico il naso. –Cosa? – chiede stranita. –Sophia il tuo naso, è imbrattato di farina. – impreca qualcosa a bassa voce e con il palmo della mano strofina la parte sporca. –Va meglio. – dico facendole un occhiolino. Non l'ho più vista dall'altra sera e non so per quale assurdo motivo ma quegli occhi pieni di disgusto tutto rivolto alla mia persona mi fecero sentire così assurdamente sporco, facendomi perdere la lucidità. –Beh, quindi tu lavori qui tutti i giorni? – chiedo. Mi guarda e sospira. –Si. – e come un uragano le parole escono dalla mia bocca. -Sei felice? - e vorrei prendermi a schiaffi mentalmente, non credo le piaccia che si invada il suo spazio personale. Vedo le sue spalle irrigidirsi e puntare i suoi occhi diritti nei miei. –No non lo sono, nemmeno un po', di certo non è questo che una ragazza di ventidue anni si aspetta dalla vita, ma sai com'è purtroppo quest'ultima non regala nulla, e non posso fare altrimenti. – quelle parole cariche di tristezza e rabbia arrivano alle mie orecchie forti e chiare. –E tu? Tu sei solo quello che la gente dice di te? – mi chiede incrociando le sue mani. –Perché cosa dice la gente di me? – sorride disgustata, so bene cosa la gente dice di me. – Credo tu lo sappia capitano. - rimarca quella parola che accarezza le sue labbra dolcemente. Prendo un sorso dal mio bicchiere. – Diciamo che ho sentito qualche voce in giro ed è probabile che qualcosa sia vero, ma non tutto. – incrocio le braccia al petto e mi appoggio alla sedia completamente. –Ognuno di noi ha un passato, non è tutto come sembra. – dico con un po' troppa durezza. La sento schiarirsi la voce. –Ci sono cose che devono essere superate, il passato non si cancella ma può essere accantonato in un angolo remoto della nostra mente. – e sembra quasi voglia convincere un po' sé stessa. I suoi occhi persi in un angolo della stanza sembrano smarrirsi in qualche ricordo. –Sei sempre stata un fantasma, non ti ho mai vista. – do sfogo ai miei pensieri. Mi guarda con un ghigno sulle labbra. –Era quello che volevo, nessuna distrazione. – Prende un bicchiere pulito e lo poggia su una mensola in alto alle sue spalle. Si mette sulle punte e la sua camicia si alza lasciando intravedere uno scorcio della sua pelle bruna. Mi inumidisco le labbra e abbasso gli occhi per evitare di essere colto in flagrante. Alex rientra nella sala. –Eccomi, scusatemi ma era una questione urgente. – lo continuo a fissare ma lui distoglie lo sguardo. –Era per caso la mia amica questa "questione urgente"? – la sua amica? Lo vedo seduto di fianco a me muoversi imbarazzato sulla sedia e quasi stento a riconoscerlo. –Alex, davvero.. Kelly? – sbarro gli occhi e lui boccheggia senza dir nulla. –Beh se anche fosse dove sarebbe il problema? – Sophia mi sfida inarcando un sopracciglio. –Nessun problema. – alzo le mani in segno di resa non voglio iniziare una discussione sul perché Alex non possa essere il ragazzo giusto per Kelly. Questa volta è il mio telefono a squillare, sbuffo quando leggo il suo nome. –Cosa vuoi? – ringhio sperando che le arrivi tutta la mia disapprovazione per questa chiamata. Sento gli occhi accusatori di Sophia puntati addosso. –Ascolta, ora non posso parlare, ti richiamo dopo. – senza attendere ulteriormente una risposta chiudo la chiamata. –Era Allyson? – mi chiede Alex e annuisco senza proferire parole. –Tu conosci Allyson vero? – chiede il mio amico a Sophia. L'ascolto ridere leggermente. –Si, ho avuto modo di parlarle in diverse occasioni. – La guardo scusarsi per poi girarsi e scomparire in cucina.
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DISORDER.
RomanceSai qual è il bello dei cuori infranti? - domandò la bibliotecaria. Scossi la testa. Che possono rompersi davvero soltanto una volta. Il resto sono graffi. Ed io, il mio cuore, lo avevo perso, la mia anima bruciata da due occhi grigi che non mi most...