Capitolo undici

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«okay, allora vado comprare il test di gravidanza» disse Emma alzandosi dal letto.
«no, aspetta! Usciamo tutte e tre, non voglio farlo in casa» non riuscivo ad immaginare cosa avrebbe detto mia madre se avesse per un strano motivo scoperto il test. Era chiaro che non mi potevo permettere di essere sbadata, dovevo sbarazzarmi di tutte le prove esattamente come un criminale dopo aver compiuto un delitto, e quindi uscii di casa, con le migliori complici del mondo, alla ricerca di una farmacia molto lontana dal mio condominio.
Fui così stupida che per tutto il tragitto pensai al bel viso del ragazzo che mi stava per mettere nei guai; mi chiedevo casa stesse facendo in quel momento, se fosse ancora in italia e sopratutto se si stesse divertendo con qualcun'altra. Il solo pensiero di ciò mi uccideva, soprattutto visto il casino il cui mi trovavo,  il mio animo si tranquillizzava quando pensavo alla possibilità che tutto questo fosse un brutto incubo da cui mi sarei svegliata nel momento in cui il test sarebbe risultato negativo.
Una volta preso il test cercammo un bar in cui provarlo. Circa 500m dopo la farmacia c'era un bar appena aperto chiamato "the cicle of love". Era moderna e adornata con stile anni 70. C'erano pochissime persone all'interno e Arianna disse che  sarebbe stata un ideale scena di crimine, e così entrammo.
Ci chiudemmo nel bagno ed Emma mi pose il test dicendomi che sicuramente sarebbe stato negativo. Il dolce sorriso che le mie due amiche avevano sulle labbra! Erano davvero brave amiche e per una persona che si era trovata spesso sola, loro mi sembravano una benedizione.

Dovevo sedermi su un cesso, fare la pipì e poi aspettare. Aspettare e aspettare mentre il cuore mi batteva all'impazzata attendendo di sapere la mia sorte.
«adesso puoi toglierlo, sono passati 3 minuti» disse Emma irrompendo il silenzio che si era creato in bagno.
Ignorai le sue parole e continuai ad aspettare. Passarono altri tre minuti, poi altri tre ancora mentre mi trovavo al confine tra la speranza  e la disperazione poi, dopo un tempo che mi parve un infinità, decisi di farmi coraggio e di guardare il piccolo bastone di plastica che avevo tra le mani. Poi per un momento non sentii più niente, fui come una macchina che si ferma di colpo, perché finito carburante non può più andare da nessuna parte, non pensavo, non respiravo, sembravo in un invidiabile stato di meditazione a cui si arriva dopo anni di esercizio. Perciò i forti sentimenti che prima mi avevano invasa, che mi avevano tormentata fino alla disperazione, si erano volatilizzarsi lasciando un gran nulla nella mia tasta.
Mi alzai e andai a sciacquare la mia faccia in fronte ad uno specchio con un piccolo taglio in mezzo. Pensai che era strano che un bar in Piazza Duomo avesse uno specchio spaccato, probabilmente il taglio era stato fatto da una persona scontenta quanto me. Mi consolò pensare di non essere l'unica a soffrire, di non essere la sola a vedere il proprio riflesso segnato da profonde occhiaie, con un viso fastidiosamente pallido e capelli totalmente in disordine.
In bagno c'era silenzio non parlavo, perché non mi veniva niente da dire, ma neppure le mie amiche dicevano qualcosa, forse per pietà o magari per lo shock, si limitavano solamente a fissare me e il test.
Qualcuno bussò alla porta e improvvisamente tutte e tre ci ricordammo che era da più di mezz'ora che eravamo richiuse in bagno.
«un momento!» gridò Emma buttando il test, poi qualcosa in me ricominciò a funzionare mentre uscivamo dal bagno. Esatto, ci era voluto un un momento, un fottuto momento in cui non sono stata attenta per distruggermi la vita. Che cosa dovevo fare? Le lacrime che non mi erano uscire prima cominciarono a scendere come una cascata mentre il cameriere che era venuto a servire il nostro tavolo chiedeva l'ordine sentendosi in imbarazzo.
«ci porti tre cioccolate calde» disse Arianna mentre Emma era impegnata ad asciugarmi le lacrime.
«adesso mi dite che faccio?» chiesi con un nodo alla gola mentre pensavo a come avrei affrontato l'argomento con i miei genitori.
«tu che vuoi fare?» chiese Arianna.
«l'unica cosa che so è che non voglio avere un bambino a 18 anni» risposi mettendomi una mano sulla fronte.
Il cameriere di prima arrivo con le tre cioccolate e disse che la mia era in omaggio. Probabilmente ero messa così male da suscitargli pietà. Cercai di sorridergli ma senza un gran risultato. Come avevo fatto ad arrivare in questa situazione? E come ne uscivo? Con l'aborto?
Arianna ed Emma si misero a consolarmi assicurandomi che tutto sarebbe andato bene, ma sapevamo tutte e tre che era una bugia. Niente poteva andare bene nella mia situazione: avevo 18 anni ed ero incinta di un tipo che abitava in un altro paese e che non mi voleva, come poteva andare bene?

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