CAPITOLO II - ADRENALINA

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- E dopo che siete saltate cos'è successo? - mi chiede l'uomo in camicia.

Io lo guardo per un attimo, per poi spostare il mio sguardo in un punto indefinito della stanza. Quanto vorrei che i ricordi sparissero semplicemente nel nulla, senza fare più ritorno nella mia mente.

Giurai non mi avrebbero più distratta, ma stavo solo mentendo a me stessa.

Sapevo che avrei reagito così. Odio essere trascinata dai sentimenti in momenti come questi.

Gli occhi mi bruciano e sento un groppo alla gola.

- Allora?

La voce dell'uomo mi riporta in me. Trattengo quelle lacrime che quasi mi avevano offuscato la vista.

- Sì, mi scusi... qual'era la domanda?

- Cosa è successo dopo il salto?

Faccio un respiro profondo per poi ricominciare a parlare.

- Come previsto, siamo cadute in acqua...

La caduta verso il fiume mi aveva fatto sentire leggera come mentre ballavo. Tenevo lo sguardo fisso davanti a me, oltre la collina che precedeva la regione Ferusa.

Poi l'acqua ci circondò violentemente. Il tonfo fu come assordante quando ebbe impatto con la pelle.

In apnea riuscivo ancora a sentire gli spari e le urla mentre piccole bolle sfioravano il mio corpo.

Salimmo in superficie. Quella doccia aveva reso lucidi i miei pensieri, come se avesse lavato via qualsiasi cosa sulla quale fosse inutile riflettere in quel momento.

Susan era al mio fianco che stringeva con forza la mia mano.

Ci fermammo un attimo per guardarci negli occhi, quasi incredule di essere ancora vive. Lei mi sorride, ma io non riuscii a ricambiare il gesto, non sapendo cosa me lo impedisse.

In quel momento ogni suono divenne ovattato e le immagini confuse oltre la figura della mia amica, che continuava a guardarmi con quegli occhi scuri, incredibilmente vividi.

- Siamo vive - diceva con un sorriso smagliante, luminoso, profondo.

Ma io, al contrario di lei, ero insensibile a quel suo stato di felicità.

Il tempo rallentò velocemente, confondendo tutto ciò che ci circondava in un assordante silenzio.

Il mio sguardo si muoveva da una parte all'altra, cercando di riacquisire la vista, invano. Improvvisamente fui come catapultata nel nulla.

Neanche una raffica di colpi che si infranse nell'acqua riuscì a rompere la campana di vetro opaco che si era creata intorno a noi.

In quel momento sentii un rumore che mai avevo udito, ma che da allora in poi non avrei più dimenticato.

Avvertii una fitta al braccio, che si faceva sempre più pungente con il passare del tempo. Poi guardai la mia amica. Sorrideva ancora mentre un fiotto di sangue gorgogliava dalla sua gola e dalle tempie.

Il liquido viscoso ci circondò feroce diluendosi con l'acqua, vorace della nostra candida pelle.

Davanti quella scena persi i sensi, in balia della corrente del fiume che trascinò il mio corpo rassegnato verso la sua foce.

Quando cercai di respirare e inalai solo acqua, l'energia che avevo perso ritornò a farsi sentire nel mio corpo, facendomi provare un'irresistibile voglia di continuare a vivere.

Tornai in superficie sputando acqua e tossendo in preda all'adrenalina che faceva ardere la mia anima di un fuoco veemente. Raggiunsi la riva lottando contro le correnti che volevano impossessarsi del mio essere.

Non sentivo più nulla.

Né dolore.

Né paura.

Volevo solo correre. Correre fino allo sfinimento.

I tarcàni gridavano dal precipizio che ci aveva offerto una via di fuga.

I loro proiettili affiancavano ogni mia movenza.

Continuai a correre senza fermarmi. Non avevo una meta precisa, volevo solo allontanarmi il più possibile da lì.

- Non ricordo che strada avessi fatto, né tantomeno per quanto avessi corso. So solo che d'un ratto tutto divenne buio e il suolo abbracciò il mio corpo stremato. Svenni a causa del dissanguamento che stava per uccidermi.

- Ricorda qualcosa di ciò che è successo dopo che è svenuta?

- Solo che i dolori sono tornati a farsi sentire mentre qualcuno mi trascinava goffamente. I'Impon e il precipizio non erano più visibili. C'erano solo colline e delle imponenti mura nero pece.

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