CAPITOLO III - LA RESISTENZA

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Ad un tratto sentii delle voci. Non riuscivo a capire di chi fossero o cosa dicessero. La mia mente era ancora stordita da tutto ciò che avevo passato quel giorno.

I ricordi erano flash violenti con una mira infallibile. Il loro colpo era preciso, puntato dritto al cuore.

Sentivo il mio corpo venirne avvolto e messo all’ombra da corpi offuscati. La fitta al braccio si faceva sempre più forte mentre sentivo il sangue caldo scorrermi sulla pelle macchiandola di rosso.

Poi di nuovo il nulla.

 

§

 

A svegliarmi fu un raggio di sole che puntava con insistenza sulle mie palpebre, costringendomi ad aprire gli occhi, ancora più stordita.

Dopo qualche attimo, finalmente  questi si liberarono dalla membrana opaca che li accecava, permettendomi di capire dove mi trovavo.

Ero in una comune stanza da letto, sdraiata su un soffice materasso, coperta da un lenzuolo semitrasparente. Ero dolorante, ma pur sempre viva.

La mia testa gravava come un macigno sul cuscino.

Ogni movimento mi costava sforzi impensabili. Le meningi pulsavano, causandomi una forte emicrania.

Spostai lo sguardo alla mia destra. Su un comodino in legno c’erano bende completamente macchiate di sangue dentro una ciotola metallica che rifletteva la luce del sole, costringendomi a richiudere gli occhi nel momento in cui la guardavo. Vicino al contenitore c’era una siringa e una boccetta di antidolorifico completamente vuota.

Poi osservai il mio braccio. Il vestito era strappato dal punto in cui il proiettile mi aveva colpito. A coprire la ferita vi era una benda, sulla quale una piccola macchia rompeva l’armonia creata da quell’immacolato colore.

Sentivo una canzone. La musica era allegra, accompagnata da una soave voce femminile che cantava in russo.

Mi riportò alla mente tutte le donne che mi erano state vicino fino ad allora.

Ripensai a mia madre e a Susan, spentesi davanti ai miei occhi senza che io potessi fare nulla, ma anche alla signora McDougall, che ogni giorno incontravo nel bar sotto casa a bisticciare con altre anziane signore, alla bambina dei Miller, alla quale portavo il pane per le sue anatre, e alla signora Brown, che indossava la sua inconfondibile pelliccia rossa anche in estate pur di non confondersi con tutto il resto del paese.

Una lacrima si fece strada lungo la mia guancia, poi un’altra,e un’altra,  finché non iniziai a singhiozzare e le lacrime diventarono sempre più incontrollabili.

Strinsi i denti pensando a cosa avrei potuto fare perché le cose andassero diversamente, a ciò che avrei dovuto fare per salvarli, ma che non feci.

Perché avevo paura.

Perché ascoltavo l’istinto, forse l’unica ragione per la quale mi ero salvata.

Ma a quale scopo?

Ora che ero al sicuro non potevo tornare indietro per far rivivere i miei cari.

Né Susan.

Né mia madre.

Né mio padre, sacrificatosi per la nostra salvezza, concedendo a noi la libertà e causando a sé una prigionia oscura ed eterna, la morte.

Voices In Space - La Resistenza -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora