Capitolo I: You put your arms around me and I'm home

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"Of course I’ll hurt you. Of course you’ll hurt me. Of course we will hurt each other. But this is the very condition of existence. To become spring, means accepting the risk of winter. To become presence, means accepting the risk of absence."

Antoine de Saint-Exupéry, The Little Prince

È sotto un salice che lo incontra per la prima volta.

Capelli di un castano così caldo, così chiaro sotto quel Sole di giugno, da sembrare miele; un viso spigoloso, pieno di ombre, così sature in quel giorno limpido; gli occhi più azzurri del cielo, più familiari di quelli di sua madre, occhi che potrebbe passare una vita ad osservare – o che ha già osservato per una vita, più lunga però? -, occhi in cui potrebbe sprofondare, essere soffocato da quell'azzurro così puro, così vivo, ed esserne comunque contento.

E quelle labbra, Dio, quelle labbra: labbra da mordere, labbra da assaporare particella per particella sulle propria lingua – ed eccolo lì, un sapore sulle labbra – un ricordo? - la cosa più dolce che abbia mai sentito.

Harry è ancora confuso dalla familiarità di quel viso, da quelle lievi occhiaie che non appartengono a quel viso perfetto, quando gli scappa un: "Ci conosciamo?".

Il ragazzo sembra pensarci un attimo, litigare con sé stesso silenziosamente; all'improvviso sembra molto stanco, esausto, come se avesse vissuto mille vite.

"Sì," dice, e la sua voce è velluto, "Sì, ci conosciamo, Harry. È la mia dodicesima volta."

**

Il fatto è che Harry in questa vita è strano.

Harry è gentile con tutti; Harry non porta rancore. Harry è gentile soprattutto con le persone anziane, perché hanno questo modo di parlare, come se lui avesse ancora tutta la vita davanti, mentre la loro potrebbe finire tra un momento all'altro – ha bisogno di sapere che è giovane, che non morirà domani, che c'è ancora tanto nel suo futuro – perché non lo vede, Harry non vede niente nel suo futuro, e ha bisogno che qualcuno lo veda per lui. Con queste persone Harry è chiacchierone e simpatico e sveglio; è la parte migliore di sé. Quando è con i suoi coetanei, invece, si sente inadeguato, un po' sfigato, fuori posto – inizia a balbettare e a sbagliare le parole e i verbi e tutto diventa un turbinio nella sua testa – mille spilli sulle guance e un rossore gli si dipinge sul viso – e in quei momenti si odia, si odia così tanto, perché questa, invece, è la parte peggiore di sé.

È che Harry si sente più grande della sua età; ha ventisette anni ma mille dentro, dopo tutto quello che ha passato, dopo quello che ha sentito. Ha come una capacità di percepire tutto, qualsiasi cosa abbia intorno, come un'energia all'altezza dello stomaco – un'energia che diventa vibrazione quando è qualcosa di bello, come un bacio di sconosciuti in stazione, un colore di fiori, un cagnolino che scodinzola nella sua direzione – un'energia che diventa una pietra avvolta intorno allo stomaco, quando è qualcosa di brutto: un profumo che gli ricorda qualcuno che non vuole ricordare, il tintinnio delle due conchiglie che porta sempre nella tasca, per ricordarsi di un posto che poteva chiamare casa, la solitudine negli occhi di uno sconosciuto in treno.

Harry sente tutto. E lo sente forte.

Per questo quando lo vede, Harry sente, e sente forte:

per una qualche strana ragione, Harry sente casa.

**

"Che cosa intendi?"

"Tu sei Harry, Harry Styles, e da bambino sognavi sempre incendi, chissà per quale ragione -"

"Come sai il mio nome?"

Per un secondo, Harry è spaventato a morte. Ha paura di quello che sta per dire.

The risk of absenceWhere stories live. Discover now