La prima celtizzazione del nord della penisola italiana viene individuata nel fondamentale testo Celti in Italia di Venceslas Kruta e Valerio M. Manfredi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1999, già nell'età del Bronzo (che Alexandre Bertrand ancora nella seconda metà dell'800, preferiva chiamare, per Francia e Italia Settentrionale, come "era celtica") e ha trovato sviluppo organico (peraltro preceduto dalla civiltà di Canegrate, che ne anticipa forme e sviluppi) con la Civiltà di Golasecca (iniziata nel XII secolo a.C.), che a ragione viene considerata come una delle prime "civiltà celtiche" dell'intero continente europeo.
Non è perciò strano che proprio nell'area archeologica golasecchiana sia stata rinvenuta la più antica testimonianza di una lingua celtica in Europa: da un corredo funebre del secondo quarto del VI secolo a.C., individuato nei pressi di Castelletto Ticino, rileviamo infatti il famoso genitivo gallico in alfabeto etrusco-capenate - Xosoio - graffito su vaso.
Dal testo emergono poi i continui riferimenti allo scambio culturale, etnico e commerciale con le popolazioni alpine (tra cui i camuni!) e transalpine che vede un intreccio di relazioni fortissimo tra gli antenati di quelli che saranno i futuri popoli del Centro Europa.
L'invasione celtica "storica" o "lateniana" dell'Italia è ricca di vicende storiche e militari che videro il confronto e lo scontro tra i Celti, e le popolazioni mediterranee e latine. Di questo scontro, durato per secoli, vi sono dettagli di grande interesse, approfonditi nel libro citato, e altri che meritano una evidenza particolare. Vi è ad esempio chi ha sostenuto la tesi che i galli senoni (forse con la collaborazione di altri popoli gallici come boi e insubri, come sembra adombrare Tito Livio, V, 35) che misero a sacco Roma, occupandola e costringendo alla fuga legioni ed esercito di quella che era già una grande potenza regionale, agirono istigati dai tiranni di Sicilia: ma la tesi è piuttosto bizzarra e sicuramente insostenibile se si considerano gli ottimi rapporti che Roma aveva in quel tempo con quei governanti, attestati da Tito Livio, IV, 52, dove dopo una grave carestia, a fronte della quale tutti i popoli vicini rifiutarono di vendere grano a Roma (avendo subito da essa innumerevoli guerre e sconfitte) "furono aiutati con generosità dai Tiranni della Sicilia". Va sottolineata la notevole capacità di sopravvivenza delle popolazioni celtiche anche in aree molto lontane dalle Alpi, come nel caso della popolazione celtica dei Senoni (stanziati tra i fiumi che Tito Livio indica come Utente e Aesim, tra Ravenna e Ancona), stanziatasi nelle attuali Marche superiori e duramente colpiti dalla politica di sterminio attuata dai Romani. Un passo delle "Historie Phillippicae" di Pompeo Trogo ricorda l'alleanza militare offerta dai Galli, Dopo la conquista di Roma, a Dionisio I il Vecchio, Tiranno di Siracusa. Tutto lascia credere che sia stata conclusa e l'emporio siracusano di Ancona, a diretto contatto con i Senoni, sia stato senza dubbio uno dei principali punti di reclutamento di truppe celtiche. Questi mercenari combatterono per Dionisio non solo nel sud della penisola, ma addirittura in Grecia. Senofonte ne menziona nel 367 a.C. a fianco di mercenari iberici, nel corpo di spedizione siracusano impiegato contro i Tebani"
Per quanto riguarda l'eredità celtica, "il ruolo svolto dall'Italia è stato a lungo mal compreso e mal apprezzato. Da un lato dai difensori dell'eredità classica, che volevano vedere nella presenza celtica in Italia un'invasione di barbari incolti e, alla fine, fortunatamente respinta da Roma. Da un altro lato dai celtofili che consideravano questa presenza episodica e marginale, tanto meno significativa per il fatto che i Celti vi apparivano soltanto come una delle componenti di un insieme culturalmente ed etnicamente molto diversificato e mescolato".
Recenti ricerche archeologiche e linguistiche "hanno permesso di riconsiderare la questione e di disegnare un quadro che rivela il posto importantissimo occupato dal popolamento di origine celtica nell'Italia settentrionale, e il ruolo fondamentale che ebbero le intense relazioni tra i Celti d'Italia - a contatto con Etruschi e Greci - e i loro congeneri transalpini..."..
Alle vestigia archeologiche "si aggiungono le scoperte di diversi testi - purtroppo brevi e poco vari - scritti dai Celti antichi nella loro lingua utilizzando diversi tipi di alfabeti di origine mediterranea. Questi testi, oltre a fornire materia per lo studio delle lingue celtiche antiche, costituiscono una prova irrefutabile dell'estensione delle popolazioni celtofone".
Il mondo dei Celti antichi, "che gli autori greci e latini ci hanno descritto sotto una luce così sfavorevole, si rivela invece più ricco e meno semplice di quanto voleva la tradizione, che attribuiva loro, come merito principale, se non l'unico, quello di aver assimilato i benefici imposti da Roma".
Appare sempre più evidente "che la perdita dell'indipendenza non ha significato uno sconvolgimento immediato e radicale della situazione preesistente: il sistema socioeconomico preromano continua infatti a funzionare senza subire modificazioni importanti, e i Romani stessi integrano e sviluppano numerosi elementi già esistenti - santuari, insediamenti, reti viarie, mercati, ecc.".
"Gli aggettivi "gallo-romano" (riferito alla Gallia cisalpina e transalpina), "celto-romano" (per le regioni danubiane), o "romano-britannico" esprimono la doppia filiazione di queste facies provinciali e il ruolo che svolse il sostrato celtico nella loro formazione".
("I Celti prima dell'espansione storica", pag. 206, in aa.vv. "I Celti", Bompiani, Milano 1991.Venceslas Kruta e Valerio M. Manfredi "I Celti in Italia" , Mondadori, Milano 1999, 2000, pagg. 12-14. )
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Celtegh Medhelan - Milano celtica
SpiritualLe origini di Milano, il suo passato arcaico ancora avvolto nel mistero. Quali erano i principi dell'antico culto degli Insubri, i fondatori della città ? con questo scritto vorrei dipanare alcune ombre.