York

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Il tintinnio dei ferri di cavallo che sbattevano sulle rocce mi penetrava i timpani.
Aprii gli occhi, gemendo appena dalla fatica; la superficie sulla quale ero distesa oscillava, come se fosse in movimento. Mossi miracolosamente il collo, e guardando indietro notai che tutto ciò che avevo alle spalle si allontanava velocemente; abbassando lo sguardo notai che anche la terra sotto di me si muoveva e si allontanava con altrettanta velocità.
"Carro" pensai immediatamente.
"Quindi qualcuno mi ha caricata su un carro..." ero così concentrata a pensare che non mi accorsi di essere rimasta con la testa a penzoloni fuori dal bordo del carro; non mi accorsi degli odori, delle figure, e dei rumori attorno a me. Ero ancora come in "shock" dalla caduta, ed ero completamente confusa.
Uno strano impulso mi attraversò tutto il corpo come una scarica elettrica di...motivazione.
Mi girai a fatica per guardare cosa mi circondasse
"Dovrò incominciare a contare tutti i battiti che perdo".
La prima cosa che mi saltò all'occhio fu, senza ombra di dubbio, l'apparente interminabile distesa di uomini che appariva dall'altro lato del carro. Erano alti, grossi di corporatura, stanchi e sporchi; indossavano grosse pellicce sulla schiena, giacche di cuoio molto scuro accompagnate da maglie di ferro. Ognuno di loro era fornito di asce e spade, e molti stringevano in pugno grossi scudi rotondi e colorati.
Ci misi un attimo a capire.
"Vichinghi".
Mi sentii rincuorata in realtà, avevo vissuto per molto tempo in una cittadina vichinga, Kattegat, e mi sentivo fortunata nel vedere che ero stata salvata dai miei "simili"; tuttavia le loro intenzioni potevano essere di qualsiasi natura, e dovevo mantenere alta la guardia, nonostante le uniche forze che avessi recuperato con quel poco riposo, fossero quelle che mi consentivano di girare il mio corpo da una parte a un'altra.

Solo dopo aver osservato a lungo come gli uomini arrancassero per mantenere il passo con i cavalli, pensai al guidatore del carro.
"È la persona più vicina a me, e ci penso solo ora...?" il mio cervello andava a rilento, così come i miei movimenti.
Girai la testa per vedere chi stesse dirigendo il carro verso una meta a me ancora sconosciuta.
C'era un uomo, seduto di spalle... l'unica cosa che vidi erano le numerose treccine che gli sezionavano il cranio in tante piccole strisce, strisce così profonde da far risaltare il cuoio capelluto.
Sembrava essere molto tranquillo, teneva le staffe del cavallo guardando sempre dritto davanti a sè.
Non si era girato nemmeno un attimo, forse era convinto che stessi ancora dormendo...
"Dovrei parlargli? O chiedergli dove siamo diretti...?" la tentazione di parlargli c'era, ma avevo paura.
Sospirai.
«Ti sei svegliata, finalmente»
sentii una voce provenire dall'uomo che guidava il carro.
«Sono più di dieci minuti che sei sveglia, e non ti sei degnata nemmeno di ringraziare, eh?»
Mi sentii in soggezione, ma a quel punto non potevo far altro che rispondere.
«Mi hai appena rivolto la parola, ma non ti sei nemmeno degnato di girarti» cercai di risultare il più sicura possibile.
Sentii una risata provenire dall'uomo, una risata che mi fece ghiacciare il sangue nelle vene.
Si girò.
«A quanto pare abbiamo una bella testa calda qui...»
Mi guardò sorridendo, ma il suo sorriso non era caloroso: era un sorriso provocatorio, uno di quei sorrisi che ti mettono in soggezione. In più mi guardava con occhi di superiorità, il che era anche comprensibile, vista la mia situazione.
«Emh-mh...» tutta la mia sicurezza svanì.
"Avanti, Kira. Dimostra che una caduta non può distruggerti, ne tanto meno lo sguardo di una persona che non conosci..."
«Ero intenta a guardarmi intorno per capire dove mi trovassi... Mi spiace di non aver proferito parola prima, ma la mia attenzione era stata catturata dall'intera situazione»
Lui storse il naso.
«Da dove vieni? Una famiglia reale?» sembrava quasi un insulto.
Scossi la testa.
«Da come parli sembri una di quelle figlie di nobili...» sghignazzò.

In realtà era vero che provenissi da una famiglia reale, ma era una storia complicata e dentro di me non sentivo, anzi non avevo mai sentito, alcuna traccia reale, o di nobiltà.
Mi sentivo esattamente come tutte le persone normali.

«Dove...siamo?»
«In Northumbria.»
«E dove siamo diretti?»
«Fai troppe domande ragazzina...»
«Avrò pure il diritto di sapere dove mi state portando.»
Fare la ragazza dura e decisa in quelle situazioni era difficile...ma non potevo, anzi non dovevo permettermi di essere me stessa.
«Stiamo tornando a York... Alcuni dei miei uomini ti hanno ritrovata in un fosso, e visto che eri ancora viva ho dato l'ordine di tirarti su.»
"Quindi è stato lui...!"
«York...?» sviai il brutto ricordo del burrone, e il "grazie" che sarebbe stato d'obbligo.
«York, l'ex-città cristiana»
Mentre pronunciava quell' "ex" avevo l'impressione che si sentisse davvero fiero.
«Quindi è stata conquistata...»
Lui si girò e gridò a tutti gli uomini
«Compagni! Mostrate alla qui presente donna il grido dei vichinghi su York!»
Un "Sì!" pieno d'orgoglio si levò dalle bocche dei guerrieri come un potentissimo coro.
L'uomo si rigirò di nuovo verso di me.
«Siamo l'ira di Odino.»
Mi fissò con determinazione e superiorità. Sicuramente, per quanto mi mascherassi, riusciva a cogliere l'essenza della paura dal mio sguardo.

Non sapevo più che dire, ero terrorizzata. Quell'uomo mi metteva timore; quei suoi occhi blu oceano mi affogavano non appena li incrociassi.
Fu il grido di uno degli uomini a cavallo a salvarmi da quella situazione.
«Aprite le porte!»
Lui si girò.
Io mi rizzai sul busto, e volsi la testa all'entrata.
Quella breve conversazione, che sembrava essere durata ore, aveva accorciato il percorso.
Ora, davanti a me, si stagliavano le alte mura di una città di pietra, una città nuova che non avevo mai visto, ma della quale le leggende incominciarono a tornarmi alla mente.

York.

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