Chapter two

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Tento di aprire gli occhi ma quasi inutilmente.

Sembra quasi che la palpebra superiore sia incollata a quella inferiore con una colla di ultima generazione.

Cerco quindi di concentrarmi sui sensi rimasti disponibili per cercare di comprendere in che posto io possa trovarmi.

Le mie braccia sono legate, gli occhi oltre che chiusi anche bendati.

Percepisco la consistenza della pavimentazione, fredda e in muratura, e anche quella della parete, probabilmente composta da un materiale di quelli che graffiano al solo strofinartici contro.

Tento di muovere una gamba, ma una fitta di dolore lancinante mi pervade. Sono stata inchiodata.

Comincio a gridare, probabilmente dopo essermi resa conto che tutto ciò stava succedendo davvero.

I polsi cominciano a far male e probabilmente a sanguinare mentre io barcameno la parte superiore del mio corpo alla ricerca di libertà.

Le mie grida vengono interrotte da un tonfo metallico. Una porta che si apre cigolando molto lentamente e poi di nuovo il silenzio.

Se possibile il mio battito cardiaco aumenta a dismisura, comincio addirittura a tremare pensando di essere ormai vicina alla morte.

Delle mani grandi e fredde mi sganciano le manette in maniera tutt'altro che delicata e dopo pochi secondi vengo anche sbendata.

Apro gli occhi violentemente, causando così uno strappo per intero di tutte le mie ciglia dell'arcata superiore.

Grido di dolore,ma mai quanto dagli occhi doloranti osservo le mie gambe inchiodate al pavimento.

Il mio sguardo si gira verso colui che mi ha liberata. Un ragazzino che avrà pressoché la mia età, un ragazzo dalla faccia pulita, che per strada non avresti mai potuto scambiare per una persona capace di questa crudeltà.

<Era ora ti svegliassi,cominciavamo a preoccuparci> ghigna,chinando la testa leggermente di lato osservando anche lui i chiodi della tortura.

<Dove sono? Chi sei tu? Cosa è successo? Ma ti prego qualunque risposta tu voglia darmi liberami le gambe.> grido con tutto il poco fiato che ho in corpo. Le lacrime continuano a rigarmi il volto, come poteva essermi successo tutto questo?

<Baby sei sicuro di volerlo?>afferma, dopo di che si gira attirando verso di se un carrello ricco di siringhe, attrezzi di lavoro e sicuramente attrezzi di tortura.

Spaventata decido di non rispondere, mentre il ragazzo afferra un martello avvicinandosi alle mia candide gambe.

<Chi tace acconsente>

Il dolore più forte della mia vita si impossessa di tutta me stessa. Grido come fossi stata impossessata, mentre sulle mi gambe sta avvenendo ciò che alla fine avevo chiesto io.

Stava utilizzando la parte posteriore del martello per scardinare i chiodi, come se io fossi un'inanimata e inutile asse di legno.

Non so come, ma resisto a quel dolore senza svenire.

Il carnefice sorride, <Sei forte> ringhia.

Comincio a respirare in maniera più lenta,anche se il dolore è ancora fortissimo e perdo molto sangue.

Mi getto nell'angolino della stanza trascinandomi in quanto le gambe inutilizzabili a causa del dolore e delle ferite.

Esce dalla stanza sbattendo la porta e portando con sé il suo carrello.

Sono completamente scioccata,vorrei poter capire dove mi trovo,ma non riesco in alcun modo. Non sono presenti finestre, la stanza è quadrata senza colore, sia pavimento che parete sono grigio topo. E' presente una lampadina al neon sul soffitto.

Nell'angolino opposto a quello occupato dal mio corpo noto una toilette con un lavatoio circondati e coperti da muffa causata probabilmente dall'umidità di quel freddo luogo.

Il resto della stanza è composto da una grandina e un tavolino con due sedie. Dopo di che il nulla.

Noto che non indosso i miei abiti della sera prima, ma che sono stata cambiata con un camice bianco ospedaliero, rendendo il tutto sempre più tetro.

I miei pensieri vengono interrotti da un altro tonfo, la porta si apre di nuovo, il solito carrello compare ma questa volta a varcare la soglia non è l'apparente candido ragazzo, ma un omone alto e in carne dagli occhi leggermente chiusi come a scrutarmi con attenzione.

Si avvicina a me, ed essendo rannicchiata é costretto a stendersi sul pavimento.

Mi afferra le gambe causando un altro grido di dolore immenso, ma non fa nulla se non osservarle con attenzione.

Terrorizzata comincio di nuovo a tremare.

<Stai calma,sono venuto a medicarti> afferma lui con voce roca, grave.

Le sue rassicurazioni sono completamente inutili, e dopo qualche minuto le mie gambe sono fasciate e suturate nel punto in cui sono state perforate.

Vista la quasi gentilezza di quell'uomo decido di riproporgli la domanda posta prima, ma senza uscire dalla mia zona di confort, in quel momento il freddo angolino di quella stanza, dove mi sentivo più al sicuro.

<Dirtelo non è in mio dovere, e neanche in tuo. Cerca di non fare domande, tanto dovresti essere abituata no?> Ride di gusto, dopo di che chiude dietro di sé la porta di fronte alla mia faccia sconvolta.

Loro chi sono? E come fanno a sapere anche solo qualcosa di me? Cosa sta succedendo?

Con queste domande il mio cervello decide di porre una pausa, ed è così che mi ritrovo di nuovo a svenire, senza darmi pace in nessun modo.

Ci tenevo alla fine di questo capitolo a ringraziare @angydevil per la copertina perché è davvero meravigliosa. Grazie ancora!

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