"Aeroporto di Fairfield. Prepararsi all'atterraggio."
La fredda voce femminile proveniente dagli altoparlanti mi riscosse.
Misi da parte le cuffie e l' iPod, controllai nervosamente che la cintura fosse ben agganciata e chiusi gli occhi. Odiavo prendere l'aereo. L'idea di essere sospeso a migliaia di kilometri dal terreno saldo e sicuro mi spaventava a morte.
Il decollo e l'atterraggio erano gli attimi peggiori; in quei momenti i sacchetti per il vomito accanto ai sedili risultavano sempre molto utili.
L'aereo iniziò la discesa e toccò terra con un brusco scossone, facendomi rivoltare lo stomaco. Presi un sacchetto tra le mani, per sicurezza, ma alla fine riuscii a trattenermi.
"Tutto bene caro?" chiese l'anziana signora accanto a me, di cui avevo scoperto vita, morte e miracoli durante quelle 8 ore di viaggio.
"Sì, grazie" riposi meccanicamente, per poi prepararmi a scendere.
Ero terribilmente ansioso. Mi guardai intorno, appena sceso. Non c'era nessuno ad aspettarmi.
Decisi di recuperare i bagagli. Disorientato e inquieto, riuscii nella mia impresa dopo mezz'ora. Finalmente, verso le sette di sera, raggiunsi l'uscita.Benvenuti a Lancaster! era l'enorme scritta che mi aspettava fuori. Ricordo che vederla mi fece venire i crampi allo stomaco, l'insicurezza e l'incertezza mi annebbiarono la mente per un attimo.
Lancaster lessi di nuovo, cercando di calmarmi.
Quel nome mi suonava ancora estraneo, lontano, eppure io ero lì, e quella era la mia nuova casa.
Non mi sembrava vero. La mia mente era rimasta a Holmes Chapel, alla casetta in periferia col giardino all'inglese, al chiacchiericcio allegro dei vicini nelle sere d'estate, alle voci e ai volti devastati dei miei amici, dopo l'annuncio della partenza; alla camera da letto dei miei, in cui il tempo si era fermato, dove già uno strato di polvere sommergeva lenzuola, foto, ricordi.
Non avevo preso niente da quella stanza. Sapevo che la casa sarebbe stata venduta e tutto sarebbe andato perduto, o nel migliore dei casi, rinchiuso in soffitta. E questo mi stava bene.
Ero stato costretto ad andarmene, a lasciare indietro praticamente tutta la mia vita, sradicato dalla mia terra come un germoglio d'erbaccia in un campo di fiori. Che senso avrebbe avuto portarsi dietro i ricordi, se faticavo addirittura a credere di avere un passato?
Per me era come essere appena nato, lì in quell'aeroporto, diciassettenne, vestito mediocremente, con una valigia in mano.
Mi sedetti su una panchina all'altro capo della strada, lo sguardo fisso sul cellulare che avevo in mano.
Mi aspettavo una chiamata, dato ero stato lasciato lì, da solo, in uno stato emotivo penoso. Ma la chiamata non arrivò.
Sempre più ansioso, iniziai a scorrere i nomi della mia rubrica. Leggerne alcuni mi face venire un buco allo stomaco: Amy, la migliore amica; Josh, il mio compagno di banco; e alla fine "mamma" con un cuore accanto.
Ma perché avevo ancora il suo numero? Avrei dovuto lasciarlo a casa, insieme a tutti i ricordi di lei.
Sfiorai il tasto elimina, mi morsi le labbra. Ero pronto a premerlo, ero abbastanza forte per farlo?"Harry?"
Una voce davvero troppo vicina mi fece sobbalzare. Alzai lo sguardo e vidi colei che stavo aspettando.
Una donna sulla cinquantina, capelli rossi, pelle chiara, occhi dolci, terribilmente simili a quelli di mia madre.
"Ciao zia" articolai, alzandomi goffamente. Mi riusciva difficile chiamarla così.
Lei accennò un sorriso, poi mi circondò con le braccia, in una stretta formale e imbarazzata a cui non risposi.
"Oh Harry. Fatti vedere tesoro, sei cresciuto così tanto" si allontanò, squadrandomi velocemente.
In effetti, anche lei era invecchiata parecchio. Jay Tomlinson, sorella di mia madre, trasferitasi negli Stati Uniti per cercare fortuna, e che io non vedevo esattamente da dieci anni.
L'unica parente stretta che mi fosse rimasta. L'unica con le possibilità economiche per mantenermi. L'unica che mi fosse venuta incontro quando tutti gli altri avevano iniziato a sparire, offrendomi una delle poche cose di cui sapevo di aver bisogno: una casa.
"Sarai stanchissimo, immagino" sospirò, prendendo a camminare verso il parcheggio. "Andiamo a casa, su. I tuoi cugini ti aspettano."
Ecco, i miei cugini erano sicuramente una di quelle cose di cui avrei fatto volentieri a meno. Avevo visto i primi tre figli di Jay solo una volta, che io ricordassi. E a quanto sapevo, negli ultimi anni si era data un gran da fare, aggiungendo due gemelle alla lista.
"Sei ragazzi, tutti sotto lo stesso tetto" mi infilai in macchina senza fiatare mentre lei caricava i miei bagagli. "Una specie di allegra di casa-famiglia."
L'idea non mi esaltava affatto.
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A kind of brothers?
FanficE poi arrivò quel momento, quello che avevo pregato tutto il tempo che non fosse stato ripreso. Sentii Zayn irrigidirsi di fianco a me, trattenere il respiro... La mia mano si abbatté sullo schermo, e lo chiuse con uno scatto. Mi resi conto che stav...