2. Hate

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Lou

Passi veloci nel corridoio, voci infantili che si rincorrevano da una stanza all'altra, musica a tutto volume dalla camera accanto, porte sbattute con forza, fino a far tremare i muri.
Se c'era una cosa che avevo sempre odiato, era il modo in cui le mie sorelle riuscivano a svegliarmi, troppo presto per i miei gusti, soprattutto dopo una sbronza.
Mi sollevai dal letto con un grugnito, desiderando ardentemente essere figlio unico. Mi girava la testa, tutti i rumori erano amplificati, e il mio malumore era alle stelle. Le avrei volentieri uccise tutte, avrei fatto una strage.
Ma forse era meglio di no; la prospettiva di finire dentro di nuovo non mi allettava affatto.
Uscii in corridoio e intercettai Daisy che correva come una pazza. Rallentò, non appena mi vide e "Buongiorno Lou" fece, con aria colpevole.
Sospirai. Era decisamente troppo dolce e fin troppo piccola perché potessi pensare seriamente di farle del male. 
Le diedi un buffetto sulla testa e scivolai in bagno.
E qui la mia mente, ancora annebbiata dall'alcol, subì un duro colpo.
Perché quello che vidi poteva essere solo frutto della mia immaginazione.
Un ragazzo se ne stava davanti allo specchio, con solo l'asciugamano attorno alla vita, i capelli lunghi e bagnati sulla fronte, le mani ad accarezzarsi il mento, alla ricerca forse speranzosa di filo di barba, apparentemente assente dalla pelle liscia e candida come quella di un bambino.
Quell'estraneo si voltò verso di me, e allora fui sicuro di stare sognando. Spalle larghe ma spioventi, ventre piatto e ossa del bacino sporgenti, bocca talmente perfetta da sembrare disegnata, e occhi verdi, grandi, così grandi da far quasi paura.
Occhi che, incontrando i miei, si riempirono di imbarazzo e sorpresa. Poi il sogno parlò, con voce bassa e roca, come se tutto il resto non fosse già fottutamente sexy.
"Non ho trovato la chiave per chiudere la porta."
Iniziai a capire che non era un sogno, e la situazione si fece inquietante; perché davvero non sapevo chi diavolo fosse quel tizio, e cosa ci facesse mezzo nudo nel mio bagno.
"Le chiavi di tutte le porte sono nella studio di mamma" recitai, senza che il cervello riuscisse davvero a collegare ciò che stavo facendo.
"Ok" fece quello, guardandomi dall'alto in basso. "Adesso potresti uscire, per favore?"
Ci misi qualche secondo a capire cosa mi stesse chiedendo. Senza dire una parola uscii e mi chiusi la porta alle spalle.
Ero confuso, molto confuso. E lo sarei rimasto ancora per un po' se Fizzy non mi fosse sfrecciata accanto e "Harry!" avesse gridato, con un sorriso infantile stampato in faccia. "Dov'è Harry?"
Harry?
Finalmente i neuroni del mio cervello si riattivarono.
Harry certo, il cugino. Quello sfigato che era rimasto solo al mondo e mi madre aveva deciso di accogliere per fare un'opera di carità. Quello che l'avevo pregata di mandare da qualche altra parte, perché non volevo averlo in mezzo alle palle. Figlio di quell'idiota che aveva causato il divorzio dei miei genitori.
Harry, ovvio! Il ragazzo che avevo deciso di odiare, ancor prima di conoscerlo, forse solo per fare un dispetto a mia madre, o perché ero cresciuto con la convinzione che la sua famiglia avesse distrutto la mia, in poche parole.
E adesso avremmo vissuto insieme. Un caso umano in giro per casa, non poteva esistere qualcosa di più deprimente.
A meno che io non avessi reso le cose un po' più divertenti.
Sogghignai e, chissà perché, pensai subito a Zayn.
La porta si aprì, il ragazzo ne uscì con una maglia informe addosso e i pantaloni di una tuta. Non mi guardò nemmeno, prima di rinchiudersi in camera.
Poteva essere un'enorme seccatura, o diventare un interessante giocattolino, dipendeva solo da me.

Harry

Scesi di sotto verso le tre di pomeriggio. Mi ero alzato molto prima, ma non avevo voglia di vedere nessuno. Pensavo che Jay avrebbe capito; era venuta a disturbarmi solo una volta, per sapere se ero sveglio.
Quando entrai in cucina, Lottie e Felicitie erano lì, con le teste chine sui libri. Ricordai che tra qualche giorno sarebbe iniziata la scuola, e una morsa di ribrezzo mi strinse lo stomaco. Andare a scuola, dopo tutto quello che mi era successo, mi sembrava totalmente inutile e superfluo. Ritrovarmi poi in una dove non conoscevo praticamente nessuno, sarebbe stato un incubo.
"Hey Harry!" Felicitie mi rivolse un sorriso, per poi mostrarmi i compiti che aveva appena finito.
Mentre venivo sfruttato dalle bambine come consulente scolastico, dal corridoio comparve Louis.
Ancora in pigiama, i capelli scompigliati, gli occhi fissi sul cellulare. Entrò, prese del latte, si sedette dall'altra parte del tavolo e iniziò a bere, come se nessuno di noi esistesse. 
Le sue sorelle non ci badarono minimamente. Forse erano abituate ad essere ignorate.
"Lottie sei pronta?" la voce di Jay annunciò la sua entrata in cucina, vestita di tutto punto, pronta ad uscire. 
La bambina chiamata scattò in piedi. "Sì mamma, ma mi servono dieci dollari per il cinema."
"Certo sì, ah ciao Harry" fece la donna, mentre iniziava a rovistare nella borsa in cerca dei soldi. "Hai dormito bene stanotte? Vuoi mangiare? Ti preparo qualcosa prima di uscire..."
La sua cantilena si spense quando aprì il portafogli e lo trovò vuoto.
La guardai mentre esaminava ogni singolo angolo della borsa, confusa e contrariata.
Poi ricordai dove avevo già visto quella borsa, e mi voltai, quasi inconsapevolmente, verso Louis.
Lui mi stava già fissando. I suoi occhi taglienti mi scrutavano da sopra la tazza di latte.
Intercettò il mio sguardo. Mi sorrise in modo complice e si premette un dito sulle labbra, per impormi il silenzio.
Ricordai la promessa della notte prima e tornai a leggere distrattamente i quaderni di Fizzy. Non mi volevo immischiare nei loro affari.
Convinsi Jay che non avevo fame e tornai in camera mia. Quella fu l'unica volta che io e Louis comunicammo in qualche modo, nella settimana che seguì.

A kind of brothers?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora