Hello it's me;
Probabilmente questa non è la storia che avrei pensato di pubblicare per prima ma c'est la vie.
Sinceramente non so cosa mi sia passato per la mente quando ho deciso di buttarmi in questa nuova avventura ma ho voluto provarci. Per ora ho deciso di restare sul genere delle fanfiction perché è il mio genere o almeno, lo è fino ad ora.
Questa è praticamente una storia a parte in quella che attualmente è in cima alle mie serie tv preferite, ovvero; La Casa di Carta e sarà incentrata su quello che è il mio personaggio preferito; Berlino.
Non voglio scrivere questa ff con i piedi, nel senso che cercherò di fare meno errori possibili e coniugando i verbi 'umanamente. Ho letto robe che mi hanno fatto salire la voglia di cavarmi gli occhi. Davvero.
Eeeeee niente, questa storia la dedico a te che, povero, sei arrivato a leggere fin qui. E alla copertina, che per me è una roba assurda.
I hope you like it.*Questa storia è stata pensata e scritta con l'intento di divertire.
Quindi con questa non ho intenzione di offendere nessuno dei personaggi citati. Per qualsiasi opinione commentate o inviatemi un messaggio: sono pronta ad uno scambio di opinioni con tutti, basta che siano sempre costruttive e non offensive. E per favore, se notate qualche scempio, vi prego di farmelo notare.
Chiedo solo una cosa: di non giudicare o cestinare la storia solamente dopo aver letto il prologo. Buona lettura❤️
Non dovrei.
Non dovresti.
Non dovremmo.
Ma facciamolo,
ti prego.-Gio Evan
Venerdì. Un fottuto venerdì ha mandato a puttane la mia vita.
Eravamo dodici. Siamo dodici.
Dodici alunni in Erasmus. Abbiamo iniziato quest' avventura quasi per scherzo e ora ci troviamo a limite tra vita e morte. La Zecca, posto totalmente innocuo, ora vittima di una rapina. Fanculo. Allora sono io a portarmi questa sfortuna ovunque vada. Sembrava tutto così fottutamente perfetto. La Spagna, Madrid, un sogno ad occhi aperti.Sono seduta a terra, le gambe incrociate con le caviglie legate attraverso delle fascette nere. Alle braccia e ai polsi è stato riservato lo stesso trattamento. Ho una mascherina che mi copre gli occhi. Gli occhiali non so dove siano finiti. Ed io sono praticamente una talpa, senza.
La bocca mi è stata coperta con dello scotch.Ma porca trottola, qualcos'altro no, eh? Grazie.
Intorno a me il mondo continua ad andare avanti con i suoi rumori e, più che altro, un gran casino dove la tensione regna sovrana.
Molta gente è in piedi, si spintonano da una parte all'altra cercando di scavalcare noi a terra. Più volte mi sono arrivati calci dietro la schiena.Una mano si insinua tra le mie.
«Sono io» dice. Ed ora sono più tranquilla. So che tutto andrà per il verso giusto. Almeno per la mia testa, che sta impazzendo.
«Gli altri stanno bene. Sono tutti qui seduti»
È George, un ragazzo inglese che, come me, ha preso parte all'Erasmus.
Ha la voce più calma che abbia mai sentito e quando parla il mondo sembra fermarsi per una frazione di secondo.
Annuisco a malapena.Si sentono delle voci che sovrastano le urla della gente; «Fermi tutti! A terra!» e poi degli spari che si susseguono. Uno. Due. Tre.
«Muovetevi, forza!»
«Andiamo! Andiamo!»
Dopo, un gran silenzio che rompe i timpani.«Buongiorno a tutti-» inizia.
È una voce forte, autoritaria, sicura, ma soprattutto non sembra essere la voce di un assassino.
«-non vogliamo farvi del male; vi chiediamo solamente collaborazione» si ferma.
Sta camminando, i suoi passi rimbombano nella sala.«Non siamo mostri ma possiamo diventarlo, perciò non fate stupidaggini» Continua.
Stingo la mano di George, che al momento è il mio unico appiglio alla sanità mentale. Questa situazione è surreale. Sembra un cavolo di film.Ci fanno alzare uno alla volta e tagliano le fascette che tengono legate le nostre caviglie. Poi veniamo ammassati e spostati verso quello che presumo possa essere il centro della sala.
Quando siamo entrati nella Zecca questa mattina eravamo più di cento persone. Ora non ne ho idea. Alcuni sono riusciti a uscire prima che iniziasse questo inferno.
I respiri affannati della gente solleticano il collo.Hanno ritirato i nostri telefoni e mi piange il cuore al dover dire addio al mio amato cellulare. Lì dentro c'è tutta la mia vita. Tutti i miei scheletri.
George è alla mia sinistra, ogni tanto mi fa qualche segno con il braccio e mi dice quello che accade attorno a noi. Lui è uno di quelli che non ha la bocca coperta con lo scotch e io di questo, ringrazio il cielo.
Arturo qualcosa. È spiccato il nome di un certo 'Arturo durante la perquisizione, più che altro sequestro, dei telefoni.
«Allora morirai sicuramente» gli ha detto uno dei rapinatori, lo stesso che ha parlato all'inizio. Quello con la voce calma.Credo sia Berlino. Continuano a chiamarsi tra loro con nomi di città. Fino ad ora ho riconosciuto solo lui, Rio e Tokyo. Non so quanti siano.
«Fatevi indietro»
«Mancano tredici minuti»
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Looking for you "LaCasadiCarta"
FanfictionVieni con me Ti porterò dove La solitudine è un regalo più bello Di una rosa [Pinguini tattici nucleari] Venerdì 26 maggio 2017. Zecca di stato, Madrid. Dodici ragazzi dell'élite si ritroveranno faccia a faccia con la realtà, lontani da vite agi...