Mi mancano i fondi di bottiglia

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Perdo i sensi.

Mi piace
perdere con te
il senso del tempo
perché sei tu
il senso
del mio tempo.

Apro gli occhi; la luce illumina le mie pupille e di conseguenza mi rendo conto di non avere più quella fastidiosa mascherina a coprirmi gli occhi. Non vedo granché, anzi, praticamente niente. Non riesco a distinguere ciò che mi circonda. Sono una talpa, non riesco a notare la differenza tra un cucchiaio e un forchetta anche ad un palmo dal naso.

Sono distesa su quello che dovrebbe essere un parquet e probabilmente c'è qualcun altro nei dintorni. Ha il respiro affannato, sembra aver corso i cento e i duecento metri piani alle olimpiadi.

Ascoltando con più attenzione, non è da escludere l'opzione che sia solo. Mentre mi appoggio su un gomito - con l'altro braccio e le gambe ancora distesi sul pavimento - dò un'occhiata all'orologio sul polso sinistro; è uno di quelli vecchio stile, con il cinturino rovinato, il cuoio si è schiarito così tanto che si fa fatica a riconoscerlo. Ha le lancette, le quali sono costantemente spostate cinque minuti indietro; è una cosa che faccio da sempre e mi aiuta ad avere il controllo del mio tempo.
Purtroppo però non riesco a leggere l'ora.

«Ti sei svegliata, finalmente» Astrelle?
«Avanti, alzati da lì e vieni a sederti. Saranno di ritorno tra poco» Cosa diavolo sta succedendo?

«Dove siamo?» chiedo. Mi tiro su e mi metto a sedere con le gambe incrociate e le braccia conserte. «Ci hanno divisi. Eravamo tutti qui, ci stanno portando via uno ad uno» dice Abigail, poi continua la biondina con saccenza.

Dio quanto non la sopporto.
«Passano ogni mezz'ora»

Strizzo  gli occhi per cercare di mettere a fuoco l'ambiente che mi circonda, con vani tentativi. Abbasso lo sguardo; ora indosso una tuta rossa. Alzo un sopracciglio. Come cavolo mi ci è finita questa roba addosso?

«Ci hanno fatto indossare queste divise» Mi spiega Abby, dopo aver notato il mio sguardo straniato.
«Eri svenuta prima, ti ha cambiato George. Ha cercato di dire loro che l'avresti indossata appena rinvenuta: non hanno voluto sentire ragioni.» 

Oh.

«C'era un ragazzo; i capelli castani corti, gli occhi verdi. È stato lui ad insistere»
Abby si è alzata; ora è seduta sul pavimento, di fianco a me. È una delle poche ragazze con cui ho legato in questi ultimi mesi.

«Denver. È uno dei più carini, l'ho squadrato per bene e lui non sembrava da meno.» Lei invece è stata la prima a rompermi le scatole. Frivola come poche e ne ho conosciute di così. Credetemi.

«Che c'è, invidiosa?» Inarca il sopracciglio biondo e mi guarda con sufficienza. Il rossetto fucsia ancora in ottimo stato sulle sue labbra.
È la Barbie per eccellenza.

Sbuffo infastidita e la conversazione finisce lì.
Abby si è distesa a terra e ha messo la testa tra le mie gambe, così inizio ad accarezzarle e massaggiarle i capelli. Io e Silvia - una ragazza spagnola - lo facevamo, anzi, facciamo sempre nei dormitori, quando siamo stressate.

Sospiro mentre penso a quella che era la normalità e la nostra quotidianità fino a qualche ora prima.

Scorrono nella mia mente le immagini del pullman che ci ha portato al museo della Zecca.
Emanuel, Astrell, Margot, Conrad, Ottavio, Beatrice, George, Harry, Kate, Diego, Silvia, che si lanciavano liquirizia fino a poco fa, importunando l'autista.

Neanche negli incubi peggiori ci si trova in una situazione del genere.

Strizzo gli occhi. Sono quel tipo di persona che da bambina, rifiutava di mettere gli occhiali e poi a quindici anni si è trovata senza neppure un  grado. Fanculo alla miopia. Già sono impedita di mio, poi si aggiunge anche lei e la frittata è fatta.

La porta si apre improvvisamente e ci coglie tutte impreparate. Purtroppo sono piuttosto lontana da essa e mi risulta difficile identificare l'individuo che entra.

«Muovetevi forza, ci stanno aspettando» È un ragazzo, penso abbia meno di una trentina di anni. Capisco che è lui il Denver di cui parlava prima Astrelle, quando lei sospira sognante passandogli davanti.

Io e la mia amica ci alziamo simultaneamente ed usciamo dalla stanza. Mentre cammino mi aggrappo a lei nel tentativo di non cadere inciampando nei miei stessi piedi.

«Tu sei finalmente tornata dal mondo dei sogni, eh?» Mi fa il rapinatore rivolgendosi con tono arrogante, mentre proseguiamo in un corridoio stretto e lungo.

Non rispondo e questo a lui da fastidio, perché inizia a spintonarmi ed a intimarmi di camminare velocemente. La biondina nel frattempo è tutta sorrisetti per lui. Dio, da proprio la sensazione di una Barbie.

Il corridoio termina dopo un paio di minuti, passati tra i "girate qui, svoltate li" di Denver e gli stucchevoli commenti del "diabete vivente".

Aperta la porta, davanti a noi appare una visuale più che famigliare in questo momento; è la sala dove eravamo stati posti prima dell'apertura delle porte, con tutti gli ostaggi. Ora noto che sono stati divisi in base al sesso. In una fila sono presenti solo donne, nell'altra gli uomini e sono poste l'una davanti all' altra.

Sul mio volto compare un enorme sorriso quando scorgo - non senza alcuna fatica - il volto di George. Dopo un attimo lui si gira e finalmente ci scambiamo delle occhiate complici. Sta bene, per quanto sia possibile in questa situazione surreale. Ne sono felice.

Vengo interrotta da Denver, il quale con poca delicatezza spinge me e le mie compagne nella parte femminile, successivamente veniamo distratti dall' entrata dei rapinatori ed il brusio presente nella sala finisce.

Mi siedo tra Silvia e una donna; è magra, non troppo alta, con la carnagione chiara e i capelli biondi e ricci. Bisbigliando ci dice di chiamarsi Monica Gaztambide.
Mi guardo in giro; indossiamo tutti  la medesima tuta rossa, la stessa dei rapinatori, ma purtroppo per me è ancora tutto sfocato.

«Ostaggi! Abbiamo avuto qualche imprevisto ma nonostante questo, avrete un po' di tempo per riposare. Vi daremo dell' acqua e un panino. Confidiamo nel fatto che tutto andrà per il meglio.» 

È la voce di Berlino. Ancora una volta.

Quanto darei per vederli tutti, questa maledetta curiosità mi sta attanagliando l'anima. Mentre alcuni ci spiegano cosa dobbiamo fare, gli altri camminano tra noi ostaggi seduti a terra.
Ci mettono più del dovuto; proseguono lenti e impassibili con delle armi al loro seguito.
Con un solo colpo potrebbero mettere fine alla nostra vita.

Qualcuno alza il braccio.

«Si?»

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