2° capitolo- 'Ci penso io a te'

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"Amore sveglia-..."
"Smettila di essere così affettuosa con lei! Hai visto come mi ha risposto ieri? Deve imparare ad avere un po più di rispetto verso gli adulti!" Venni svegliata dal rimprovero di mio padre a mia madre.
"Ma caro, è una bambina-..." provò lei.
"Non è una bambina, Ameeda: ha sedici anni! È abbastanza grande da prendersi le sue responsabilità, e io pretendo che non mi si rivolga più in quel modo davanti ad altra gente" s'impose lui.
"Alzati Joyce!" Urlò strappando via la coperta e inondandomi di aria fredda proveniente da fuori la finestra (puntualmente spalancata sopra di me).
"Ma così si prenderà un malanno!" Sì preoccupò mia madre correndomi incontro, mentre mi alzavo dal letto infreddolita e osservavo la sveglia. Erano solo le 5.04!
"No, stai ferma! Deve imparare che dentro questa casa ci sono delle regole ben precise... e che bisogna rispettarle. Ieri sera era solo un anticipo se continua così..." fermò mia madre che, a quel ricordo, si guardò i polsi e le braccia, massaggiandoseli con sguardo cupo venendo poi scansata per lasciarmi passare ed andare in bagno.
Arrivata lì mi guardai allo specchio, quasi m'impressionai: avevo i capelli dritti, la faccia impastata e due occhiaie che facevano invidia ai procioni, una delle quali si confondeva con un occhio nero causato da un pugno.
La sera prima avevo risposto in malo modo a mio padre durante la cena e lui si era arrabbiato. Dopo poco la mamma era caduta e aveva rotto la sedia tanto che le spine le entrarono nel braccio. O almeno, questa è la versione che ha dato papà. Sono comunque più che certa che sia stata opera sua che come al solito, se si arrabbia con una delle due, ne rispondiamo entrambe.
"Buongiorno mondo di merda!" esclamai guardandomi allo specchio.
"Oggi ti accompagna papà, non sei contenta?" Mi chiese lui ironico da fuori il bagno.
"Yeh, che bello!" Risposi con la stessa ironia, roteando poi gli occhi.
Mi lavai, mi vestii ed uscii. Avevo una camicetta bianca a strisce irregolari nere, un jeans strappato nero e una scarpa sportiva bianca.
"Sei troppo scoperta. Mettiti qualcosa di più pesante e copriti!" Mi ordinò mio padre squadrandomi da testa a piedi.
Sbuffai rientrando in stanza e ne uscii con un leggins e una maglia che arrivava a metà coscia.
"Così va bene?" Chiesi retorica mettendo un giacchetto di pelle nero.
"Sì, va già meglio" mi guardò male.
"Bene". Presi lo zaino in spalla e mi avvicinai all'uscita.
"Ciao amore, ci vediamo a pranzo." mi salutò mia madre abbracciandomi come se fosse stata l'ultima volta in cui ci saremmo viste.
"Mamma, non sto per morire. Ci vediamo tra qualche ora! Non c'è bisogno che mi strangoli!" la incitai ad allentare la presa e a lasciarmi andare, con voce scocciata. Forse anche troppo, ma non vedevo l'ora di andarmene da quella casa.
Uscii con papà alle mie spalle, attraversando la strada, quando lui mi fermò:" dove stai andando? La macchina è di qua!"
Rimasi stupida da quella affermazione. Noi non avevamo mai avuto una macchina, ma ci erano sempre venuti a prendere gli amici di papà perché a lui non piaceva il contatto con la gente che stava nei mezzi pubblici.
"Una macchina?" Chiesi come se avessi capito male.
"Sì, è un regalo di un mio caro amico per un favore che gli ho fatto anni fa, ma a te non deve interessare". Rispose con fare sbrigativo avvicinandosi ad un' audi a4 Cabriolet nero opaco.
"Dev'essere stato un favore vitale!" Commentai sottovoce sedendomi sul sedile anteriore dell'auto.
Partì sgommando, facendo girare una coppia di vecchietti seduti ad un tavolino del ristorante dove mi ero scontrata con il ragazzo.
"Almeno sai dove dobbiamo andare?"chiesi ancora assonnata.
"Certo che lo so! Per chi mi hai preso?" Rispose adirato.
"Okay, scusami..." risposi sulla difensiva alzando le mani al cielo.
Ci fermammo dopo poco davanti ad una scuola. L'entrata era collegata alla strada da un ponte, davanti il quale vi erano due statue in pietra di ragazzi appoggiati a rocce.
Era una struttura enorme in mattoni con due archi come entrate, e contornata da alberi ancora spogli.
Uscii dall'auto prendendo lo zaino e feci per allontanarmi, quando mio padre disse: "Torni a casa da sola." sgommando via.
Lo guardai allontanarsi sbigottita e mi avvicinai all'entrata.
"Hey, ciao!" Sentii da dietro di me, e vidi il ragazzo del ristorante corrermi in contro.
"Oh, ciao!" Risposi sorpresa.
"Anche tu qui?" Mi chiese speranzoso.
"Così sembrerebbe." dissi come se fosse ovvio.
"Davvero? In che classe stai?" Domandò curioso.
"Dovrei essere nella 3°C" lo informai guardando un foglio preso dallo zaino con tutte le informazioni che mi occorrevano.
"Perfetto! Sei sul mio stesso piano! Io sono nella 4°C, la classe in fondo al corridoio, vicino ai bagni." aggiunse come se fosse una bellissima cosa essere alla porta accanto a dove la gente defeca.
"Pensa che bello!" Lo presi in giro io, ricevendo una leggera spinta sul braccio.
"Comunque, ti conviene iniziare ad entrare se non vuoi perderti già dal primo giorno." m'informò lui facendomi vedere l'orologio, segnava le 7.30 del mattino.
"Già, ma mi servirebbe una guida... sai, per potermi ambientare meglio." dissi guardandolo con occhi da cane bastonato.
"Okay, ci penso io a te." disse aprendosi la strada tra un gruppo di ragazzi che scherzavano tra di loro.
Ci penso io a te.
"Ah, comunque io sono Michael." m'informò dandomi la mano.
"Joyce!" Risposi entusiasta di averlo convinto ad accompagnarmi.
"Oh! Bel nome!"
"Grazie..." Risposi nascondendo il volto arrossito.
Dopo qualche minuto di imbarazzato silenzio, disse: "Non hai problemi di cuore, vero?" Chiese indicandomi le scale.
Negai sbuffando ed iniziando a salire le scale non molto vogliosa, iniziando a lamentarmi di tanto in tanto.
"Allora ti aspettano quattro lunghi piani di scale." rispose ridendo.
"Cosa?" Mi girai guardandolo e sperando che si mettesse a ridere e negasse ciò appena detto. Mi osservò ancora più divertito di prima e mi superò. Sbuffai contrariata e lo seguii.
Dopo un po, arrivammo al quarto piano, con le classi sulla destra e una vetrata di finestre sulla sinistra.
"Allora...al primo piano ci sono la portineria, la presidenza e l'entrata per le due palestre. Alla fine di ogni piano vi è un bagno sia per maschi che per femmine e, accanto, ci sono i distributori. Ti consiglio di uscire sempre qualche minuto prima che suoni la campanella per la ricreazione, se vuoi trovarci qualcosa... oppure appena entri la mattina, vai li e ti compri ciò che vuoi." mi consigliò Michael.
"Grazie mille." gli sorrisi
" Allora... tu sei italiana... di dove? Come mai ti trovi qui?" Mi chiese appoggiando la schiena alla vetrata e incrociando le braccia.
"Sono siciliana, e non ho la più pallida idea del perché io sia qui! Mio padre ieri si è svegliato e ha deciso che saremmo partiti, avvertendomi solo poche ore prima del viaggio."
Risposi tutto d'un fiato, agitando le mani e squotendo la testa energicamente.
"Sei siciliana? Anche io!
Io di Palermo, tu?"
"Anche." Intanto la campanella aveva iniziato a suonare, ed una massa di studenti ci sorpassò, ognuno si dirigeva frettolosamente in classi differenti. Continuammo a camminare anche noi.
"Ma qui parlano tutti strano..." constatai mentre mi affiancavo ad una ragazza bionda, parlava con un ragazzo altrettanto chiaro in una lingua apparentemente indecifrabile.
"Parlano olandese..." Mi corresse lui ridendo sotto i baffi.
"...Ma tu sei nella merda perché non sai dire neanche una parola, giusto?"
Sbuffai. "Giusto."
Però poi sgranai gli occhi, guardandolo con un' espressione furba ed iniziando a carezzargli giocosamente la spalla.
"Ma io ho conosciuto un ragazzo che sta qui da molto più tempo di me e che, immagino, sa parlare questo diamine di olandese..."
Iniziò a ridere.
"Mi stai chiedendo delle lezioni per caso?"
"Io? Be'...sì. Ti prego! Se non parlerò un minimo questa lingua non potrò avere una vita sociale! E poi dovrò parlare col linguaggio dei sordomuti, t'immagini che brutto se-"
"Wee calmati! Mi hai convinto. 20 euro l'ora!"
"Cosa? Ma tu sei pazzo!" Risi anche io, dandogli un leggero pugno sulla spalla. Ora eravamo arrivati dinanzi ad una porta bianca in legno, con su scritto 3C.
"Questa è la tua classe, be'...buona giornata e-"
S'interruppe, mentre una donna magra e sulla cinquantina richiamava ripetutamente il suo nome, con una voce a dir poco stridula.
"Volkich! Cosa ci fai ancora lì fuori? Entra immediatamente in classe!"
Notai che Michael virò lo sguardo, massaggiandosi le tempie e sussurrando un Dio Mio.
"Professoressa, sono quattro anni che mi chiama Volkich, ma io sono Volskovich!"
"Due minuti e ti voglio in aula." L'antipatica donna rientrò nella classe, mentre lui si girava nuovamente verso di me alzando gli occhi al cielo.
"È la Diolick, la prof più rompiscatole dell'istituto. È soprannominata Diabolick!" Iniziai a ridere senza un contegno, mentre ci salutavamo e ci auguravamo buone lezioni.
Come primo giorno inizialmente non fu male, ma la situazione peggiorò non appena varcai la soglia della mia nuova classe.

*****

Entrai in aula andando di fronte alla cattedra, dove lì vi era seduto un giovane professore sulla trentina, con i capelli castani e avente un filo di barba ben curata.
Era davvero un bell'uomo.
Appena entrai mi sorrise, ed esclamando qualcosa mi venne incontro rivolgendosi ai ragazzi.
Probabilmente mi stava presentando, lo constatai dal fatto che annunciò alla classe il mio nome e il mio cognome.
Joyce Lobati.
In quel momento notai una ragazza bionda, vestita di rosa, che mi osservava con sguardo che era tutto tranne che amichevole, indicandomi.
Non le diedi peso.
Il professor Smith, il cui cognome era stato scritto sulla lavagna, mi indicò un posto libero accanto ad un ragazzo biondo.
"Sei italiana?" Mi domandò con un accento quasi ridicolo.
"Sì...parli la mia lingua?"
"Diciamo che..." faceva fatica a rispondermi "...Io capisco poco."
Ridacchiai.
"Oh, bene. Allora se dicono qualcosa di cattivo su di me dimmelo, okay?"
Mi sorrise.
"Okay."

Le ore passarono lentamente, quasi a sembrare un'eternità.
Ad un tratto avvertii qualcosa scagliarsi sul mio collo. Erano palline di carta. Mi voltai, quella ragazza bionda stava ridendo assieme alle sue amiche, mentre mi indicavano.

*****

La scuola, per quanto riguarda la mensa, era strutturata in un modo assai particolare: al piano sottostante vi erano i tavoli, il piano superiore affacciava su quello inferiore,  ed era adibito ai corridoi.
Io ero appena entrata nella mensa, cercavo di orientarmi e di capire cosa avrei dovuto o non dovuto fare. A dir la verità cercavo anche Michael, non sapevo dove avrebbe potuto essere.
Una fila di ragazzi aspettava con i propri vassoi che le cuoche gli mettessero da mangiare nei piatti, così decidi di avvicinarmi.
Ma qualcosa mi urtò, e dal dolore mi accasciai a terra.
Accanto a me c'era l'oggetto che mi aveva colpita: un vassoio in plastica rigida, rosso, con tanto di cibo sopra e che ora era a terra. Era stato gettato dal corridoio del piano superiore, da non so chi.
Intanto una folla si era radunata attorno a me, vedevo sfocato, sentivo i capelli appiccicosi e i suoni ovattati.
La nuca, quella mi faceva malissimo.
Poi qualcuno disse qualcosa, alzando la voce, e mi prese in braccio.
Aprii gli occhi.
"Michael..."
Mi posò su una panchina, fuori dalla mensa.
"Aspettami qui, vado a prendere del ghiaccio."
Tornò pochi secondi dopo, e non appena me lo premette sulla parte dolente della testa digrignai i denti.
I suoi occhi color smeraldo incontrarono i miei.
"Mi dispiace Joyce, non era questo il primo giorno di scuola che meritavi."

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 11 ⏰

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