Capitolo 3 - Disperati nella solitudine

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Sentii la voce di mio fratello urlare il mio nome: «Sheldon!»
Provai a rispondergli ma riuscii solamente a  mugugnare qualcosa di incomprensibile, al che lui mi richiamò con un tono di voce più alto di qualche ottava scrollandomi per una spalla.
«Che vuoi?» Risposi con la voce impastata dal sonno.
«Tocca a te fare la guardia. Inizio a sentirmi parecchio stanco e vorrei riposare un po' anch'io» si lamentò.

Aprii gli occhi infastidito e mi misi seduto stropicciandomi il viso con le mani. Dopo essermi  stiracchiato ero ancora assai intontito e mi sentivo terribilmente stanco; come se non bastasse iniziavo a percepire i morsi della fame e lo stomaco brontolava insistentemente, ma non vedevo neanche l'ombra di cibo nei paraggi. Dal nostro arrivo avevo subito notato che intorno a noi c'erano vari piccoli cespuglietti addobbati da minuscole bacche di un rosso vermiglio, ma per non rischiare di stare male mi tenni alla larga, anche se la tentazione di assaporare qualcosa di fresco e succoso era davvero tanta. Non bevevo da parecchie ore e i sintomi della disidratazione iniziavano a manifestarsi.

Bradley si stese sul giaciglio che fino a poco prima occupavo io. Mi misi davanti al fuoco crepitante e guardandolo mi stupii del vigore con il quale bruciava da ormai così tante ore, lì accanto mio fratello aveva lasciato una lancia di fortuna, un arbusto di legno scuro con folte venature intrecciate color carbone affilato da un'estremità in modo da creare una punta acuminata. Ci poteva sicuramente tornare utile. La presi in mano e la feci rigirare più volte tra le dita, dovevo proprio ammettere che aveva fatto un buon lavoro, io non sarei mai stato capace nemmeno di affilare la punta di un ramo senza una bel coltello tagliente. La riappoggiai a terra e osservai il mio gemello che nel frattempo era già  sprofondato nel sonno.

Dopo qualche attimo osservai il falò scoppiettante e decisi  di alimentare le fiamme con qualche pezzo di legna che giaceva accanto a me, li gettai con delicatezza e il fuoco divampò. Mi sistemai in una posizione più comoda e allungai le mani per riscaldarmi. Adoravo osservare quelle lingue color rubino, vederle bruciare. Mi perdevo nella loro danza così sensuale. Non so per quanto tempo rimasi lì, a contemplarle.
Un leggero venticello s'innalzò da occidente e mi riscosse dal mio torpore, le lingue di fuoco virano pericolosamente verso est ma per fortuna le fiamme non si estinsero.

Mi alzai stiracchiandomi, allungando le braccia con le dita incrociate verso il cielo che si stava tingendo di una leggera sfumatura aranciata. Segno che l'alba stava arrivando. Un'altra cosa che questo posto aveva in comune con la normalità.
Mi grattai il petto glabro e tastai i vestiti ancora appesi al ramo, nessuna traccia dell'umidità di qualche ora prima. La vicinanza al fuoco gli aveva conferito un odore di affumicatura. Mi rivestii e allacciai le stringhe delle scarpe ai piedi, erano rimaste madide ma era sempre meglio che camminare a piedi nudi. Ponderai su ciò che ci avrebbe atteso l'indomani mentre mi rigiravo distrattamente il ciondolo della collana che portavo al collo, identico a quello di Bradley.

La collana era composta da una sottile corda di cuoio nero e come ciondolo aveva una punta di freccia in acciaio con sfumature tendenti al grigio fumo, la forma più tondeggiante la rendeva diversa da quelle classiche, ma ancor più particolare era il piccolo triangolo leggermente scavato verso l'interno e le linee bianco panna che lo definivano conferendogli l'impressione che fosse in rilievo. Non la portavamo sempre, quando facevamo sport, la doccia o dormivamo avevamo la tendenza di togliercela siccome non volevamo perderla o rovinarla. Stavolta però ce l'eravamo proprio scordati entrambi (ovviamente, d'altronde eravamo gemelli). La acquistammo alcuni anni prima per avere una rappresentanza materiale del filo indivisibile che ci legava e dell'affetto che provavamo l'uno verso l'altro. Era il simbolo dell'amore fraterno che ci univa e che viveva in noi.
L'avevamo presa in un giorno molto particolare. Il ricordo di ciò che era successo riaffiorò nella mia mente e un debole sorriso increspò le mie labbra.
Avevamo undici anni ed eravamo in vacanza in Australia con i nostri genitori, in quel periodo nostra madre era incinta di Giselle. In un pomeriggio soleggiato avevamo deciso di andare a fare un giro per scoprire il quartiere in cui alloggiavamo nella periferia di Sidney. Mentre camminavamo nella folla io e Bradley ci perdemmo di vista. Disperati nella nostra solitudine tornammo all'alloggio e quando arrivammo nello stesso istante davanti all'uscio capimmo immediatamente di essere legati dal filo indivisibile dei gemelli, e che qualunque cosa ci sarebbe successa noi saremmo sempre stati vicini. La forza di gravità sembrava giovare a nostro favore.

The Scorzeer series - L'inizio del viaggio #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora