Il mio nome è Justin.

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"Uscirò tardi dall'allenamento oggi" disse Vee. Si stava guardando allo specchio e si stava legando la sua chioma bionda in una coda alta. "Vuoi che passo da te per andare con i ragazzi?".

Le feci no con la testa e la ringraziai.

"Starai qui tutta la notte qui? Smettila di essere così noiosa e vai all'entrata del dormitorio dei maschi. Oggi è il compleanno di Franco".

"Devo finire di studiare" mi scusai mostrandole il libro che Isabel mi aveva prestato la settimana prima. Mi mancavano qualche capitolo in realtà, però non volevo andare a quella festa. Perché non ero così vicina né a Franco né agli altri. "Non voglio stare lì senza di te"

"Però ci sarà Marcus e io ci sarò, solo arriverò tardi" disse girandosi e portando la sua borsa sulla spalla. Alzai gli occhi ed ero quasi pronta a ribadirle che non sarei andata a quella stupida festa, quando lei continuò dicendo "Va bene, va bene, ci vediamo dopo."

Quando lei uscì dalla nostra stanza, piombò un silenzio sepolcrale. Ero quasi tentata di seguirla solo per vedere come si allenavano la squadra di cheerleaders e per ammazzare il tempo. Erano tutti emozionati per la partita che si sarebbe svolta il sabato.

Dopo averlo pensato qualche minuto, mi resi conto che non volevo stare da sola. Mi alzai dalla poltrona e, come un missile, mi cambiai, per poi cercare di pettinare i miei capelli ed infine mettermi le scarpe.

Avevo la mano sulla maniglia, ero al punto di aprire la porta, quando qualcuno suonò al campanello. Il suono fece eco nella stanza e istintivamente cercai di capire chi fosse. Nessuna delle persone che di solito venivano qui non suonavano il campanello in quel modo. Il suono continuò martellante e pensai che solo una persona era così insistente e decisa.

Il mio stomaco si chiuse per l'ansia.

Corsi allo specchio e metto una passata di mascara. Mi guardai e non posso che pensare a quanto fossi orrenda in quel momento, ma mi resi conto che non potevo farci nulla.

Quando mi sentii pronta, aprii la porta.

Lui era appoggiato alla parte e le sue dita continuavano una lotta infinita con il campanello, lo osservai e notai che prima di vedermi era in una posizione rilassata che cambiò completamente quando mi vide. Si raddrizzò e sospirò. Apro la bocca per dire qualcosa, però pensandoci non avevo nulla da dirgli, quindi la richiusi. Non ero di certo io quella che doveva dire qualcosa, insomma era lui che era venuto qui.

"Ciao"

"Ciao" dissi a mia volta.

"Il mio nome è Justin" annunciò "Justin Bieber, qual è il tuo?"

La confusione mi colpì immediatamente, però sorrisi quando mi resi conto di quello che stava facendo.

"Amanda Miller" dissi e decisi che lo avrei lasciato parlare per vedere dove sarebbe arrivato con questa storia"

"Amanda Miller" ripeté, come se stesse assaporando il mio nome sulle sue labbra. "Mi piace, ti sta bene"

La sua spensieratezza mi fece quasi pensare che fosse la prima volta che lo vedevo. Alzai entrambe le sopracciglia, obbligandomi a non incrociare le braccia, perché sarebbe stato un po' scortese.

"Grazie"

Suppongo.

Rimanemmo in silenzio. Era in quei momenti che io mi sentivo messa in imbarazzo più che mai e quelli in cui mi chiedevo come eravamo arrivati a quel punto, e il tempo sembrava non passasse mai. Presi un attimo per guardare com'era vestito. Pantaloni azzurro scuro, una maglietta semplicissima e una felpa. I suoi pantaloni erano pettinati e non so perché non l'avessi notato prima, ma aveva le mani nascoste dentro le tasche della dua felpa, come se stesse nascondendo qualcosa o fosse nervoso, o magari anche tutte e due.

Abbi PietàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora