Capitolo due.

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Salì sul palchetto allestito per l'occasione con gambe e mani tremolanti. Aveva seicento paia di occhi addosso e sentiva già l'ansia crescere minacciosamente. Si sedette su uno sgabello posto al centro del palco e imbracciò la sua chitarra, pizzicando qualche corda per accordarla. 

-Ragazzi, oggi avremo il piacere di ascoltare la musica di un nostro compagno, Fabrizio Mobrici! -lo annunciò il rappresentante urlando il suo cognome e allungandone la finale, proprio come si annunciavano i cantanti veri. 

Un applauso si elevò dal suo discreto pubblico seguito da schiamazzi e urla di giubilo. 

-Ciao a tutti. -disse solo Fabrizio, sollevato da quell'accoglienza così calorosa. -Vi canterò un brano che ho scritto recentemente e che ho particolarmente a cuore. Si chiama Libero.

Un altro applauso e un respiro profondo ad occhi chiusi per cominciare.

Le prime note furono le più dure da suonare: si sentiva messo a nudo di fronte a quei liceali senza scrupoli che avrebbero potuto prendere quella parte di sé tanto intima e ritorcergliela contro. 

'Piantala di pensare e canta!' -sembrò dirgli con uno sguardo di rimprovero Roberto quando incrociò i suoi occhi sotto il palco.

E quando le note vennero accompagnate dalle mani dei ragazzi che battevano a tempo, la voce di Fabrizio uscì dalle sue labbra cavalcando le note e le parole come mai prima gli era capitato di fare. Si sentiva vivo e onnipotente, certo di non avere molti talenti ma di poter vantarsi dell'unico che possedeva: la musica, la poesia che riusciva a dare ad ogni singola parola che buttava giù. 

Era il pubblico più numeroso che avesse mai avuto e fu certo di averlo affrontato bene quando, al termine dell'ultima nota, un boato di urla e applausi riempì l'aria fresca e profumata di fiori di quel giardino.  

Fabrizio si alzò dal suo sgabello, poggiò a terra la chitarra e si inchinò davanti alla folla di ragazzi ringraziandoli con la voce spezzata dall'emozione. Incrociò lo sguardo del suo amico che gli fece un occhiolino e lo ringraziò mentalmente per averlo costretto a mettersi in gioco. E, mentre spostava lo sguardo tra i vari corpi che saltavano o si dimenavano senza freni facendo sbattere i palmi delle loro mani tra di loro, venne attirato da un paio di severi occhi scuri coperti in parte da una folta chioma riccioluta. 

Era fermo. Immobile. Sul suo viso un'espressione indecifrabile. Le labbra serrate. Gli occhi socchiusi. Lo osservava quasi arrabbiato. Era l'unico ragazzo fermo, le braccia incrociate all'altezza del petto. 

Gli stava mettendo paura, a dir la verità. 

'Forse non gli sono piaciuto.' -pensò Fabrizio consapevole però che non fosse solo quello. Lo osservava come si osserva il tuo peggior nemico, una persona che proprio non riesci a digerire. Non lo guardava con fare schifato o critico, bensì con uno sguardo truce. Non si preoccupò nemmeno di celare questo suo sentimento, continuando a sfidarlo con lo sguardo anche quando Fabrizio prese a fissarlo spudoratamente, piantando gli occhi in quelle iridi scure e profonde. 

Fu proprio quest'ultimo a perdere quella gara di sguardi, intimorito. Non sapeva chi quel ragazzo fosse ma era certo il suo sguardo lo avrebbe perseguitato per un pò.

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Erano passati due giorni da quell'esibizione. A scuola era diventato una piccola star: la maggior parte dei ragazzi che incrociava nel corridoio gli battevano un cinque o davano una pacca sulla spalla con fare amichevole. Aveva visto anche qualche ragazza provarci spudoratamente, ma a lui non importavano né facevano effetto tutte quelle attenzioni. Tentava di non darlo a vedere rispondendo cordialmente agli esagerati apprezzamenti che le ragazze gli rivolgevano ma senza mai andare fino in fondo.

Quel ragazzo invece, non l'aveva più visto. Da una parte era contento di non aver dovuto fare nuovamente i conti con quello sguardo affilato e penetrante ma, dall'altra, era veramente curioso di capire il perchè di quell'atteggiamento.

Era in bagno da qualche minuto ormai: aveva unito il bisogno fisiologico alla paura di una probabile interrogazione in matematica. Si stava sciacquando le mani quando una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare.

-Finalmente ho anche io l'onore di conoscere l'ormai famosissimo Fabrizio.

Il ragazzo si girò portandosi una mano al petto per tentare di placare il battito accelerato del suo cuore a causa dello spavento per poi bloccarsi come folgorato.

Quegli occhi. Erano passati due giorni ma li riconobbe subito, impossibile confonderli anche tra centomila uguali. Quei capelli ricci perfettamente definiti che cadevano ribelli sulla fronte. Quella postura sempre perfetta, dritta e altezzosa. Quel sorrisino sghembo e canzonatorio. Quel ragazzo che emanava uno strano fascino, mischiato a timore e mistero.

Non si accorse effettivamente del suo silenzio prolungato fino a quando il riccio di fronte a lui glielo fece notare.

-Cos'è? Hai perso la voce? Eppure non mi sembrava ti mancasse qualche giorno fa.

'Pure stronzo.'

-N-no.

Il riccio alzò un sopracciglio. Doveva essere uno che si spazientiva facilmente. E Fabrizio con le sue risposte monosillabiche gli stava spianando la strada.
Prese un respiro e allungò la mano verso il ragazzo.

-Sono Fabrizio.

-Lo so. -disse il ragazzo senza aggiungere altro osservando la mano dell'altro ricadere sul suo fianco senza essere stata stretta.

Erano passati due minuti e già Fabrizio faticava a tenere il conto di quante volte quello sconosciuto lo avesse messo in difficoltà. Aveva sentito dire che già dal nome si poteva capire la personalità di una persona. E lui moriva dalla voglia di sapere il nome del ragazzo di fronte a lui nonostante avesse già intuito di che pasta fosse fatto.

-E tu come ti chiami? -azzardò.

-Mi sembra di essere tornato all'asilo con questa conversazione.

'Stronzo. Di nuovo.'

-Sono Ermal comunque. E si, prima che questa domanda me la faccia tu, non sono italiano. Ma il mio paese natale non te lo dico. Vediamo se lo indovini. -continuò facendogli un occhiolino.

-Mh, beh, non saprei, America? -tentò Fabrizio, sempre più confuso dai modi di fare del riccio.

-Ti pare che se fossi realmente nato in America sarei qui a marcire in uno squallido liceo di un sobborgo di Roma?

-Germania?

-Nah, più a sud.

-Grecia?

-Fuochino. Albania comunque.

-Ah. E come mai sei qui in Italia?

-Allora vedi che sei un tipetto curioso quando vuoi?! Ma a questa domanda non ti risponderò, non parlo di queste cose con gli sconosciuti.

Detto questo uscì dal bagno senza nemmeno salutarlo, solo con un sorrisino soddisfatto sul volto.
Era stata la conversazione più surreale che Fabrizio avesse mai tenuto con qualcuno.

La razionalità gli intimò di stargli alla larga e lui era completamente d'accordo con lei. Ma c'era qualcosa dentro di lui che moriva dalla voglia di constatare fino a che punto quel ricciolino impertinente potesse spingersi.

ANGOLO AUTRICE:
Allora, cosa ne pensate di questo Ermal? In molte ff che ho letto, è sempre descritto come un tipo molto fragile, gentile o romantico, cosa che effettivamente lui è. Ma il lato asfaltatore e stronzetto di Ermal l'ho visto raramente venir fuori, per cui ci ho provato! Spero vi piaccia.
È stato bellissimo comunque rivedervi tutte qui, grazie mille per la fiducia!
Vi voglio bene.❤

Insegnami ad amarti. - MetaMoro [IN PAUSA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora