Capitolo sei.

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Sentiva gli occhi bruciare, la vista appannarsi impedendogli di vedere chiaramente il corridoio che stava percorrendo.

Stava male, la delusione cresceva dentro di lui lasciando una scia ardente in tutto il suo corpo come una fiamma che segue una scia di alcol. Si ero ubriacato di aspettative, aveva riposto troppa fiducia in quel ragazzo nonostante avesse trovato una porta chiusa fin dal primo momento.

Ed era per questo che non si lamentava del suo dolore, lo lasciava esplodere senza nemmeno tentare di disinnescarlo, un' autopunizione per la sua debolezza, per aver fatto crollare le sue certezze affidandosi a pochi tocchi e poche parole di uno sconosciuto. 

Si odiava per questo e, ancor di più, si odiava per starci così male, per permettergli di continuare a controllare i suoi sentimenti nonostante fosse stato proprio lui a spappolarli con poche parole messe in fila.

Camminava con la debole, ma comunque presente, speranza che lui lo raggiungesse e lo fermasse. Sperava che gli chiedesse scusa, che gli chiedesse di ricominciare, ammesso che mai avessero iniziato. Sperava di vedere del pentimento in quegli occhi scuri, dell'umanità come l'aveva vista nel bagno di quella ragazza quando avevano parlato, seppur per pochissimo, della sua musica.

Ma Ermal non lo fermò, preferendo rimanere immobile a guardarlo andare via.

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Avrebbe voluto avere la sua chitarra con sé. Portarla a scuola, però, avrebbe significato esporla ai pericoli, come fosse una bambina in un ambiente di estranei, per cui doveva accontentarsi di passare quei pochi minuti di pausa con una penna in mano, tracciando note musicali su un pentagramma usurato.

Da due giorni aveva deciso di iniziare a trascorrere l'intervallo nel giardino della scuola, lontano dalle quattro mura della sua classe e dagli schiamazzi dei suoi compagni.

Non capiva perchè il corridoio bianco e afoso della scuola fosse, per gli altri, più attraente di quel piccolo quadrato verde, situato accanto al cancello di ingresso e dotato di poche panchine tutte ben distanti le une dalle altre. Qualche fiore spiccava nella distesa di erbetta, impregnando l'aria di un odore acre ma piacevole.

La panchina che aveva designato come sua era la più appartata: la più lontana dall'ingresso e parzialmente coperta dal tronco di un grande albero che assicurava l'ombra e la frescura nelle giornate più calde.

Era un luogo ideale per far prendere aria ai suoi pensieri, liberandoli da quell'aria satura e maleodorante di sudore adolescenziale e per evitare di incrociare di nuovo quegli occhi e quel viso che, seppur con tutto l'impegno del mondo, non era sicuro di poter riuscire ad odiare.

Pizzicò distrattamente qualche corda, chiudendo gli occhi e godendosi il leggero vento che fece smuovere piccoli ciuffi di capelli dal suo volto.

-A quanto pare ho trovato l'unica persona che riesce ad essere meno socievole di me.

Quella voce ebbe il potere di fargli riaprire di scatto e sbarrare gli occhi come se gli fosse stata puntata una pistola alla tempia. Lo vide poco distante, i ricci che si muovevano seguendo il ritmo del vento. Fece appello a tutte le sue forze per concentrarsi su come controbattere e non sul suo viso giovane e bellissimo.

-Mi sorprendi! Da quando in qua rivolgi la parola ad una persona come me? -disse Fabrizio riprendendo le dure parole che il riccio aveva usato contro di lui.

-Vedo che inizi a farti rispettare, Fabrizio.

Il modo in cui pronunciò il suo nome mandò il romano in estasi, convincendolo che avrebbe potuto farglielo ripetere all'infinito senza stancarsi mai.

Ma non doveva cedere.

-Sono stufo della tua ostentazione di superiorità.

-Ok dai, me lo merito.

Un sorrisino gli tendeva le labbra mentre si muoveva verso di lui prendendo posto sulla panchina affiancandolo.

Fabrizio riusciva a sentire il suo odore nonostante ci fossero parecchi centimetri a separarli. Un misto di colonia e sapone a inebriargli i sensi.

-Non avrei dovuto comportarmi in quel modo, lo ammetto.

Fabrizio, inconsciamente, era già pronto a lasciarsi quella discussione alle spalle, consapevole che le scuse di Ermal lo avrebbero fatto ricadere nella ragnatela della sua bellezza magnetica.

-Volevo solo essere gentile. -disse Fabrizio.

-Lo so. Tu sei buono Fabrizio, vedo un grande cuore in te, una spropositata generosità.

Ancora una volta un passo avanti a lui. Ancora una volta quella capacità di leggerlo dentro. 

-È solo che io la generosità e la gentilezza non le ho mai realmente sperimentate, nessuno le ha mai usate per me.

Il cuore di Fabrizio si sciolse definitivamente a quelle parole. Poteva finalmente rivedere negli occhi del riccio quella fragilità, quell'umanità che il romano iniziava a pensare mancassero del tutto.

-Ehi. -disse Fabrizio che, in un moto di inusuale intraprendenza, posò la mano tatuata sul suo braccio magro. -non è mai troppo tardi.

-Sei così ottimista, Fabrizio.

La sua mano lunga e decorata con un anello di metallo andò a sfiorare una guancia del romano facendo sì che i polpastrelli giocassero con la sua barba.

Un calore famigliare si impossessò del corpo di Fabrizio, già scosso da numerosi brividi.

Il cuore accelerò di colpo cominciando a battere fortissimo sotto lo sguardo attento e profondo del ricciolino.

Gli occhi di Fabrizio studiarono per intero il volto del ragazzo non potendo reggere a lungo il suo sguardo. Rimasero fissi per un pò sulle sue labbra sottili e rosee, interrogandosi su che sapore avessero e scoprendosi voglioso di scoprirlo da sè. Arrossì per quel pensiero per poi vedere il solito sorriso compiaciuto modellarsi sull'oggetto della sua contemplazione.

Alzò nuovamente lo sguardo sugli occhi di Ermal trovandoli pregni di una nuova luce e incredibilmente vicini ai suoi.

-Sei così innocente e fiducioso, Fabrizio.

La sua voce arrivò ovattata alle orecchie di quest'ultimo per via delle sensazioni che stava provando e che facevano un rumore allucinante.

Fu quando sentì il suo respiro caldo e fresco sul viso e la punta del suo naso sfregare con la propria che pensò di morire d'infarto da un momento all'altro, ma fu quando le loro labbra impattarono che pensò di essere morto davvero.

Baciare Ermal era una continua antitesi.

Il sapore acre del tabacco mischiato a quello fresco della menta. La morbidezza delle sue labbra screpolate che le conferivano ruvidità. La lentezza del bacio e la decisione con cui inglobava e intrecciava le sue labbra a quelle di Fabrizio. La dolcezza di come gli si era avvicinato e la brusca maniera con il quale si ritrasse.

Fissò per un momento gli occhi di Fabrizio liquidi per l'eccitazione.

-Se osi dirlo a qualcuno ti spacco questo bel visino che hai. -disse prima di alzarsi e andare via a passo svelto, lasciando Fabrizio ancora fuori dal pianeta Terra.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 14, 2018 ⏰

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