4. Attraverso lo Specchio

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Le gallerie sono un tripudio di colori.

Comincio a girare su me stessa, cercando di catturare con lo sguardo ogni sfumatura, ogni minimo dettaglio, che si fonde subito con quello successivo. Mi sembra di guardare in un caleidoscopio, le perline sono i petali dei fiori.

E poi c'è la musica. Una sorta di ritmico battere di percussioni, paragonabile ad una danza tribale, ma con una musicalità più "pop", come direbbero gli abitanti del Mondo di Sopra.

La gonna di stoffa leggera, dai colori sgargianti, si apre attorno alle mie gambe sottili come la corolla di un iris e per un istante mi sento davvero il Fiore di Primavera. Continuo la mia piroetta fino a che la testa non comincia a girare e muovo qualche passo barcollante mentre sulle palpebre chiuse restano impresse le cromie brillanti che illuminano questo giorno.

Posso muovermi tra la gente del mio popolo ricevendo i sorrisi più sinceri. Catturata dall'euforia attraverso il mercato avvicinando la punta sottile del naso ai cesti delle spezie. Curcuma, cannella, zafferano, zenzero...gli aromi si susseguono uno dopo l'altro inebriandomi. 

- Guarda mamma, la principessa! - esclama un bambino dal naso moccoloso indicandomi. La madre, imbarazzata, gli spinge il braccio bruscamente e gli intima di essere rispettoso:

- Non è cortese rivolgersi così alla nostra sovrana. - la sento sussurrare per poi chinarsi in un inchino delicato.

Vengo invasa da un moto di imbarazzo. Non sono ancora abituata al timore che sembrano provare le persone nei miei confronti. Gli anni di angherie subite dai sovrani precedenti hanno portato le persone a temere il potere, e anche se le cose sono ormai cambiate, resta per loro normale osannare il loro capo.

Ma non voglio che sia così, il mondo, il nostro mondo, deve cambiare. Non voglio più provare questo profondo disagio che mi attanaglia ora lo stomaco.

Così mi avvicino ad una bancarella e dopo aver quasi costretto la mercante ad accettare il mio denaro invito il bambino ad avvicinarsi. Lui, attirato dalla mela candita che stringo tra le mani, osserva la madre con sguardo implorante. Lei lo sospinge gentilmente verso di me e in un attimo ha il viso appiccicoso di zucchero.

- Grazie, mia signora. - bisbiglia la donna, imbarazzata.

- Chiamami Desirée. - 

Soddisfatta mi allontano, sparendo tra la folla.

È dopo questi istanti di euforia che mi ritiro, sola, in una delle gallerie secondarie. La musica riesce a raggiungermi anche qui, ovattata, ma le voci e i volti sono lontani.

Passeggio fino ad un incrocio. Il nodo di gallerie collega i principali condotti. Mi siedo nel centro dell'incrocio e cerco di controllare tutti i corridoi contemporaneamente. 

Da uno di essi dovrà pur arrivare lui.

***

Sherlock si annoda la cravatta.

Poi se la toglie.

La lascia cadere sul pavimento.

Si slaccia un altro bottone della camicia. 

Poi lo richiude.

Posso leggere il suo disagio dallo sguardo che spio riflesso nello specchio. Si muove veloce soffermandosi su ogni dettaglio del suo abbigliamento, come a notare centinaia di errori visibili solo a lui. 

Stringe il polsino destro della camicia.

Poi quello sinistro.

Si china e regola il nodo delle stringhe. I due occhielli ora risultano perfettamente simmetrici. 

Chiude un istante gli occhi. Solo un istante. E respira.

Infine si volta, afferra il cappotto di lana e quel ridicolo cappello che gli ho regalato ed esce dalla porta.

Sento i suoi passi scendere le scale e quando gli manca l'ultimo gradino mi urla:

- Ti sto aspettando, datti una mossa o arriveremo tardi. -

Stringendo i pugni freno il mio istinto omicida: sono pronto da almeno un'ora io. Sospiro e prima di uscire prendo il pacchettino che avevo posato sul tavolo. Questo non sarà un giorno difficile solo per Sherlock. Il Mondo di Sotto evoca in tutti noi ricordi dolorosi e scendere tra i suoi meandri è come ritornare indietro nel tempo. 

La pioggia cade sottile sull'asfalto. Londra si sta svegliando e le persiane si aprono come occhi che si spalancano al mattino. Mi sembra che tutti mi osservino, come se fossero consapevoli del luogo che stiamo per raggiungere. Ma è solo inutile paranoia. Davanti a me la schiena di Sherlock avanza veloce. I suoi passi fingono sicurezza.

***

Dopo aver attraversato il Regent's Park raggiungiamo una delle grate di scolo del Boating Lake, sotto allo York Bridge. Si tratta dell'entrata per Sottolondra più vicina a casa nostra, il nostro ingresso privato. Mentre John si assicura che nessuno sia nei paraggi, apro il pesante lucchetto e faccio scorrere il chiavistello. Quando spingo la grata, nell'aria si diffonde un breve stridio. L'ultima volta che ho sentito questo suono è stato 364 giorni, 5 ore e 45 secondi fa. 

Deglutendo attraverso il cancello e, coi piedi leggermente a mollo sul pelo d'acqua, mi trovo al di là dello specchio, nel mondo riflesso a testa in giù. Mi sento come Alice mentre attraversa lo specchio.

Ma lei era matta.

E forse lo sono anch'io.

Se no, non sarei qui.

Nel mondo di sopra l'acqua stava sopra di noi. Pioveva. Qui l'acqua ci bagna i piedi e lentamente viene assorbita dai nostri pantaloni. Sarebbe come dire che scorre al contrario.

Scaccio questi pensieri assurdi e mi concentro per abituarmi all'oscurità. Lentamente scendiamo attraverso il cunicolo e nel silenzio sono percepibili solo i nostri passi. 

La mia mente non riesce a elaborare nemmeno un possibile futuro, nemmeno uno degli scenari possibili. Le immagini fugaci di Desirée mi colpiscono prima che io riesca a tenerle fuori di me. Più profondamente scendo e più volenti affiorano i ricordi dei suoi compleanni passati. Il primo anno. Appena dodici mesi erano passati dalla liberazione del Mondo di Sotto. E di me stesso.

Desirée non era altro che un fagottino rosa e umido di lacrime che sembrava divertirsi a strillare in braccio alla madre. Reina. Per le il tempo sembrava essersi fermato, affascinante e provocante come sempre, ma con una certa maturità negli occhi indecifrabili.

- Vuoi prenderla in braccio? - mi aveva domandato. Avevo annuito impercettibilmente e non appena la bimba si era sentita stretta dalle mie mani fredde aveva arrestato il pianto e mi aveva fissato con due occhi color del ghiaccio completamente spalancati. Attorno a noi centinaia di occhi avevano assistito col fiato sospeso a quell'incontro. Nonostante il mio ruolo fondamentale nella liberazione di questo mondo, sono sempre stato guardato con sospetto dai suoi abitanti. Io non sono uno di loro. E non lo sarò mai.

In quell'istante, mentre stringevo mia figlia tra le mani, non ho calcolato il suo peso, o il suo indice di massa corporea, o la velocità dei suoi riflessi...niente di tutto ciò. Mi sono solo commosso.

Ed è questo ciò che odio di questi fugaci incontri: mi ricordano che anch'io sono umano. E questo significa essere deboli. Significa avere qualcosa da perdere.

Il buio sembra essere rischiarato da luci lontane, bagliori di torce. Emergiamo in un crocevia di corridoi e con gli occhi impastati dall'ombra mi sembra di percepire una figura femminile che si alza di scatto ed esclama: - Papà! -


***

Angolo autrice: uccidetemi. È l'unica cosa che potreste fare visto che sono sparita per un anno...spero solo che il capitolo vi sia piaciuto, è sempre difficile riprendere una storia a metà dopo così tanto tempo.

A presto! Questa volta per davvero.

Ps. scusate gli errori, ma non faccio in tempo a rileggere




Underwater | BBC Sherlock Fanfic #3Where stories live. Discover now