2. Ragazzo occhi cielo

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Harry

Un angelo.

Ecco cos'era. Non mi ero mai sentito così, prima d'ora; non avevo mai sentito le famose farfalle nello stomaco solo dopo aver incontrato un paio d'occhi per la prima volta. Non era mai successo e basta. Difficilmente perdevo la testa per qualcuno già dal primo sguardo, ma quel ragazzo, Dio, quel ragazzo aveva qualcosa di speciale. Non appena l'ho visto, da solo, a ripararsi dalla pioggia, non ho potuto fare a meno di avvicinarmi per accettarmi che fosse effettivamente reale. Sì, perché non era possibile che esistesse una persona tanto perfetta e aggraziata. Così, raggiunsi la cabina della fermata degli autobus sotto la quale si stava riparando e mi concessi di osservarlo più da vicino. Era così piccolo, stretto nel suo giubbotto per tenersi al caldo, le mani in tasca, le cuffie nelle orecchie ed un beanie grigio da cui spuntava un ciuffo color caramello ad incorniciargli la fronte. Mi incantai a guardarlo per minuti interi, finché, probabilmente accortosi del mio sguardo su di lui, non alzò lo sguardo. E fu in quel momento che mi si aprì un mondo. Un mondo tutto azzurro, azzurro come i suoi occhi. Azzurro come il cielo che sembrava essersi nascosto nelle sue iridi per sfuggire alle nuvole di quella giornata di pioggia, pronte a ingrigirlo. E mi ritrovai a sussurrare una domanda che credevo di aver solo pensato.

"Tu sei reale?" mi sfuggì. Lui all'inizio non capì, a causa della musica, ma poi, una volta toltosi le cuffiette, mi rivolse la parola e, potevo giurare di non aver mai sentito una voce più dolce in vita mia. Probabilmente dovetti essergli sembrato uno stupido, dopo quella domanda, ma era stato più forte di me.

Provai ad iniziare una conversazione, facendogli qualche innocente domanda, tanto per evitare di continuare a fissarlo come un ebete. In quel modo avevo una scusa per guardarlo ancora e ancora.

Scoprii che era timido, il modo in cui abbassava lo sguardo e si torturava le maniche della giacca era una cosa terribilmente carina, e quando vidi le sue labbra tremare per il freddo, una strana voglia di abbracciarlo e scaldarlo con il calore del mio corpo si fece spazio in me, così da farmi sorprendere dei miei stessi pensieri.

Probabilmente non riusciva a capire come mai mi interessassi tanto a parlare con lui, - dopotutto, non ci conoscevamo - ma non potevo certo giustificarmi con il fatto che adorassi la sua voce, il modo in cui le sue labbra fini si muovessero delicatamente quasi a carezzare ogni parola, o gli sarei sicuramente sembrato un maniaco.

Mi ritrovavo a sospirare, ogni qual volta in cui sembrava voler chiudere la conversazione evitando il più possibile di guardarmi negli occhi o perdendosi ad osservare la pioggia, e mi sentivo stupido, perché non volevo sembrargli insistente ma neanche perdere l'occasione di conoscerlo almeno un po'.

Scoprii che il suo nome era Louis e, Dio, non poteva avere nome più adatto, era bellissimo, proprio come lui. E mi ritrovai a ripeterlo, quel nome, assaporando ogni singola lettera sulle labbra, come ad imprimermi nella mente quel suono così dolce.

Scoprii anche che, rispetto a me, era più grande di due anni, nonostante fosse adorabilmente più basso, seppur di poco.

Quando gli chiesi cosa ci facesse da solo, sotto la pioggia, mi rispose che sarebbe dovuto andare da un suo amico per studiare, e fu inevitabile il moto di insensata gelosia che mi attanagliò le membra. Ero geloso per il semplice fatto che quel suo amico poteva godersi la sua presenza ogni volta che volesse, che poteva scherzare con lui, stargli vicino, vederlo sorridere. Mentre io cosa ero per lui, se non un semplice, fastidioso sconosciuto? Assolutamente niente, e questo mi distruggeva.

Ad un tratto, la pioggia si affievolì e non appena lo vidi alzarsi e salutarmi con un gesto della mano, qualcosa dentro di me, scattò. Mi resi conto che volevo, dovevo, conoscerlo. Non potevo farmi sfuggire un'occasione del genere, non potevo rischiare di non vederlo più, non lo avrei davvero sopportato e avrei finito col pentirmi ogni giorno chiedendomi come sarebbe stato se avessi avuto in coraggio di provare a far parte della sua vita. Cosi, mi alzai e, prima che potesse allontanarsi, lo chiamai, correndo ad afferrargli un braccio. Lui sussultò, ovviamente sorpreso dal mio gesto improvviso. E quando i miei occhi incontrarono i suoi, quasi mi immobilizzai. Eravamo tanto vicini quanto bastava per poter vedere ogni singola sfumatura di quelle sue iridi e annegare in quell'oceano cristallino. Ed ero decisamente sdolcinato a pensare certe cose, ma davanti a due occhi così, mi era praticamente inevitabile. Lui continuava a guardarmi interrogativo, in attesa di scoprire il motivo per cui lo avessi fermato. Ma il fatto era che non riuscivo a parlare, inebetito dalla troppa vicinanza, provai ad aprire la bocca per spiegare che avrei voluto conoscerlo meglio, davanti ad una tazza di caffè, magari, ma come dirglielo?

Scusa se ho aspettato la pioggia || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora