Pietro mi accompagna fino ad una porta marrone. E' più grande rispetto alle altre porte che abbiamo oltrepassato.
Durante il percorso, tutti i ragazzi e le ragazze che abbiamo incontrato in corridoio, mi hanno guardata, anzi, fissata per tutto il tempo.
La cosa mi ha dato molto fastidio, considerando il fatto che non sono abituata a stare con le persone.
A parte Pietro, Wanda e gli uomini che mi tenevano prigioniera, non ho mai rapportato con nessuno.
Pietro bussa appena e l'uomo che si trova nella stanza ci invita ad entrare.
Quando entriamo, l'uomo seduto dietro la scrivania viene verso di noi...senza alzarsi.
Si muove con una strana sedia.
Lo guardo incuriosita e lui se ne accorge subito.
«è una sedia a rotelle» mi informa come se mi avesse letto nel pensiero «la usano le persone che non riescono più a camminare»
Si avvicina di più a me e mi tende la mano.
«sono felice di conoscerti Nina. Io sono il proprietario di questa struttura. Sono il professor Charles Xavier ma, tutti qui mi chiamano Professor X»
«devi stringergli la mano» mi suggerisce Pietro all'orecchio. Così, avvicino lentamente la mia mano a quella del professore e lui me la stringe. Io, ricambio la stretta non capendo il significato di questo gesto.
«serve a presentarsi» mi informa come se mi avesse letto nel pensiero.
Annuisco leggermente.
«puoi lasciarmi solo con Nina, per favore?» chiede il professore rivolto a Pietro.
Lui annuisce «ci vediamo più tardi» mi dice. Mi da un bacio sulla guancia e va via lasciandomi il suo buon profumo nelle narici.
«accomodati, prego»
Mi siedo su una sedia molto comoda rispetto a quelle a cui sono abituata.
«questa sedia è molto morbida...ed è anche molto strana» sentenzio.
«è una poltrona» spiega «è fatta proprio per essere più comoda rispetto alle sedie»
«ah, capisco...»
Il suo sorriso sa' di qualcosa di gentile, dolce e accogliente. Amichevole, oserei dire.
«ti posso chiedere una cosa, Nina? E' una domanda molto personale, quindi puoi decidere se rispondere o meno»
«lei sa già la risposta a quello che vuole chiedermi»
«come dici, prego?»
«lei può leggere nel pensiero, quindi sa che posso farlo anche io» dico, pacatamente.
Sembra spiazzato da quello che ho appena detto.
«in questo momento non riesco a vedere, ne sentire niente» ammette «sai cosa vuol dire questo?»
«che non voglio più che lei mi legga nel pensiero?» chiedo sarcastica.
«vuol dire che se riesci a non farmi entrare, il tuo potere è più forte del mio»
Mi guarda per qualche istante, forse si aspetta una risposta o un commento, ma io, non dico nulla.
«quando si è scatenato? Il tuo potere, intendo»
Ricordare quel giorno mi fa stare sempre male.
Stringo i pugni sulle ginocchia.
«puoi anche parlarmene un'altra volta se ora non ti va. Non domani, non tra una settimana, ma quando te la sentirai»
«quel giorno, ero in cella con Pietro e Wanda, come sempre» inizio a raccontate «a un certo punto, entrarono nella stanza tre uomini. Due di quelli che vedevamo tutti i giorni e uno che non avevamo mai visto prima di quel momento. Presero Wanda e Pietro. Volevano portarli via. Mi dissero che non avrei mai più visto le loro facce. Io, non volevo separarmi da loro, così mi aggrappai al braccio di Pietro e uno degli uomini mi tirò un pugno in faccia e così persi i sensi»
Sento una lacrima rigarmi la guancia.
Il professore mi guarda senza dire nulla con un'espressione seria.
«quando mi svegliai, ero rimasta sola. Loro non c'erano più. Iniziai a tirare pugni contro la porta me nessuno rispondeva. In quel momento cominciai a provare una rabbia che non avevo mai provato prima... Iniziai ad avvertire il pavimento che tremava...e...»
Mi alzo di scatto.
«mi scusi, non posso» dico, prima di andare via chiudendomi la porta alle spalle.
Mi dirigo con passo veloce verso la stanza in cui mi sono svegliata.
«Nina, stasera stiamo organizzando una festa di benvenuto per te» sento dire da una voce famigliare alle mie spalle. Quella di Wanda.
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A un passo dal mio cuore - Pietro Maximoff
Fanfiction«io sono Pietro mentre lei è Wanda. E tu come ti chiami?» chiede il bambino con gli occhi belli. Non so di che colore fossero perché nella cella, mai nessuno mi ha insegnato i nomi dei colori. «io, non ho un nome» ammetto, vergognandomi un po'. Cove...