- Quando ero piccola, di circa 4-5 anni, trascorrevo i pomeriggi seduta sul parquet di rovere in camera mia a giocare con le bambole. Avevo tantissime bambole. Winx, Pixie, Barbie, una Wich, Bratz, Polly Pocket... non so perché ne avevo così tante. In parte credo per la mania collezionistica della mia nonna materna, che, scoperto mi piaceva una cosa, insisteva per farmi avere tutto il possibile di essa. Un tratto ossessivo che so la caratterizza ancora, nonostante il nostro rapporto sia cambiato. All'epoca però, come potevo io dirle di no? Lei mi offriva giocattoli e io una bambina.
Delle volte ricordo che provavo rimorso, una volta persino piansi, per paura che a furia di comprarmi giochi i miei nonni sarebbero diventati poveri. Ma in realtà io non avevo colpa.
- Usavo sempre tutte le bambole che avevo. Delle winx, avevo anche due specialisti, Sky e Brandon. La ragione è bizzarra. Me li aveva portati Santa Lucia. Nella letterina, io, in realtà, avevo scritto semplicemente Sky, ma al tempo ero ancora alla prima serie, in cui, se non ricordo male, Brandon fingeva di essere Sky, e chi fosse l'uno o l'altro restò ambiguo per un po'. Perlomeno per me. Santa Lucia quindi dovette decidere di portarmeli entrambi per non sbagliare né deludermi, poiché nemmeno io avevo le idee molto chiare. Così almeno me la vendettero i miei. Probabilmente era semplicemente stata generosa.
- A queste due bambole spettava sempre il compito di essere il papà, specialmente a Brandon. Ogni volta, mettevo in piedi una grande famiglia di principesse, che viaggiava sulla carrozza di Barbie, con il suo cavallo bianco, nonostante fossero troppe perché potessero salire tutte.
- La storia che creavo era sempre più o meno quella: c'era un cattivo misterioso, non ricordo cosa desiderasse di preciso, perché era diverso ogni volta. In ogni caso, queste principesse dovevano sempre scappare da palazzo. Viaggiavano e viaggiavano, compiendo numerose soste. Qui, alcune andavano a procurare cibo per tutte, altre la legna per difendersi dal gelido inverno, altre ancora montavano di guardia o altre raccontavano storie. Il fulcro del gioco erano proprio queste soste. Non ricordo cos'altro accadeva. Ricordo solo che quando giocavo con le Barbie dovevo giocare da sola. In quei momenti non parlavo. Mai. La storia e i dialoghi avvenivano sempre e solo nella mia mente, come fossero un oscuro o prezioso segreto. Dar voce a quelle storie e a quei personaggi, doverle condividere con qualcuno, mi imbarazzava. Non so per quale motivo, ma se accadeva... per me era come profanare un tempio sacro. Mi risuonava sbagliato.
Mi metteva a disagio il fatto che qualcuno mi sentisse. E quando accadeva, era come se il gioco non fosse più stato mio.
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Confessioni di un'anonima aspirante scrittrice
Short StoryLei mi aveva chiesto cosa sarei voluta diventare da grande e io avevo risposto semplicemente. Ma non ero e non sono un ingenua. Sapevo con certezza che avrei dovuto impiegarmi in un altro lavoro, ma quello che avrei voluto era diventare una scrittri...