Capitolo 5

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- Il mio rapporto con la scrittura si rivela ogni giorno più sempre più complesso. È un ossimoro puro. Un reale rapporto di amore e odio, come il sentimento paradossale che Catullo descrive nel carme 95.

"Odio e amo. Forse ti chiedi come io faccia.
Non lo so. Ma sento che mi succede ed è un tormento."

- Io amo scrivere. Amo quell'esaltazione prodotta dalla fase creativa; amo quell'intensa attività celebrale necessaria per mettere in piedi una trama; amo incontrare ostacoli logici e vincerli; amo lo studio e le ricerche di approfondimento; amo lo scricchiolio delle pagine del dizionario mentre ricerco le parole più adatte; amo dar vita ai personaggi e dialogare con loro; amo esplorare ambientazioni che passano dall'essere abituali, come una camera da letto, o del tutto straniere e fantastiche, come un bosco incantato o un mondo alieno; amo rievocare sensazioni vissute per trasferirle in uno dei miei personaggi o viverne di nuove immaginando situazioni che non ho mai provato sulla mia pelle o che rammento da un sogno confuso... ho mille motivi per amare la scrittura.

Altrettanti per odiarla.

- E io la odio. Odio quando sento di dover scrivere, per pura necessità, per evitare un'implosione, ma non so cosa voglio ed ho bisogno di scrivere; odio quando le parole si rifiutano di porsi una dopo l'altra in modo logico; odio quando la mia mente riflette il bianco della pagina, spenta. Odio la scrittura perché non riesco mai a concludere nulla; la odio perché è dispettosa e si burla di me, inceppandosi di continuo e mettendomi i bastoni tra le ruote, nei suoi molteplici aspetti; la odio perché dopo una prima fase di entusiasmo in cui si annuncerebbe a tutti, ha vergogna a mostrarsi ad altri... ma forse quest'ultima sono più io che lei.

- Ci amiamo e odiamo a vicenda, alla fine. Ed è questo nostro rapporto a farmi soffrire. Un rapporto tra connubio e tradimento.

***

- Alle valutazioni scolastiche ho imparato a non darci più peso. Non dopo aver ricevuto un sei su un tema argomentativo relativo alla famiglia, prevalentemente perché secondo la mia insegnante il paragrafo in cui parlavo dei figli non era attinente. Non che la mia professoressa di italiano sia stupida, ma quella volte prese un granchio in pieno: se ne convinse, e quando lei si convince di una cosa non c'è verso di smuoverla.

- Il motivo per cui ho voluto difendere la mia insegnate è perché adesso devo dire di lei cose terribili, ma non voglio che il riconoscimento, il rispetto e anche l'ammirazione che provo nei suoi confronti vengano occultate, favorendo il dipinto di un diavolo dei più crudeli. È una brava donna, lei. Su di me ha però avuto un effetto stravolgente e annichilente. Il terrore che incute quella donna, con i piedi che pestano sotto la cattedra, come quelli di un bimbo capriccioso, quando qualcuno sbaglia, o l'occhiata che accompagna e il mutismo che segue rimproveri per i quali chiunque desidererebbe sprofondare nel pavimento o seppellire la testa sotto terra come uno struzzo e si sente un piccolo vermicello insulso e ignorante... atteggiamenti che dedica non solo a chi non studia, ma anche a chi, nonostante le ore di studio alle spalle, si ritrova nella posizione di accusato, solo perché non ha pronunciato quell'esatta parola a cui lei stava pensando in quel momento.

È una donna terribile, di falsa indulgenza e tremenda ottusità. È una terrorista, nonostante molte delle sue ore trascorrono in piacevoli chiacchierate e alcune guardando film. Ma nonostante questo, resta una terrorista. A me, terrorizza. Anche quando quelle scenate non sono rivolte a me. La prossima volta potrebbero.

Così il terrore, la vergogna e il senso di inferiorità finisco col portarmeli sempre a casa, tutti io, anche se non ne ho motivo.

È così che per tre anni mi sono sentita un piccolo vermicello incapace specialmente di scrivere, perché se anche nelle interrogazioni avevo "fortuna", nei temi ne avevo un meno.

È anche per questo, che ho dimenticato me stessa. Come una sciocca. O come una vulnerabile quattordicenne. Piano piano, solo verso la terza superiore, ho cominciato a ritrovarmi. Mi sono ritrovata da sola, durante l'estate. Il ritorno a scuola infatti fu traumatico: non volevo più andarci, avrei studiato da sola, dicevo: tutto pur di non perdere di nuovo me stessa. Le prime settimane furono una depressione unica.

Però le cose andarono diversamente dagli anni precedenti. Per la prima volta in quella scuola, fui trovata da qualcun altro.

La seconda ora del primo giorno si presentò da noi la nuova professoressa di filosofia. Quelle prime ore insieme mi terrorizzarono. La prof aveva una voce stridula e ci minacciava. Avevo già previsto un anno da incubo. Ma era in realtà tutta una finzione. Presa confidenza con il tutto, quelle lezioni sono diventate infatti il mio punto di forza e lo sono tutt'ora. Durante le sue ore me sento libera di esprimermi. A chi importa se si sbaglia? Siamo esseri umani anche per questo. Inoltre lei stessa una volta ha detto che sono geniale. È una persona che mi dà fiducia, nient'altro. Ed è il regalo più bello che mi potesse fare. La fiducia mi ha fatta sentire più sicura di me, come lo ero alla scuola media, quando i miei compagni dicevano che ero poetica e i miei testi avevano successo ed erano riconosciuti.

Fiducia, riconoscimento: un po' di spazio e un po' di valore.

- Questo senso di ritrovo e di respiro resta però cosa propria solo delle ore di filosofia, e spesso ormai più nemmeno in quelle, come per l'effetto di una droga che presto non lo si riesce più sentire...

Tuttavia sono qui a scrivere. Deve pur voler dire qualcosa.


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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 21, 2018 ⏰

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Confessioni di un'anonima aspirante scrittriceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora