Capitolo I

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Ricordava quando, a tredici anni, conobbe la sua vera natura di strega, spiegando così il desiderio di battaglia che provava costantemente: era Dicembre, il giardino del palazzo era ricoperto di neve bianca e soffice, e lei ne approfittava per giocare col fratello, dimenticando la guerra fuori dalle mura, mentre la balia cercava di convincerli a mettersi la giacchetta. Mentre raccoglieva la neve, ridente, sotto i colpi freddi e bianchi che suo fratello le lanciava, rammentava di aver scorto la scintilla di una lama, forse un pugnale, ed era andata più a fondo per prenderla, ammaliata. Quando l'aveva preso tra le mani aveva ammirato gli  intagli orientali sull'impugnatura, sotto lo sguardo basito di Lew e le urla di avvertimento della balia, e si era resa conto che quella era la prima volta che toccava un'arma. Un desiderio bruciante di provarla si faceva lentamente strada in lei, e quando lo fece, colpendo per sbaglio la sua tata, la sentiva come un allungamento del suo arto. Capì dopo la gravità del suo gesto, pur fatto inconsciamente, quando la madre l' aveva presa da parte e le aveva fatto un discorso. A quel punto, capì.

Maha sfioró il pugnale sotto la veste, ripensando a quei tempi relativamente felici, a quando uccideva per sbaglio, senza volerlo, a quando nessuno le faceva una colpa per essere quello che era. Poi ricordò i suoi sbagli, oh, quanti ne aveva fatti, e si costrinse ad accelerare il passo, per non aggiungere la morte di suo fratello alla già lunga lista di errori. Accostò la mano destra all'orecchio, sussurrando parole d'incoraggiamento ai suoi complici e ripassando il piano. Non ascoltò le loro risposte, occupata com'era a mantenere la calma tra la folla che acclamava la morte nel nome della dea, come se lei volesse il dolore. Ammesso che esistesse, lei ormai non ci credeva più. Insomma, come poteva credere, e acclamare,  qualcuno che voleva la sua morte?. Scosse la testa e  si costrinse a non pensare ad altro se non alla salvezza del fratello, che lei non riusciva a immaginare morto, vista la grande vitalità, e la gioia, che mostrava anche nei momenti più difficili, quando lei si lasciava andare al dolore. Non poteva permettere la distruzione di una persona così, il mondo ne aveva bisogno. Quando si pose davanti alla Piazza Rossa, che rossa lo era diventata per il sangue della gente che ci moriva, la sua determinazione crebbe a dismisura, fino a spingerla a dare il via all'operazione in grande anticipo. Aspettò tre minuti, contando i secondi con un leggero movimento delle labbra, e, così velocemente da non accorgersene nemmeno, uscì la pistola e sparò un proiettile in aria, dando il via a un concertino di spari e urla terrorizzate della folla, mentre i soldati rispondevano al fuoco insistente e selvaggio dei suoi complici. Lei si guardò intorno, osservando la gente e il caos che si era  andato a creare, e approfittò della confusione generale per avvicinarsi al fratello, attenta però a non farsi notare.
Le sue urla indistinte  la confusero, e si avvicinò a lui, titubante, per staccarlo dalla forca. La mano le bruciò quando la immerse nel fuoco per togliergli le manette, e si morse la lingua, provando a trattenere le lacrime che minacciavano di rivelarsi e la bile che attraversava lentamente la sua gola, nausendola.
Alzò la testa, chiedendosi cosa fosse quell'impressionante dolore alla spalla, che pareva un mostro scorticatore. Se la toccò delicatamente con la mano libera, sporcandola di lucido sangue nero, colante. Il mondo sembrò vorticare attorno a lei, spingendola ad accasciarsi per terra, sorprendentemente lontano dal fuoco.
Non c'era più nessuna speranza.

Scusami, fratello.

Il sangue di SalemDove le storie prendono vita. Scoprilo ora